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RECENSIONI

Laura Imai Messina

Quel che affidiamo al vento

Piemme, Pag. 248 Euro 17,50
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Kaze no Denwa, il telefono del vento. Lo ideò Itaru Sasaki nel 2010 dopo aver perso suo cugino. Una cabina con dentro un vecchio telefono nero non collegato a nessuna rete e un quaderno, dove ognuno può entrare e parlare con un caro scomparso. Compagno, figlio o anche un conoscente.
Ecco, parte da qui, da questa semplice idea Quel che affidiamo al vento il romanzo che Laura Imai Messina ha pubblicato per Piemme.
Kaze no Denwa si trova nel parco di Bell Gardia. È qui che ogni anno si recano migliaia di persone che alzano la cornetta e parlano con l’Aldilà. Atto consolatorio, certo, poetico. È qui che arriva Yui che durante lo tsunami del 2011 — 15.897 morti — ha perso la madre e la figlia (la sua storia e il suo futuro, le radici e la speranza). E qui incontra Takeshi, vedovo e con una figlia che non parla più dal giorno in cui la madre è morta. Insieme compiranno un percorso che li porterà a comprendere il motore immobile dell’universo. L’amore.
A Bell Gardia Yui inizia la sua lenta rinascita, ben simboleggiata dal sogno ricorrente di sua figlia che rinasce in continuazione. “Ricordare”, è qui, con questo telefono in mano, che impara che bisogna nominare le persone, chiamarle, e che tacere il loro nome significa dimenticarle. Fantastica Yui, immagina che qui morti richiamati nella vita di qua, forse nella vita di fanno conoscenza tra loro.
Quel che affidiamo al vento è un romanzo che ha un impianto essenzialmente lirico. È una storia sul dolore silenzioso, composto, e Laura Messina riesce a “raccontare” molto bene il rapporto che gli orientali hanno con la morte. Nulla di esasperato e mostrato, ma l’impalpabilità eretta a modo di vita.
Lenta la maturazione di Yui e Takeshi prende corpo e con lei l’avvicinarsi. Bell Gardia, posto magico e spirituale, li trasforma in senso positivo: frequentare quel giardino e parlare al Kaze no Denwa libera l’anima dal dolore. E porta alla rinascita.

di Marco Minicangeli @gattospinoso


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