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RECENSIONI

Murakami Haruki

La città e le sue mura incerte

Einaudi, Traduzione di Antonietta Pastore, Pag. 547 Euro 23,00
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Confesso che per me, per la mia età, per i miei limiti intellettuali, leggere
M. Haruki sta diventando un’impresa.
Intanto per la ponderosità delle sue opere. Altre volte l’autore ci ha fatto la
grazia di suddividerle in due tomi (si pensi a 1Q84 o all’Assassinio del
commendatore); qui invece ce le dobbiamo seguire tutte di fila queste
quasi 600 pagine. E visto che non sono ancora passato al magico mondo
degli e-book e probabilmente non lo farò mai, anche il tenerlo in mano,
questo suo libro, per me è diventata una fatica.
Ma anche superando tutto questo, il problema principale è che sono anche
Disposto a leggere un fantasy completo, dove la sospensione
dell’incredulità è d’obbligo. E ben volentieri leggo i libri distopici, dove la
lungimiranza e la visionarietà di certi autori (Huxley, Orwell, Bradbury)
immaginano   una realtà distorta,     di là da venire ma che forse (anzi
sicuramente) è già in embrione nella realtà attuale. Murakami invece, nei
suoi libri, picchia duro sulla commistione tra realtà e magia (si badi bene:
non fantasia ma pura magia); in questo caso forse più che in tanti altri. E
seguirlo nei suoi labirintici pensieri, nei distorti percorsi della sua storia, lo
ripeto, è un’autentica impresa.
Detto questo, parliamo del libro.
Scritto benissimo, ci mancherebbe altro, con una capacità descrittiva e una
padronanza di linguaggio da dieci e lode; personaggi caratterizzati in
maniera completa, precisa. Ovviamente i temi a lui cari, per chi ha letto
altre sue opere, ricorrono costantemente: la passione per la musica
(soprattutto il jazz); la meticolosità nel descrivere i piatti cucinati; la routine
che il protagonista, come tanti degli altri suoi libri, single non per scelta ma
per sottrazione, mette nei suoi gesti quotidiani. Accennavo al fatto che il
protagonista vive da solo. La storia si dipana (nel tempo reale) attraverso
quasi tutta la vita del narratore, dall’adolescenza fino alla soglia dei
cinquant’anni. All’inizio, liceale ingenuo e anche un po' imbranato, conosce
a un concorso letterario della sua scuola una ragazza più piccola di un anno.
Né lei né lui hanno un nome e rimarranno così, innominati per tutta la
durata del romanzo. Sembra proprio che ci siano i presupposti per un
amore destinato a essere eterno, quello che tutti abbiamo sognato
inconsciamente: ci si innamora da giovani e poi non ci si lascia più.
Insieme, i due fantasticano su una citta immaginaria che la ragazza descrive
al ragazzo con una dovizia di particolari che solo una grande fantasia, o una
conoscenza del luogo, può giustificare. Fin qui tutto nella norma: chi di noi,
a sedici anni, non ha inventato storie in cui perdersi, fantasticando su libri e
film? Forse proprio tutti no, ma parecchi sì. Il fatto è che la ragazza parla di
questa città come se ci fosse già stata, anzi una città in cui lei abita ancora.
E se lei ci abita, chi è in realtà la persona di cui il ragazzo si è perdutamente
innamorato? ​
Qui c’è il tema principale del libro: la dicotomia tra la persona e la sua
ombra, la persona e la sua proiezione. O forse la sua coscienza? Il ragazzo
è comunque    affascinato da lei, oltre che innamorato e ricambiato,
e quindi non si spiega come mai, dopo alcuni segnali di
stranezza da parte sua, la ragazza scompaia. Svanisce così, senza lasciar
traccia. Nell’ultima lettera che gli invia, dice di sentirsi come il comandante
di una nave che sta affondando e che aspetti solo di essere inghiottito dai
flutti. Poi più niente…
Lui passerà tutta la giovinezza a pensarla, a chiedersi chi fosse veramente e
dove possa essere finita, perdendosi così tutto quello che un giovane può
fare o realizzare della sua vita. Soltanto qualche piccola storia d’amore, un
lavoro banale e di routine è quello che ottiene.
Poi, magicamente, non si sa come, si ritrova all’interno delle mura incerte
Della città fantastica. Incerte in quanto non individuabili, difficili da
tracciare, addirittura semoventi. Una città senza animali tranne che per gli
unicorni e gli uccelli, custodita da un guardiano temibile, da cui si può solo
entrare e mai uscire, salvo alcune eccezioni. Una città in cui si viene
separati dalla propria ombra. Qui lui, ormai quarantenne, ritrova la ragazza
con le stesse sembianze di allora che fa la bibliotecaria di una biblioteca
senza libri e che invece custodisce i sogni delle persone. E lui, il ragazzo
ormai diventato uomo, sembra destinato a essere per sempre il lettore di
quei sogni. Sembra, perché riuscirà a ritornare nella vita reale e a rimettersi
a lavorare, guarda caso, in una libreria di montagna. Anche qui, la fantasia
dei personaggi supererà di gran lunga la realtà, con un andirivieni di
situazioni al limite della più fantasiosa magia.
E a proposito di magia, è a pagina 484 del libro che, finalmente, Murakami
ci rivela come si può classificare il suo genere letterario. Il suo stile.
Parlando con un’amica che gestisce un bar sempre collegato su una radio
che trasmette musica jazz, un’amica che sta leggendo Marquez, lui dice
queste testuali parole: “Nelle storie che racconta (Marquez, appunto), la realtà e l’irrealtà,
i vivi e i morti si mescolano in una cosa sola. Come se fosse del tutto normale nella
vita quotidiana”.
Al che l’amica suggerisce: “È quello che molti chiamano realismo magico”.
Eccola qui la definizione che mi sfuggiva. