CLASSICI
Alfredo Ronci
Un prezioso narratore: “I ragazzi di Milano” di Mario Schettini.
Ho un’annotazione che riguarda Mario Schettini. In realtà un semplice appunto che ho trovato sfogliando Il mestiere del Furbo di Giose Rimanelli (libro che abbiamo già trattato in precedenza) e che ha risvegliato in me una certa attitudine alla provocazione.
Dice Rimanelli (tra l’altro è l’ennesimo giudizio critico nei confronti di Giorgio Bassani): Ha bocciato (il Bassani, appunto), per la sua collana I Contemporanei, un libro dell’autore di I ragazzi di Milano, Mario Schettini; romanzo, questo, per molti versi importante, perché esula appunto dal provincialismo evocativo e monocorde bassaniano, per farsi larga voce, rappresentativo di una cultura e di un sentire che sono moderni.
Ora, al di là delle critiche che Rimanelli sostiene nei confronti di Bassani che ci appaiono esagerate e francamente risibili, e anche al di là del romanzo scartato di Mario Schettini che, dopo un’attenta analisi delle sue opere, non riusciamo a identificare (a meno che non sia proprio I ragazzi di Milano, ma a quel punto dovremmo stabilire alcun regole della lingua parlata, o meglio scritta), tutto il resto ci sembra così ben confezionato che potremmo addirittura dire che se l’avessimo scritto noi, non avremmo aggiunto o tolto una virgola o un punto in più.
Sì, Mario Schettini è davvero uno scrittore rappresentativo di una cultura e di un sentire che sono moderni (ovviamente riferito ai suoi tempi).
Schettini era un uomo singolarissimo, possiamo dire una specie di proscritto letterario, una sorta di Don Chisciotte della letteratura, rimasto pressoché ignorato nel mondo delle lettere. Napoletano, ma di genitori calabresi, uomo molto estroso e bizzarro, molto stravagante, aveva una fede nella letteratura e in genere nella cultura, quale io raramente ho incontrato nella mia vita.
Così ne parlava Remo Cantoni, a Milano, a proposito di una manifestazione dedicata a Schettini in occasione della sua scomparsa avvenuta in quella città prematuramente nel 1969. E d’altronde Milano fu effettivamente il centro nevralgico dei suoi lavori letterari (anche se in alcuni studi e in alcune antologie Schettini rientra nel variegato mondo dei letterati napoletani). Nel corso degli anni ha sviluppato un cocente interesse per la storiografia, scrivendo anche saggi di un certo valore, basti ricordare, tra gli altri, Italia, nascita di una nazione: il romanzo di un secolo oppure Estate 1914: dal dramma di Serajevo alla guerra, ma ha mantenuto una sua dirittura letteraria che la trascinava sin dagli esordi, quando esordì con Il paese dei bastardi nel 1953.
I ragazzi di Milano è del 1956. Il titolo può dare un’idea di un romanzo incentrato su una pluralità di situazioni e di conoscenze, in realtà, se si esclude una figura femminile che aleggerà nell’aria, nonostante la stessa avesse posto fine ai suoi problemi suicidandosi, il resto è, se si può dire, una angosciosa e commovente presa di coscienza di Paolo. E in questo rientra, forse, una disamina dello stile narrativo di Schettini, troppo preso nell’interiorizzazione del personaggio.
Paolo è, se vogliamo, tutto e il suo contrario. Per esempio, a proposito della guerra (ricordiamo che il romanzo, per una lunga fase, è ambientato nei primi anni quaranta) afferma: … chiudersi in se stesso, dovunque fosse, sfuggire alla guerra. Non tanto per il pericolo che essa presentava ma per l’elemento violento, distruttore che portava mutando volto a tutte le cose: togliendo alle cose la loro patina antica, la loro polvere solidificata. La guerra lasciava le cose senza pelle, in pericolo, fuori del loro naturale guscio.
Ma poi, dopo aver partecipato alla guerra confessa: Aveva le braccia allargate, messe in croce, le gambe un po’ aperte. Come uno spaventapasseri tolto dal campo e gettato là, a portata di mano. “I morti sono forse buffi?” disse Paolo, smettendo per un momento di recitare nel suo fantasioso gioco. “Come sono i morti”. Non ci aveva mai fatto caso. Anche in guerra.
Dunque una guerra che tutto toglie e una guerra per cui è impossibile farci caso. Ma è in ogni situazione di maturità che Paolo sbanda, arrivando persino a chiedersi (e a dannarsi) quale fossero stati i rapporti con Eva (la ragazza che si è suicidata) e se si poteva sentire responsabile della sua morte.
Intorno a lui una situazione economica brutale (lui che era il figlioccio ricco dell’imprenditore Beltrame, che dopo la guerra è caduto in disgrazia) che lo porterà ad assumere un contesto forse più consono alla sua condizione.
I ragazzi di Milano è un romanzo, nonostante certe pesantezze, lucido ed intelligente, che racconta un prima e un dopo guerra su cui bisognerebbe riconfrontarsi.
