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Il Paradiso degli Orchi
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CINEMA E MUSICA

Marco Minicangeli

Tron Ares

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C’è stato un momento – agli inizi degli anni 80’ – in cui tutto è
cambiato e si sono ridefiniti i parametri con i quali ci rapportiamo
al mondo. Lo sviluppo delle tecnologie informatiche ha reso
possibile immaginare una realtà “altra”, un mondo sintetico.
Insomma, una sorta di “seconda” natura.
A farla da padrone in questa transizione c’è stato il mondo dei
videogiochi e il cinema. Da questo punto di vista Tron (1982,
regia di Steven Lisberger) fu un film fondamentale, perché
provava a dare corpo a quello che un paio d’anni dopo William
Gibson avrebbe canonizzato con il suo indimenticabile
Neuromante: si abbandonava il corpo e si entrava nella matrice,
nel cyberspace, come avatar. Era quello che avveniva a Kevin
Flynn (un giovane Jeff Bridges), protagonista del film. Il
movimento era perciò da fuori a dentro, dalla realtà reale alla
realtà virtuale. Stupefacente.
Se Tron Legacy (2010) continuava su questa falsariga, Tron
Ares invece ribalta completamente il tavolo. Ormai stiamo
discutendo se la IA abbia o meno la possibilità di acquisire una
coscienza, ed è naturale perciò che il movimento sia da dentro a
fuori. Concepite dalla Dillinger nel virtuale e poi sintetizzate nel
reale, abbiamo guerrieri e super-armi (cos’altro?). Il problema però
è che questi “Sintex” hanno vita assai breve. 29 minuti. Parte da
qui Tron Ares (regia di Joachim Rønning).
La soluzione è in mano alla Encom, l’azienda rivale che fu dei Flynn:
un codice che annullerebbe questa sorta di obsolescenza non-programmata.
E potrebbe rendere i sintetizzati più umani, almeno nelle intenzioni
di Eve Kim (Greta Lee) della Encom. Ad aiutarla il “ribelle” Ares
(Jared Leto), programmato dalla Dillinger e che a questa si
ribellerà alla ricerca dell’umanità.




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