CLASSICI
Alfredo Ronci
Una semplice storia di fuga: “Vaca Mora” di G.A. Cibotto.
Di lui disse Carlo Bo: Chi lo incontri per la prima volta, non può fare a meno di restare colpito dal suo accento sincero, dal gusto naturale per la vita e dal suo bisogno di stare bel saldo sulla realtà.
E lui stesso così affermava: Un libro è per me la trascrizione fedele della vita, con in suoi slanci e i suoi bruschi arresti.
Lo definiremmo un neo-realista? Forse no, ma quello che passò Cibotto a seguito della pubblicazione del romanzo La coda del parroco in qualche modo ce lo fa ricondurre.
Il libro, del 1958, affrontava tematiche “audaci” per i tempi, situazioni che toccavano i nervi di certi ambienti perbenisti, di certo conservatorismo più di facciata che altro, che non sopportavano temi come la prostituzione, l’omosessualità o le gite-pellegrinaggio parrocchiale alla tomba di Sant’Antonio da Padova. Levati cielo! Tanto che un allora influente deputato della Democrazia Cristiana, tale Carlo Donat Cattin (capito sì?) chiese, e purtroppo ottenne, la condanna del romanzo di Cibotto, che da alcuni critici veniva indicato come interessante novità (il libro tutt’ora è in vendita e chissà che prima o poi non lo possiamo riprendere).
Cibotto non si ferma e nel 1964 pubblica La vaca mora. Cos’è innanzi tutta questa Vaca Mora.
E’ un nomignolo che il protagonista ed un suo amico Antonio danno ad un contadino che va alla ricerca della sorella nel bailamme degli eserciti di occupazione. Personaggio questo, apparentemente fuori fuoco, un tristarello ancora legato alla cultura fascista e che si scandalizza quando vede un militare americano di colore che se la fa con una ragazza italiana. In realtà costituirà l’essenza di quasi tutta la storia e costringerà i due amici a fare i conti con una realtà triste e desolata.
Come detto nel titolo, La vaca mora è anche una semplice storia di fuga. Fuga dalla guerra ovviamente, meglio, dal dopo guerra ed è il filo conduttore di tutta la vicenda.
Se si escludono i fatti che succedono all’inizio del racconto, a cominciare dai primi contatti dei due amici con la vaca mora, il proseguo avviene a Venezia, dove i tre si separano per poi ritrovarsi in altre, ben più eccitanti, situazioni.
Venezia, naturalmente, è una città che sta tentando di uscire dal conflitto e in questo ambiente del tutto provvisorio si tengono degli incontri di pugilato tra atleti italiani (atleti per modo di dire, perché ancora evidente è la fame e il perdurare delle difficoltà) e atleti di colore.
Antonio, uno dei due amici, è parte del programma, ma l’unica cosa che può fare è raccogliere i pugili italiani che tentano malauguratamente di confrontarsi con gli stranieri. E in questa accozzaglia di rumori e gesta avviene una delle cose più poetiche e reali dell’intero romanzo.
Dopo alcuni scontri piuttosto fastidiosi, anche se involontari, mi ero rincantucciato sotto le ali dei pugili ancora storditi, che fra l’altro erano gli unici con i quali potessi scambiare parola.
Ma imbarazzati pure loro da una comprensibile timidezza, non fiatavano: probabilmente stavano scontando il peso delle botte ricevute, e intenti a riprendere forza, si limitavano a sbarazzare un piatto dopo l’altro, senza mai staccare il naso dalle pietanze, completamente estranei alla festa.
Ecco quello che porta la guerra, volti tumefatti che piuttosto che partecipare agli eventi si riducono a mangiare quello che c’è senza rendersi conto di niente altro.
Ma il viaggio continua. Perché i tre, i due amici e il contadino soprannominato La vaca mora, si ritrovano. E soprattutto nei riguardi del contadino si sviluppa una macchina romanzesca di rara intensità, che Cibotto ha saputo rendere efficace e vitale. Soprattutto nella parte in cui La vaca mora esplode in una violenza incontrollata e uccide a sprangate un guidatore di colore ed una ragazza che si era appartata con lui.
Da questa materia così complessa e convulsa il Cibotto è riuscito a trarre un racconto decisamente unitario e carico di generosa umanità e ricco di avventure.
Non siamo di fronte ad un capolavoro neorealista, le distanze e le forme d’espressione sono lontane, ma certamente un romanzo efficace e pieno di struggenti sentimenti.
