Tasti di scelta rapida del sito: Menu principale | Corpo della pagina

Il Paradiso degli Orchi
Home » I Classici » Un bel libro di male sentimento: “L’eredità Ferramonti” di Gaetano Carlo Chelli.

Pagina dei contenuti


CLASSICI

Alfredo Ronci

Un bel libro di male sentimento: “L’eredità Ferramonti” di Gaetano Carlo Chelli.

immagine
Diceva di questo libro Italo Calvino: Strano destino letterario, quello della città di Roma. Per secoli nella letteratura italiana la si cerca invano: tra la Vita di Cola e il Belli passa un mezzo millennio in cui di questa città tanto nominata e invocata quasi non riusciamo a sentire la voce (se non fosse attraverso la malalingua dell’Aretino). E dopo, nell’Ottocento? Il cannocchiale naturalista di fronte all’Urbe sembra non trovare la messa a fuoco giusta; anche se nel romanzo italiano campeggia la capitale conquistata e conquistatrice, vista con gli occhi di chi arriva da fuori, si chiami D’Annunzio o Pirandello, la Roma vista dal di dentro, la Roma dei romani, si direbbe che, dopo Belli e prima di Moravia, si nasconda dietro le persiane.
Eppure il romanzo naturalista romano, lo spaccato che mette in evidenza gli strati sociali in movimento, la saga familiare dei rapidi cambiamenti di fortuna nella nuova capitale del nuovo tato, esisteva: L’eredità Ferramonti di Gaetano Carlo Chelli; ed era un gran bel romanzo, degno d’aver un posto di rilievo nella nostra storia letteraria di fine secolo. Invece tutti, proprio tutti, s’erano dimenticati del libro e del suo autore, che pare, come redattore della rivista più famosa dell’epoca “La Cronaca Bizantina”, non poteva dirsi un personaggio appartato dalla vita letteraria.
Scrivendo ancora, il Calvino ringrazia Roberto Bigazzi per aver riscoperto, dopo circa settant’anni, il romanzo e averci dedicato uno studio corposo e probabilmente definitivo. Ma lo stesso Calvino non poteva immaginare quello che sarebbe successo qualche anno dopo, esattamente quattro anni dopo la sua piccola presentazione per Einaudi.
Nel 1976 il regista Mauro Bolognini, interessato sicuramente ad una nuova affascinante riscoperta editoriale, ne fa un film, appunto L’eredità Ferramonti, con un nutritissimo pacchetto cinematografico: si va da Anthony Quinn, che impersonava il vecchio Ferramonti, a Gigi Proietti che recitava la parte di uno dei figli, Pippo, ad Adriana Asti che faceva la parte dell’altra figlia, Teta, a Fabio Testi che personificava l’ultimo figlio, Mario, quello più scapestrato e “bastardo” fino a inserirvi Paolo Bonacelli nella parte del marito di Adriana Asti Paolo Furlin e soprattutto Dominique Sanda nel ruolo di Irene, moglie di Pippo Ferramonti, cioè Gigi Proietti.
Il risultato fu, e non me ne vogliano i critici e i ben pensanti di Bolognini, di una resa oserei dire agghiacciante. Se il Chelli, pur se ambientava la storia a Roma, evitava il dialetto romano, Bolognini ne faceva un elemento determinante (il massimo dell’abiezione la parlata di Adriana Asti, che nel romanzo avviene in particolarissimi momenti e che invece nel film è sempre all’altezza di una vergognosa pantomima).
Né risulta efficace, ma al contrario, il ruolo della Sanda che con il dialetto romano sembra più una venditrice di pesce che un’astuta signora del crimine.
E’ stato detto più volte quale fu il ruolo di Irene nel romanzo. Per la maggior parte dei critici una sorta di ingegnosa macchina del denaro, colei che nata quasi povera prova ad innalzarsi ai vertici della società inibendo le capacità economiche, e non solo, del Ferramonti vecchio. La nuora, con la cieca ingenuità di una bambina, spingevasi quasi a sedere sulle ginocchia del suocero, per accarezzarlo colle mani gentili, per tenere il suo viso acceso di vecchio, vicinissimo al proprio, splendido di gioventù e bellezza. Dall’altra, diventando l’amante di Mario una sorta di serpe che è cresciuta mangiando a poco a poco le sue vittime… la passione del denaro che si ha sotto mano, che si può accarezzare, palpeggiare in segreto, inebriandosi del suo luccichio, quando è d’oro e d’argento, e dei suoi rabeschi multicolori, quando è rappresentato da un pezzo di carta. Era, per Mario, la suprema caratteristica di valore e di forza nel temperamento femminile: egli aveva decisamente trovato una donna completa.
In realtà Irene è semplicemente una donna che ha trovato un senso nella vita, avendo sposato un inetto e un incapace. Ma tutto non gli è dovuto, perché l’eredità Ferramonti, per alcuni avvenimenti di larga portata, rimarrà nelle mani di Teta, la figlia del vecchio, ma soprattutto nelle mani di Paolo Furlin, marito di lei, che secondo alcuni commentatori, rappresentava il futuro dell’uomo economicamente producente.
L’eredità Ferramonti (il romanzo, non il film, per carità) più ancora di alcuni libri interessanti e parziali, come per esempio Eredità di Pratesi o anche, per vie traverse, I Vicerè di De Roberto, per alcuni può essere assolutamente assimilato alla lezione di Verga e di Zola.
Come a dire, un romanzo niente male.




L’edizione da noi considerata è:

Gaetano Carlo Chelli
L’eredità Ferramonti
Einaudi






CERCA

NEWS

RECENSIONI

ATTUALITA'

CINEMA E MUSICA

RACCONTI

SEGUICI SU

facebookyoutube