I Classici

Io lo chiamo l'uomo viaggiatore, Tonino Guerra lo ha chiamato 'L'uomo parallelo'.
Impossibile decontestualizzare il romanzo che andiamo a trattare. L'anno di uscita è il 1969: già sufficiente per connotarlo e per non andar raminghi. Anno di speranze ed urla, di sogni ed illusioni, di cambiamenti e di tensione. Anno di confessioni.
Perché il romanzo di Tonino Guerra, recentemente scomparso, è proprio questo: un tentativo tra il surreale ed il poetico, di rappresentarsi schietto e senza filtri. E di ridisegnare la figura dell'uomo che è assai simile al contraltare concettuale di Marcuse, il filosofo tanto in voga in quegli anni: l'uomo ad una dimensione.

I 'Signori del Tempo' di Wilson Tucker e la fantascienza che inseguiva l'immortalità.
Ringrazio ufficialmente Fabrizio Patriarca, senza il suo sagace consiglio questo capolavoro della fantascienza non l'avrei mai letto. La prima edizione italiana risale al lontano 1 aprile 1973, uscita nella collana Urania di Mondadori. In realtà il racconto è del 1954 e non sono sicuro che a quell'epoca qualcuno l'avesse già tradotto. La storia è presto detta, Gilbert Nash (stupendo anagramma che sta per Gilgamesh), precipita sulla Terra in un periodo imprecisato nella preistoria. Con lui precipitano altri occupanti di una navicella spaziale in missione, proveniente da un lontano pianeta.

Un altro dimenticato in nome dell'ideologia: Dino Garrone e il suo 'Sorriso degli etruschi'.
Ci è dato sapere in parte quanto Garrone fosse sodale col fascismo (per una ridefinizione esatta del personaggio andrebbero rilette le corrispondenze con gli amici e colleghi), ma il suo consenso gli costò in seguito stima e seguito. Una straordinaria intelligenza unita ad una passione per l'avventura e ad una volontà di emergenza lo portano ad un'adesione romantica al regime. Lui stesso definì la scelta un drammatico equivoco, ma questa lo condannò, suo malgrado, ad una forzata rimozione postbellica.

Donna moderna e d'altri tempi: Matilde Serao ed il feuilleton de 'Il delitto di Via Chiatamone'.
Va detto: che la parola 'delitto' si usava anche per accadimento tragico senza morte del misero/a.
Qui è il caso appunto: di una sciagura quasi compiuta, ma della sopravvivenza della vittima a cui hanno sparato dalla strada.
Con Il delitto di Via Chiatamone siamo in pieno feuilleton. Frizzi, lazzi, struggimenti e sentimenti buoni a badilate, nella melma zuccherina del melodramma di stampo mastriano. Con in più una sopresa, di chi bellamente suggerisce che la nascita del giallo percorra una strada che da Filadelfia (Poe no?) passi per Londra per attraversare nientepopodimenoche le strade aristocratiche e misere nello stesso tempo della città di Napoli.

Un maestro, disperato tra i disperati: Lorenzo Viani e il suo 'Angiò, uomo d'acqua'.
Qui non si può parlar d'arte, ma solo di letteratura: non un limite, ma una necessità. Altrimenti non basterebbe spazio per studiare Viani e la sua statura di pittore.
Andiamo sullo scrittore, che conosciamo meglio e che più s'addice all'occasione. Sullo scrittore e sulle 'sue' creature, quelle che amò e sulle quali costruì un universo letterario, ma che era solo specchio della vita: i reietti, i diseredati, gli esclusi, gli emarginati, i disgraziati, i soli e disperati.
Non è facile raccapezzarsi sull'opera narrativa di Viani ma, in questa, un punto solido e in comune v'è: l'amore per il diverso, colui che la società emargina, vuoi per condizioni 'oggettive', vuoi per gli accadimenti incerti del destino.

Il vittoriniano, fosco, romanzo di Vasco Pratolini: 'Un eroe del nostro tempo'.
Nel sentiero dei nidi di ragno Calvino si chiede in che modo la crudeltà dei partigiani è legittima, mentre non lo è quella fascista (si riferisce al drammatico episodio della vendetta di quattro cognati calabresi nei confronti di un prigioniero fascista). Gli viene in aiuto un 'suo' stesso personaggio che gli dice che basta sapere dove va il senso della storia per comprendere la giustezza delle azioni.
Non vorremmo riaprire qui la diatriba sulla riconciliazione nazionale e sulla proposta di Violante: è soltanto un approccio, per nulla slegato, al romanzo di Vasco Pratolini.

Più che una rimostranza su 'Il bell'Antonio' di Vitaliano Brancati.
Era un bel dire quello del Pedullà, quando affermava che il novecento letterario fu soprattutto dell'umorismo e del comico: Palazzeschi, Bontempelli, Pirandello, Campanile, Malerba, Gadda... insomma un plotone di nomi (l'elenco intero sarebbe assai noioso) 'pesanti' che utilizzò, con piacimento, l'arte doppia della tragedia in farsa o viceversa.
Manca oggidì questa regola: eppure se l'uomo del secolo scorso, ai primordi della psicanalisi, intuiva le nevrosi,

Carneficina pop: "American Psycho" di Bret Easton Ellis.
Come una cena indigesta genera brutti sogni, per lo stesso principio American Psycho appare stilisticamente come il risultato di un'abbuffata a base di cultura pop. Sembra che Easton Ellis abbia ingurgitato decine di sit-com e magazine, video clip e talk show, metabolizzandone il linguaggio e reinvestendolo in quella che, forse, è la più feroce satira esistente di un certo spicchio di mondo. Parliamo del mondo del vero lusso, dei giovani rampanti nella New York degli anni ottanta.
Easton Ellis sceglie di raccontarcelo attraverso la prima persona, e impariamo subito che il suo protagonista, Patrick Bateman, è dotato di invidiabile gusto estetico e di uno sguardo ultracritico.

Futurista e seduttore : 'Come si seducono le donne' di F.T. Marinetti.
Non potendo avere tra le mani l'originale, mi sono accontentata di un curioso libro trompe-l'oeil, astutamente antichizzato. Copertina ingiallita e stazzonata, ma è tutto finto. All'interno l'illusione prosegue con i caratteri d'epoca, e con la presenza di alcune pagine numerate ma prive di testo, così lasciate da un drastico intervento della censura. Un prodotto spaventosamente kitsch ma, perché no, divertente nella sua ingenuità evocativa. Il testo ha tutti i caratteri del futurismo: scoppiettante, tracotante, iconoclasta e generosamente eccessivo.

Il bisogno della classicità: 'Michelaccio' di Antonio Baldini.
Scriveva Bino Sanminiatelli a proposito di Antonio Baldini nel suo Il permesso di vivere (da noi recentemente presentato, sempre in questa sezione): Ma non posso togliermi, di fronte a lui, un'ombra di soggezione per quella sua grande disinvoltura di scrittore principe che prima di scrivere sembra fecondi la pagina, per la sua prosa invulnerabile, per la sua esigente riservatezza, per il ricordo della Ronda, di quel movimento di letterati aristocratici, la cui humanitas fu una specie di scoperta della civiltà letteraria italiana.
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