L’edizione da noi considerata è:
G.A.Cibotto
La vaca mora
Vallecchi editore
E lui stesso così affermava: Un libro è per me la trascrizione fedele della vita, con in suoi slanci e i suoi bruschi arresti.
Lo definiremmo un neo-realista? Forse no, ma quello che passò Cibotto a seguito della pubblicazione del romanzo La coda del parroco in qualche modo ce lo fa ricondurre.
Il libro, del 1958, affrontava tematiche “audaci” per i tempi, situazioni che toccavano i nervi di certi ambienti perbenisti, di certo conservatorismo più di facciata che altro, che non sopportavano temi come la prostituzione, l’omosessualità o le gite-pellegrinaggio parrocchiale alla tomba di Sant’Antonio da Padova. Levati cielo! Tanto che un allora influente deputato della Democrazia Cristiana, tale Carlo Donat Cattin (capito sì?) chiese, e purtroppo ottenne, la condanna del romanzo di Cibotto, che da alcuni critici veniva indicato come interessante novità (il libro tutt’ora è in vendita e chissà che prima o poi non lo possiamo riprendere).
Cibotto non si ferma e nel 1964 pubblica La vaca mora. Cos’è innanzi tutta questa Vaca Mora.
E’ un nomignolo che il protagonista ed un suo amico Antonio danno ad un contadino che va alla ricerca della sorella nel bailamme degli eserciti di occupazione. Personaggio questo, apparentemente fuori fuoco, un tristarello ancora legato alla cultura fascista e che si scandalizza quando vede un militare americano di colore che se la fa con una ragazza italiana. In realtà costituirà l’essenza di quasi tutta la storia e costringerà i due amici a fare i conti con una realtà triste e desolata.
Come detto nel titolo, La vaca mora è anche una semplice storia di fuga. Fuga dalla guerra ovviamente, meglio, dal dopo guerra ed è il filo conduttore di tutta la vicenda.
Se si escludono i fatti che succedono all’inizio del racconto, a cominciare dai primi contatti dei due amici con la vaca mora, il proseguo avviene a Venezia, dove i tre si separano per poi ritrovarsi in altre, ben più eccitanti, situazioni.
Venezia, naturalmente, è una città che sta tentando di uscire dal conflitto e in questo ambiente del tutto provvisorio si tengono degli incontri di pugilato tra atleti italiani (atleti per modo di dire, perché ancora evidente è la fame e il perdurare delle difficoltà) e atleti di colore.
Antonio, uno dei due amici, è parte del programma, ma l’unica cosa che può fare è raccogliere i pugili italiani che tentano malauguratamente di confrontarsi con gli stranieri. E in questa accozzaglia di rumori e gesta avviene una delle cose più poetiche e reali dell’intero romanzo.
Dopo alcuni scontri piuttosto fastidiosi, anche se involontari, mi ero rincantucciato sotto le ali dei pugili ancora storditi, che fra l’altro erano gli unici con i quali potessi scambiare parola.
Ma imbarazzati pure loro da una comprensibile timidezza, non fiatavano: probabilmente stavano scontando il peso delle botte ricevute, e intenti a riprendere forza, si limitavano a sbarazzare un piatto dopo l’altro, senza mai staccare il naso dalle pietanze, completamente estranei alla festa.
Ecco quello che porta la guerra, volti tumefatti che piuttosto che partecipare agli eventi si riducono a mangiare quello che c’è senza rendersi conto di niente altro.
Ma il viaggio continua. Perché i tre, i due amici e il contadino soprannominato La vaca mora, si ritrovano. E soprattutto nei riguardi del contadino si sviluppa una macchina romanzesca di rara intensità, che Cibotto ha saputo rendere efficace e vitale. Soprattutto nella parte in cui La vaca mora esplode in una violenza incontrollata e uccide a sprangate un guidatore di colore ed una ragazza che si era appartata con lui.
Da questa materia così complessa e convulsa il Cibotto è riuscito a trarre un racconto decisamente unitario e carico di generosa umanità e ricco di avventure.
Non siamo di fronte ad un capolavoro neorealista, le distanze e le forme d’espressione sono lontane, ma certamente un romanzo efficace e pieno di struggenti sentimenti.
L’edizione da noi considerata è:
G.A.Cibotto
La vaca mora
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