L’edizione da noi considerata è:
Marco Schettini
I ragazzi di Milano
Mondadori – La Medusa
Dice Rimanelli (tra l’altro è l’ennesimo giudizio critico nei confronti di Giorgio Bassani): Ha bocciato (il Bassani, appunto), per la sua collana I Contemporanei, un libro dell’autore di I ragazzi di Milano, Mario Schettini; romanzo, questo, per molti versi importante, perché esula appunto dal provincialismo evocativo e monocorde bassaniano, per farsi larga voce, rappresentativo di una cultura e di un sentire che sono moderni.
Ora, al di là delle critiche che Rimanelli sostiene nei confronti di Bassani che ci appaiono esagerate e francamente risibili, e anche al di là del romanzo scartato di Mario Schettini che, dopo un’attenta analisi delle sue opere, non riusciamo a identificare (a meno che non sia proprio I ragazzi di Milano, ma a quel punto dovremmo stabilire alcun regole della lingua parlata, o meglio scritta), tutto il resto ci sembra così ben confezionato che potremmo addirittura dire che se l’avessimo scritto noi, non avremmo aggiunto o tolto una virgola o un punto in più.
Sì, Mario Schettini è davvero uno scrittore rappresentativo di una cultura e di un sentire che sono moderni (ovviamente riferito ai suoi tempi).
Schettini era un uomo singolarissimo, possiamo dire una specie di proscritto letterario, una sorta di Don Chisciotte della letteratura, rimasto pressoché ignorato nel mondo delle lettere. Napoletano, ma di genitori calabresi, uomo molto estroso e bizzarro, molto stravagante, aveva una fede nella letteratura e in genere nella cultura, quale io raramente ho incontrato nella mia vita.
Così ne parlava Remo Cantoni, a Milano, a proposito di una manifestazione dedicata a Schettini in occasione della sua scomparsa avvenuta in quella città prematuramente nel 1969. E d’altronde Milano fu effettivamente il centro nevralgico dei suoi lavori letterari (anche se in alcuni studi e in alcune antologie Schettini rientra nel variegato mondo dei letterati napoletani). Nel corso degli anni ha sviluppato un cocente interesse per la storiografia, scrivendo anche saggi di un certo valore, basti ricordare, tra gli altri, Italia, nascita di una nazione: il romanzo di un secolo oppure Estate 1914: dal dramma di Serajevo alla guerra, ma ha mantenuto una sua dirittura letteraria che la trascinava sin dagli esordi, quando esordì con Il paese dei bastardi nel 1953.
I ragazzi di Milano è del 1956. Il titolo può dare un’idea di un romanzo incentrato su una pluralità di situazioni e di conoscenze, in realtà, se si esclude una figura femminile che aleggerà nell’aria, nonostante la stessa avesse posto fine ai suoi problemi suicidandosi, il resto è, se si può dire, una angosciosa e commovente presa di coscienza di Paolo. E in questo rientra, forse, una disamina dello stile narrativo di Schettini, troppo preso nell’interiorizzazione del personaggio.
Paolo è, se vogliamo, tutto e il suo contrario. Per esempio, a proposito della guerra (ricordiamo che il romanzo, per una lunga fase, è ambientato nei primi anni quaranta) afferma: … chiudersi in se stesso, dovunque fosse, sfuggire alla guerra. Non tanto per il pericolo che essa presentava ma per l’elemento violento, distruttore che portava mutando volto a tutte le cose: togliendo alle cose la loro patina antica, la loro polvere solidificata. La guerra lasciava le cose senza pelle, in pericolo, fuori del loro naturale guscio.
Ma poi, dopo aver partecipato alla guerra confessa: Aveva le braccia allargate, messe in croce, le gambe un po’ aperte. Come uno spaventapasseri tolto dal campo e gettato là, a portata di mano. “I morti sono forse buffi?” disse Paolo, smettendo per un momento di recitare nel suo fantasioso gioco. “Come sono i morti”. Non ci aveva mai fatto caso. Anche in guerra.
Dunque una guerra che tutto toglie e una guerra per cui è impossibile farci caso. Ma è in ogni situazione di maturità che Paolo sbanda, arrivando persino a chiedersi (e a dannarsi) quale fossero stati i rapporti con Eva (la ragazza che si è suicidata) e se si poteva sentire responsabile della sua morte.
Intorno a lui una situazione economica brutale (lui che era il figlioccio ricco dell’imprenditore Beltrame, che dopo la guerra è caduto in disgrazia) che lo porterà ad assumere un contesto forse più consono alla sua condizione.
I ragazzi di Milano è un romanzo, nonostante certe pesantezze, lucido ed intelligente, che racconta un prima e un dopo guerra su cui bisognerebbe riconfrontarsi.
L’edizione da noi considerata è:
Marco Schettini
I ragazzi di Milano
Mondadori – La Medusa
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