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CLASSICI

Alfredo Ronci

Un ‘carbonaro’ decisamente avventuroso: “Braccio di ferro” di Luigi Natoli.

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La domanda che mi faccio potrebbe anche non avere un preciso significato e potrebbe essere addirittura valutata come inutile: in Italia quanto la letteratura popolare influenzò l’opinione pubblica o invece fu solo un’aggiunta al procedere sistematico della vita sociale e politica del paese?
Tanto per dirne una: quanto la letteratura di Carolina Invernizio spostò di molto il magma indistruttibile della nostra civiltà? Quanto della politica popolare di un Francesco Mastriani servì effettivamente a interrare i semi di un cambiamento improvviso dei nostri destini?
Ritorno al problema iniziale. Ha senso dunque partorire un così vasto quesito, quando si sa che i cambiamenti avvengono per gradi e che nessuno alla fine può determinare un’alterazione effettiva? Nessuno mi si inimichi, ma anche il fascismo non crollò all’improvviso e la data del luglio del ‘43 fu soltanto l’inizio della sua fine.
Tutto questo per parlare di un autore, Luigi Natoli, che spesso è ricordato per un solo romanzo (che qualcuno ha indicato come tra i migliori del nostro panorama letterario se non addirittura da confrontare col capolavoro d’eccellenza, I promessi sposi) e precisamente I Beati Paoli, quando invece nella sua lunga carriera di scrittore ha pubblicato decine e decine di libri e che addirittura nel 1972, quando lui però era già morto da circa 30 anni, la televisione pubblica le regalò  uno sceneggiato che ancora molti di noi lo ricordano: L’amaro caso della baronessa di Carini.
Chi era dunque Luigi Natoli? In generale sui libri, ma questa volta anche su Google, si possono trovare molte informazioni, anche se devo essere sincero, quella che più ha intrigato la mia fantasia è stata quella della madre di Natoli che, alla notizia dell’imminente arrivo dei Mille guidati da Garibaldi, fece indossare a tutta la famiglia la camicia rossa. Per questo venne arrestata dalle guardie borboniche e portata nella prigione palermitana della Vicaria.
Indubbiamente questo episodio influenzò il Natoli, tanto che fin dall’inizio lo indusse a confrontarsi con la storia siciliana e soprattutto con le sue ingiustizie politiche. I Beati Paoli, pubblicato nel 1909, ma con lo pseudonimo di William Galt, che lo stesso utilizzò per molte altre opere, parlava proprio delle ingiustizie a cui era sottoposto il popolo in Sicilia, ma in un arco di tempo che va dal 1698 al 1719. Libro talmente onnicomprensivo (ma che mischiava con abilità personaggi fittizi a vere e proprie realtà) che destò l’interesse anche di uno studioso che raramente si lasciava andare a certe false dinamiche: Umberto Eco.
Noi però abbiamo scelto altro, ma devo dire senza preclusione alcuna: l’unico motivo che forse ce lo fa preferire ad altri è che Braccio di ferro fu pubblicato nel 1930, lo stesso anno di Coriolano della Floresta, che è ritenuto il seguito de I Beati Paoli.
Innanzi tutto perché Braccio di ferro? Al di là di certe manifestazioni politiche, Natoli ha sempre arricchito le sue storie con personaggi ben determinati, e guarda casa, con proprietà muscolari di tutto rilievo (ce n’era uno anche nei Beati Paoli, e questo, al di là della situazione sentimentale dell’autore, che era regolarmente sposato, ci fa intravedere un atteggiamento, che non ci dispiace dirlo, assume valenze omosessuali ben determinate).
In Braccio di ferro c’è un ventiquattrenne di nome Tullio, che grazie alla sua forza erculea riesce a destreggiarsi e spesso anche ad allontanarsi da situazioni pericolose, ma nello stesso istante però è partecipe degli eventi questa volta non solo italiani, ma dell’Italia intera e anche di parte dell’Europa.
Ma è in Sicilia che entra in contatto con una specie di organizzazione, e grazie ad questa, rendersi responsabile di azioni atte a sovvertire qualsiasi decisione contraria alla democrazia e al popolo e contro il vecchio sovrano borbone: La liberazione degli uomini dalla schiavitù… che cosa siamo noi? Degli schiavi. Che cosa vogliamo essere? Uomini liberi. Questo è il fine comune di tutti i Buoni Cugini sparsi nel mondo. Per noi siciliani vi è ancora un altro fine da raggiungere; l’indipendenza dell’isola, la restaurazione della sua autonomia violata, calpestata dal vecchio Borbone traditore. Noi vogliamo la indipendenza e la libertà.
Non credo che ci sia altro da aggiungere a questo libro che, come avrete capito, ha meritato la nomea di classico soprattutto grazie all’abilità narrativa di Natoli, che ha saputo mischiare, con assoluta facilità, il sacro e il profano e soprattutto ha mantenuto una grazia letteraria che ancora oggi non è assolutamente difficile da verificare.
Buona lettura.




L’edizione da noi considerata è:

Luigi Natoli
Braccio di ferro. Avventure di un carbonaro.
Antares editrice




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