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CLASSICI

Alfredo Ronci

Vedi Napoli e poi muori: “Gesù, fate luce” di Domenico Rea.

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In realtà l’introduzione al pezzo è errata (ma davvero quanto è carina). I personaggi che Rea descrive in questo suo secondo libro di novelle (il primo fu Spaccanapoli, successo di critica, ma pochissimo di pubblico) appartengono a entità geografiche sì campane, ma di diversa natura. C’è Napoli appunto, ma troviamo anche Nofi, Cava, Scafati, Sarno e altri ancora.
Domenico Rea può definirsi uno scrittore neorealista? Indubbiamente sì, percorsa com’è la sua scrittura da schemi e nomi che difficilmente avrebbero altra posizione, ma il suo stile è così poetico ed avvincente che ci piace considerare Rea uno scrittore tout-court.
E’ entrato nel mondo delle lettere senza mortificante noviziato. Posizione di chiaro vantaggio, il cui pericolo poteva essere da una parte l’impazienza dell’autore e dall’altra un tal qual sospetto e quasi pentimento del lettore nel cui animo non s’era maturata per gradi, come si invecchia il vino, l’intelligenza di una conturbante scrittura. Queste sono le parole di Francesco Flora, scrittore intellettuale e amico personale di Rea, nell’introduzione al volume ristampato nel 1952 da Mondadori.
In verità lo scrittore campano conobbe, nel corso degli anni ’40 e ’50, personaggi che avrebbero mantenuto alta la considerazione del suo operato e soprattutto la determinazione, identificativa in Rea, che sarebbe potuto nascere un artista (lo dichiarò apertamente nel suo saggio Le due Napoli) che avrebbe potuto guardare i napoletani “dal fondo del pozzo”.
In effetti i personaggi di Gesù, fate luce sono quasi tutti fuori dal giro naturale della vita; non sembrano esistere, ma sopravvivere solo per gridare le loro disgrazie e i loro lutti, costretti a vivere a livello del soddisfacimento dei bisogni elementari della fame e dell’amore. Non che la giovane avesse la faccia di luna; anzi, era scarna, ma perché i lineamenti erano ad imitazione di montagne, colli e fiumi sotto una grande ombra, che era la sua bellezza.
I personaggi delle novelle di Rea appartengono ad un mondo che successivamente avrebbe fatto la sua parte anche nel cinema, in quel robusto ambiente che avrebbe ospitato nomi come Totò, De Sica e i fratelli De Filippo. Ma ancor più che la lucentezza di certo background attoriale vi è l’astuzia e nello stesso tempo la grettezza di sopravvivere per esaltarsi, come per esempio in Capodimorte  dove  un fascista ha fatto credere a tutti, compreso l’ufficio per le pensione degli invalidi, di aver perduto una gamba in guerra nel 22, finché dinanzi al popolo che dopo il 25 luglio del 43 chiede la sua testa, mostra le due gambe intatte e riceve gli applausi dei concittadini per aver fregato il governo.
Esiste una specie di confronto della gente con gli aspetti più crudi, ma nello stesso tempo naturali, del mondo animale… Nei giorni seguenti Turla non uscì e restò sola. Pensava ai due animali, cioè a lei e a Mìnico abbracciati, e Mìnico, per giunta, con la fisionomia della rana e lei con quella del rano. E non poteva dormire.
In Breve storia del contrabbando due coniugi si offendono e si maltrattano violentemente per poi riporsi e riprendere la vita miserevole ed affamata… Marito e moglie nel basso tornano a bisticciarsi e a vituperarsi. Poi, si aggiustano alla meglio nel letto, tra le loro ignare creature. E lei singhiozza e lui l’accarezza, guardando la parete, con le orecchie tese al buio, nella speranza di sentir muovere denaro nel pavimento, non essendoci niente da mangiare domani.
Una vicenda dall’aspetto teatrale che anche nel cinema, nemmeno tanto neorealista, abbiamo visto avvicendarsi e che testimonia, al di là anche di una notevole carica ironica, il sopravvivere e lo spegnersi di ogni speranza di vita.
La corpulenza realistica e stilistica, l’asprezza del linguaggio a volte plebeo e a volte ricco di una classicità anche ricercata, la virtù sintetica nel particolare sono fatti spontanei e presenti in una natura di scrittore che fin dalle origine, cioè fin dai primi tentativi di realizzare una storia, ha conquistato critica e poi pubblico. Un pubblico che poi non ha perso tempo a ringraziarlo col tempo, visto che Rea, poi, nel 1992 vinse il premio Strega con Ninfa plebea.
Morirà due anni più tardi, nel 1994, per un ictus. Ci rimane un poeta della povera gente, come si sarebbe detto un tempo, uno scrittore che pur affrontando temi in una dinamica ben delimitata, ha saputo regalarci sensazioni e visioni che pochi altri hanno ci hanno dato. Domenico Rea ci ha consegnato, come disse ancora una volta il suo amico Francesco Flora, una pagina distesa e pur mossa, drammatica e sorvegliata.




L’edizione da noi considerata è:

Domenico Rea
Gesù, fate luce
Medusa - Mondadori




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