I Classici
L’esordio letterario e le prime paure: “:Riflessi” di Aldo Palazzeschi.
Palazzeschi usa un meccanismo che poi, volente o nolente, sarà utilizzato anche dal romanzo giallo classico (ma :Riflessi, in fondo in fondo, non può essere considerato anche un romanzo di ambientazione “gialla”?)
L’impegno di una donna: “Le quattro ragazze Wieselberger” di Fausta Cialente.
Ormai lo sapete, Fausta Cialente è una delle nostre scrittrici preferite. Una delle poche. Non è tanto, e solo, per il suo modo intelligente di scrivere
Scomode “confessioni”: “La vigna di uve nere” di Livia De Stefani.
La vigna di uve nere uscì nel 1953, e nonostante alcuni giudizi non proprio positivi, ottenne un buon successo e vinse anche il premio Salento. Vediamo la vicenda.
Non Manzoni, però… : “Piccolo mondo antico” di Antonio Fogazzaro.
Fogazzaro non fu decisamente uno spirito quieto. Circa a metà degli anni sessanta dell’ottocento, lo scrittore, forse solo per dare una risposta alla sua mania di creare miti, aderisce al cattolicesimo,
Tutto tranne la scatologia: “Donna Folgore” di Giovanni Faldella.
Non me ne vogliano i lettori, ma il titolo del pezzo è ovviamente dissacrante, ma forse non troppo date le escursioni non proprio moraliste del Faldella più inopinatamente espressivo.
Cosa fu mai quest’avventura? “Una giornata con Dufenne” di Mario Tobino.
Lo dobbiamo dire: in esergo c’è un’imprecisione. Si legge: Questo racconto è tutto di fantasia. E siamo ancora capendo perché Tobino abbia detto una simile sciocchezza.
Tra mare e terra: “I delfini sulle tombe” di Giuseppe Cassieri.
Strano però il percorso narrativo di Cassieri: scrittore, potremmo quasi definirlo, di acqua, per questioni sue personali si trasferì in altri ambienti e da qui nacquero altre storie ed altri contesti.
L’eccezione che conferma la regola: “Veronica, i gaspi e Monsignore” di Marcello Barlocco.
Diceva Carmelo Bene: …interessante scrittore. Alto un metro e novanta, pesava trenta chili. Faceva impressione. L’avevano internato per vent’anni in manicomio, l’appendevano all’ingiù con la testa nel cesso. Raccontava anche strani riti, di messe nere, di bambini sacrificati, ma nessuno gli dava ascolto.
Un cantore della Sardegna silenziosa: “Paese d’ombre” di Giuseppe Dessì.
Dunque Dessì parla della Sardegna come fosse un elemento quasi fisico, una “zona di silenzio” che cattura il cittadino, il sardo per l’appunto.
Un mancato capolavoro: “Gioco d’infanzia” di Giovanni Comisso.
Perché abbiamo parlato di un mancato capolavoro? Perché la struttura principale del romanzo, cioè quella voluta e pubblicata dallo stesso Comisso, è assai diversa e priva di accenti più smaccatamente omosessuali rispetto a quella originariamente scritta.
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