CLASSICI
Alfredo Ronci
La nostalgia del lottatore: “Il supplente” di Fabrizio Puccinelli.

Devo dire la verità, quando mi sono accinto a leggere Il supplente di Fabrizio Puccinelli: di lui non sapevo assolutamente nulla, tranne le poche indicazioni che ricavai dalla lettura del libro che lo stesso autore ha scritto insieme a Giovanni Mariotti e cioè: Gabbie (sorta di romanzo, in realtà due episodi ben distinti di cui Puccinelli rappresentava la prima parte) e che potete tranquillamente ricercare in questa nostra rubrica.
Una cosa però la ricordo con attenzione: il fatto di associare questo romanzo ad un altro (con lo stesso titolo) e cioè Il supplente di Angelo Fiore. Mi chiedevo: che fosse della stessa materia? Che riguardasse la difficoltà dei due personaggi di confrontarsi con gli studenti e soprattutto con gli altri insegnanti? Che al centro di tutto ci fosse una sorta di disagio interiore?
Certo che sì, ma tutto sommato no. E vediamo il perché. Intanto mi preme sottolineare un aspetto, anzi lo lascio sottolineare a Giorgio Manganelli: Tra tutti i generi letterari, il romanzo è il più sfrenatamente polimorfo. I Promessi Sposi, Don Chisciotte, Alice nel Paese delle Meraviglie, Il Processo di Kafka, l’Ulisse di Joyce sono tutti classificati come romanzi. Dunque, tutto ciò che non sia né sonetto né teatro rischia di essere romanzo (Concupiscenza letteraria - Adelphi).
E’ vero, tutto quello che non è poesia o teatro passa per romanzo. Anche Il supplente è visto come un romanzo anche se, essendo precisi ed appropriati, non è altro che una serie di pensierose riflessioni sulla vita e sulla malinconia. Poi, e qui anche se parzialmente delusi, troviamo anche quello che ci aspetteremmo d’incontrare da una storia scolastica.
Puccinelli, negli anni sessanta, fu insegnante in varie scuole e per un certo periodo fu supplente in alcuni istituti ben lontani dalle grosse città, lui che era natio di Lucca. Sono a Villalta da una settimana. Sto in una pensione, in una camera con le finestre vicine alle torri dell’antico castello medievale, che costituisce la parte più alta del paese (…). Il paese è circondato da montagne già coperte di neve.
E in questo ambiente circondato dalla natura, anzi, immerso nella natura, Puccinelli insegna ad un gruppo di ragazzi, che non si discosta molto da quello che hanno intorno… I ragazzi scrivono di quel che vogliono, io gli do pochi consigli. Molti parlano del viaggio che fanno per venire a scuola: dalle botteghe che si aprono, delle stalle da cui escono donne con brocche di latte, del pane appena cotto, del fumo dei camini all’alba, della valle ancora buia, della strada gelata, dei muli che scalpitano nel profondo delle stalle, dei pastori che vanno a dar fieno alle pecore nei recinti.
Ma tutto questo basta ad uno scrittore dalle cadenze umanistiche o è soltanto (come direbbe il prefatore che non si firma ma chissà perché abbiamo pensato sia stato lo stesso Giovanni Mariotti, allora direttore della biblioteca blu, la stessa che ha pubblicato Il supplente)… debole il suo statuto e il rapporto con i luoghi; e non meno debole è la condizione personale che lo mantiene, come per magia, nel cerchio di una realtà abbandonata e priva di cure, ai margini della vita e quasi dentro una infanzia che inselvatichisce.
Se devo essere sincero la lettura del libro, nonostante più di qualcuno abbia messo in evidenza il sottile strato di malinconia, mi ha suggerito altro, un po’ per la “dimensione” geografica del luogo, un po’ anche (anzi soprattutto) per la statura morale del personaggio: la Resistenza. E scrivo questo mettendo in rilievo la parola usata. Ho avuto l’impressione che nonostante il male di vivere, nonostante la vita, come direbbe lo stesso Puccinelli. sia una sorta di “vespri”, l’autore sia comunque un combattente umano, una specie di veicolo esistenziale: Cosa sia questo racconto lontanissimo, come il sole nei deserti troppo a nord della terra che appena appena appare in certe stagioni dell’anno sulla linea dell’orizzonte, noi non lo sappiamo, ma quando raccontiamo che cosa è la nostra se non la ripetizione personale di una festa più lontana?
Giovanni Mariotti, tempo fa, cioè quasi ai tempi de Il supplente, confessò una cosa: che tentò di piazzare il libro nei vari editori dell’epoca, ma ricevette sempre un diniego. La domanda che si faceva (e che in qualche modo ce la facciamo pure noi) era la seguente: perché un’opera sensibile e concreta come questa, per certi versi uguale a molte altre, non dovrebbe avere la stessa possibilità di pubblicazione?
