CINEMA E MUSICA
Adriano Angelini
L'inossidabile elettro danza dei Fratelli Chimici. 'Further' dei Chemical Brothers.

Primo venne il singolo. Swoon. Un tormentone inascoltabile e monocorde, riempito a tratti dal solito dirompente crescendo techno, e un video beota col quale si sono riannunciati al mondo. Eccoci, siamo tornati, siamo i Fratelli Chimici (in arte Chemical Brothers) e veniamo per farvi s-ballare, al solito. Solo che stavolta pure se la radio l'hanno lanciata come si deve, il successo non è stato così clamoroso. E allora, per curiosità, ho comunque voluto dar loro fiducia. E ho fatto bene. Perché anche stavolta il duo Rowland/Simons ci ha preso. Swoon è solo un noiosissimo incidente di percorso. Further, ottavo album in studio, è semplicemente fantastico. La prima traccia degnissima di nota, se si passa indenni l'intro/prima traccia gracchiante (Snow W/Stephanie Dosen) è la mastodontica Escape velocity; una bomba di ritmo e melodia come forse non gli era mai riuscita prima. Un turbinio di psichedelismo danzante che non suonarla in pista, magari come apertura serata, appare un oltraggio all'istituzione discoteca. Un missile che, scaldando bene tutti i motori, schizza tra le gambe della folla per tarantolarla. Undici minuti e cinquantasette secondi da non poter star fermi un attimo. Con Another world, leggerissima e arieggiante, si scende di tono e ci si immerge in un profluvio di suoni e di carezze liquide. Anche Dissolve si tiene su un registro più fluido e meno sincopato. Bello l'intro con le tastiere che sembrano rimbalzare da un punto all'altro dei padiglioni auricolari. Elegante e imponente l'ascesa del ritmo, molto '70s, molto colonna sonora da B movie poliziesco. Subito dopo però si torna in pista, Horse power; letteralmente, una cavalcata sfrenata per i campi che sembra non voler finire mai con una voce metallica e robotica che ci annuncia la discesa in campo di stalloni irrefrenabili con la loro carica acida (ed erotica a dir poco!). E dopo? E dopo loro sono così bravi a modulare le emozioni, gli istinti; dopo viene K+D+B che ci riporta il sereno, fa scendere il polverone degli zoccoli, le sinapsi si riassestano e risintonizzano su un tramonto immaginario. Sembrano suonare cornamuse irlandesi con lo sfondo di una marcetta che picchietta sbarazzina. Fino alla meraviglia finale: Wonders of the deep, appunto (le meraviglie del profondo, degli abissi), quelle che dovremmo aver esplorato con la loro musica (e solo con quella e non con altro, mi raccomando, furbetti!), lì dove vivono creature ancora sconosciute; acqua o terra, non importa. Un finale da sigla e titoli di coda esplosivo. Una tastierina tappeto e qualche lieve accensione/ascensione di synth e batteria. Bene, bravi. Dopo otto album... regalarci ancora dei pezzi che, di sicuro, diverranno ancora dei classici! Che vi fumate fratellini? La vogliamo anche noi!
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