RECENSIONI
Rex Stout
Fer-De-Lance
Beat, Pag. 286 Euro 9,00
Encomiabile da parte di Beat edizioni ripubblicare le inchieste di Nero Wolfe. E più che stimolante l'introduzione che Goffredo Fofi fa al volume. Dove con un pizzico di arguzia sottolinea la novità del personaggio ciccioso di Rex Stout. Quella cioè di rappresentare una sorta di trait d'union tra la golden age del giallo e la scossa elettrica dell'avvento dell'hard-boiled.
Personalmente vedo poco, molto poco, di quest'ultimo e invece una messa appunto dell'arte dell'investigazione che aveva avuto come maestri di riferimento e 'materialità' il Dupin di Poe, l'Holmes di Conan Doyle e le cellule grigie di poiriana memoria.
In fondo cosa ha fatto Stout? Ha aggiornato il ruolo di spalla (il pur sempre disponibile Watson, un po' acciaccato perché reduce da guerre afghane, è sostituito da un belloccio, atletico e quasi salutista – perché agli alcoolici preferisce il latte – Archie Goodwin) e ha affinato l'arte dell'investigazione (non perché abbia aggiunto alcunché di meccanico o scientifico alle intuizioni già prodigiose dei colleghi precedenti), ma perché l'ha resa più 'umana' seppur portentosa (l'umanità, crediamo, sta nell'attitudine di vivere le sue avventure vicariamente – insomma, il lavoro sporco lo fa 'la spalla', e di essere comunque centrale alla vicenda).
Però... c'è un però.
E nel decifrarlo creo un parallelismo con le avventure televisive di Nero Wolfe, quelle prodotte in Italia e che vedevano vestire i panni del pachidermico indagatore, Tino Buazzelli e quelle dell'elegante Goodwin, Paolo Ferrari.
Il parallelismo sta nella sopravvalutazione del Buazzelli nazionale e per le proprietà transitive del personaggio stesso che interpretava.
Ho avuto modo, recentemente, di dare un'occhiata a qualche episodio, facilmente reperibile sul mercato DVD, e mi sono accorto che l'illustre attore italiano era in realtà fuori fuoco e addirittura, se mi si permette l'affronto, molto provinciale. Quasi da teatro improvvisato di un dopo lavoro ferroviario. Molto più credibile nella sua logica piacionica, Paolo Ferrari.
Quest'aspetto poco verosimile dello sceneggiato tv lo estendo a tutta l'opera Stoutiana: nel senso che nei romanzi dello scrittore americano avverto una costruzione un po' artefatta (della serie: sfruttamento di modelli pre-esistenti con aggiunta di elementi nuovi, ma vagamente stantii) ed 'un'interpretazione' del personaggio principale gigionesca (chi più gigionesco di Poirot? Ma costui viveva di una difformità quasi ontologica) e sopra le righe. E vi assicuro non c'entrano le orchidee.
Encomiabile però l'operazione delle edizioni Beat perché Wolfe ha ancora un buon seguito e lettori di buona lena. Non da poco.
di Alfredo Ronci
Personalmente vedo poco, molto poco, di quest'ultimo e invece una messa appunto dell'arte dell'investigazione che aveva avuto come maestri di riferimento e 'materialità' il Dupin di Poe, l'Holmes di Conan Doyle e le cellule grigie di poiriana memoria.
In fondo cosa ha fatto Stout? Ha aggiornato il ruolo di spalla (il pur sempre disponibile Watson, un po' acciaccato perché reduce da guerre afghane, è sostituito da un belloccio, atletico e quasi salutista – perché agli alcoolici preferisce il latte – Archie Goodwin) e ha affinato l'arte dell'investigazione (non perché abbia aggiunto alcunché di meccanico o scientifico alle intuizioni già prodigiose dei colleghi precedenti), ma perché l'ha resa più 'umana' seppur portentosa (l'umanità, crediamo, sta nell'attitudine di vivere le sue avventure vicariamente – insomma, il lavoro sporco lo fa 'la spalla', e di essere comunque centrale alla vicenda).
Però... c'è un però.
E nel decifrarlo creo un parallelismo con le avventure televisive di Nero Wolfe, quelle prodotte in Italia e che vedevano vestire i panni del pachidermico indagatore, Tino Buazzelli e quelle dell'elegante Goodwin, Paolo Ferrari.
Il parallelismo sta nella sopravvalutazione del Buazzelli nazionale e per le proprietà transitive del personaggio stesso che interpretava.
Ho avuto modo, recentemente, di dare un'occhiata a qualche episodio, facilmente reperibile sul mercato DVD, e mi sono accorto che l'illustre attore italiano era in realtà fuori fuoco e addirittura, se mi si permette l'affronto, molto provinciale. Quasi da teatro improvvisato di un dopo lavoro ferroviario. Molto più credibile nella sua logica piacionica, Paolo Ferrari.
Quest'aspetto poco verosimile dello sceneggiato tv lo estendo a tutta l'opera Stoutiana: nel senso che nei romanzi dello scrittore americano avverto una costruzione un po' artefatta (della serie: sfruttamento di modelli pre-esistenti con aggiunta di elementi nuovi, ma vagamente stantii) ed 'un'interpretazione' del personaggio principale gigionesca (chi più gigionesco di Poirot? Ma costui viveva di una difformità quasi ontologica) e sopra le righe. E vi assicuro non c'entrano le orchidee.
Encomiabile però l'operazione delle edizioni Beat perché Wolfe ha ancora un buon seguito e lettori di buona lena. Non da poco.
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