La pubblicò lui nella Biblioteca blu di Franco Maria Ricci. Gliene siamo grati.
L’edizione da noi considerata è:
Fabrizio Puccinelli
Il supplente
Biblioteca blu – Franco Maria Ricci
Una cosa però la ricordo con attenzione: il fatto di associare questo romanzo ad un altro (con lo stesso titolo) e cioè Il supplente di Angelo Fiore. Mi chiedevo: che fosse della stessa materia? Che riguardasse la difficoltà dei due personaggi di confrontarsi con gli studenti e soprattutto con gli altri insegnanti? Che al centro di tutto ci fosse una sorta di disagio interiore?
Certo che sì, ma tutto sommato no. E vediamo il perché. Intanto mi preme sottolineare un aspetto, anzi lo lascio sottolineare a Giorgio Manganelli: Tra tutti i generi letterari, il romanzo è il più sfrenatamente polimorfo. I Promessi Sposi, Don Chisciotte, Alice nel Paese delle Meraviglie, Il Processo di Kafka, l’Ulisse di Joyce sono tutti classificati come romanzi. Dunque, tutto ciò che non sia né sonetto né teatro rischia di essere romanzo (Concupiscenza letteraria - Adelphi).
E’ vero, tutto quello che non è poesia o teatro passa per romanzo. Anche Il supplente è visto come un romanzo anche se, essendo precisi ed appropriati, non è altro che una serie di pensierose riflessioni sulla vita e sulla malinconia. Poi, e qui anche se parzialmente delusi, troviamo anche quello che ci aspetteremmo d’incontrare da una storia scolastica.
Puccinelli, negli anni sessanta, fu insegnante in varie scuole e per un certo periodo fu supplente in alcuni istituti ben lontani dalle grosse città, lui che era natio di Lucca. Sono a Villalta da una settimana. Sto in una pensione, in una camera con le finestre vicine alle torri dell’antico castello medievale, che costituisce la parte più alta del paese (…). Il paese è circondato da montagne già coperte di neve.
E in questo ambiente circondato dalla natura, anzi, immerso nella natura, Puccinelli insegna ad un gruppo di ragazzi, che non si discosta molto da quello che hanno intorno… I ragazzi scrivono di quel che vogliono, io gli do pochi consigli. Molti parlano del viaggio che fanno per venire a scuola: dalle botteghe che si aprono, delle stalle da cui escono donne con brocche di latte, del pane appena cotto, del fumo dei camini all’alba, della valle ancora buia, della strada gelata, dei muli che scalpitano nel profondo delle stalle, dei pastori che vanno a dar fieno alle pecore nei recinti.
Ma tutto questo basta ad uno scrittore dalle cadenze umanistiche o è soltanto (come direbbe il prefatore che non si firma ma chissà perché abbiamo pensato sia stato lo stesso Giovanni Mariotti, allora direttore della biblioteca blu, la stessa che ha pubblicato Il supplente)… debole il suo statuto e il rapporto con i luoghi; e non meno debole è la condizione personale che lo mantiene, come per magia, nel cerchio di una realtà abbandonata e priva di cure, ai margini della vita e quasi dentro una infanzia che inselvatichisce.
Se devo essere sincero la lettura del libro, nonostante più di qualcuno abbia messo in evidenza il sottile strato di malinconia, mi ha suggerito altro, un po’ per la “dimensione” geografica del luogo, un po’ anche (anzi soprattutto) per la statura morale del personaggio: la Resistenza. E scrivo questo mettendo in rilievo la parola usata. Ho avuto l’impressione che nonostante il male di vivere, nonostante la vita, come direbbe lo stesso Puccinelli. sia una sorta di “vespri”, l’autore sia comunque un combattente umano, una specie di veicolo esistenziale: Cosa sia questo racconto lontanissimo, come il sole nei deserti troppo a nord della terra che appena appena appare in certe stagioni dell’anno sulla linea dell’orizzonte, noi non lo sappiamo, ma quando raccontiamo che cosa è la nostra se non la ripetizione personale di una festa più lontana?
Giovanni Mariotti, tempo fa, cioè quasi ai tempi de Il supplente, confessò una cosa: che tentò di piazzare il libro nei vari editori dell’epoca, ma ricevette sempre un diniego. La domanda che si faceva (e che in qualche modo ce la facciamo pure noi) era la seguente: perché un’opera sensibile e concreta come questa, per certi versi uguale a molte altre, non dovrebbe avere la stessa possibilità di pubblicazione?
La pubblicò lui nella Biblioteca blu di Franco Maria Ricci. Gliene siamo grati.
L’edizione da noi considerata è:
Fabrizio Puccinelli
Il supplente
Biblioteca blu – Franco Maria Ricci
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