CINEMA E MUSICA
Adriano Angelini
L'eterna vita del lord della dance stilosa, Bryan Ferry

L'ultimo album l'aveva pubblicato alla fine del 2006. Un lavoro di cover di Bob Dylan rivisitate con il suo tipico dandysmo vampiresco. A quattro anni di distanza, è uscito il tredicesimo album di questo straordinario e poliedrico musicista inglese (ma non londinese), Bryan Ferry, già leader della storica band dei Roxy Music. Titolo molto molto dandy, Olympia. L'album parte in maniera folgorante con il singolo You can dance.
Un apripista sensuale e drammatico, un ritmo cadenzato, perfetta sintesi di pop dance con leggere venature rock. Una ballata semplice e perfetta per i dj sia estivi che invernali. Si prosegue con Alphaville, dolcissima, soffusa, tipicamente Bryan/Roxy, fatta di lontananze e nottate d'amore en plein air ("This night is made for love"). Un bijoux malinconico. Che prelude alla più robusta e corale Heartache by numbers. Che a sua volta fa da preludio alla sontuosa, triste, iperanni'80, ariosa e maledetta Me Oh My lì dove i suoi sussurri di dandy disperato si trasformano in invocazione magnetica e suadente. Accattivante, per niente banale, tutto il già sentito dei Roxy Music e del primo Bryan Ferry sono reinventati in questo caleidoscopico lavoro di maquillage sonoro. Prendete Shameless, un incalzante disco dance che avrebbe fatto felice Gianni Boncompagni e il suo "Discoring" nella versione condotta da Jocelyn, una vera cavalcata d'autore. Oppure Song to the Siren. Qui siamo dalle parti di Avalon dei Roxy, ma non si scimmiotta niente, la voce di Bryan ridisegna le sue sonorità, con ventate di bellezza che trasportano tappeti di chitarre e tastiere leggiadre. In questo clima da perenne ritorno di rampantismo ed edonismo, i bei tempi che furono li sa immortalare solo chi li ha segnati (e non le tante starlette da Chupa-Chups come Lady Gaga). Per cui Bryan tira fuori una ballata come No face, no name, no number mentre gli altri vorrebbero soltanto farlo; lui ci fa sognare e gli epigoni addormentare. I bassi della sua BF Ode to Olympia non hanno alcun paragone, i vocalismi, l'indiscussa ritmica che non ti fa star fermo nemmeno da seduto. Si chiude in ulteriore bellezza, con due poesie: la prima: Reason or Rhyme, di nuovo i tempi magici dei Roxy Music, la straziante attesa che la sua voce e il piano di sottofondo evocano, tutto così elegante in maniera scontata eppure irresistibile. E il gran finale: Tender is the night, ovviamente. Una dedica da autore ad autore. Da musicista a scrittore (Scott Fitzgerald, per la cronaca). Da dandy a dandy. Bello, con la sua malinconica lacrima di cui il pianoforte sottolinea la lenta discesa. Melodramma e gotico, che volete di più.
Bryan Ferry
Olympia
Virgin - 2010
Un apripista sensuale e drammatico, un ritmo cadenzato, perfetta sintesi di pop dance con leggere venature rock. Una ballata semplice e perfetta per i dj sia estivi che invernali. Si prosegue con Alphaville, dolcissima, soffusa, tipicamente Bryan/Roxy, fatta di lontananze e nottate d'amore en plein air ("This night is made for love"). Un bijoux malinconico. Che prelude alla più robusta e corale Heartache by numbers. Che a sua volta fa da preludio alla sontuosa, triste, iperanni'80, ariosa e maledetta Me Oh My lì dove i suoi sussurri di dandy disperato si trasformano in invocazione magnetica e suadente. Accattivante, per niente banale, tutto il già sentito dei Roxy Music e del primo Bryan Ferry sono reinventati in questo caleidoscopico lavoro di maquillage sonoro. Prendete Shameless, un incalzante disco dance che avrebbe fatto felice Gianni Boncompagni e il suo "Discoring" nella versione condotta da Jocelyn, una vera cavalcata d'autore. Oppure Song to the Siren. Qui siamo dalle parti di Avalon dei Roxy, ma non si scimmiotta niente, la voce di Bryan ridisegna le sue sonorità, con ventate di bellezza che trasportano tappeti di chitarre e tastiere leggiadre. In questo clima da perenne ritorno di rampantismo ed edonismo, i bei tempi che furono li sa immortalare solo chi li ha segnati (e non le tante starlette da Chupa-Chups come Lady Gaga). Per cui Bryan tira fuori una ballata come No face, no name, no number mentre gli altri vorrebbero soltanto farlo; lui ci fa sognare e gli epigoni addormentare. I bassi della sua BF Ode to Olympia non hanno alcun paragone, i vocalismi, l'indiscussa ritmica che non ti fa star fermo nemmeno da seduto. Si chiude in ulteriore bellezza, con due poesie: la prima: Reason or Rhyme, di nuovo i tempi magici dei Roxy Music, la straziante attesa che la sua voce e il piano di sottofondo evocano, tutto così elegante in maniera scontata eppure irresistibile. E il gran finale: Tender is the night, ovviamente. Una dedica da autore ad autore. Da musicista a scrittore (Scott Fitzgerald, per la cronaca). Da dandy a dandy. Bello, con la sua malinconica lacrima di cui il pianoforte sottolinea la lenta discesa. Melodramma e gotico, che volete di più.
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Olympia
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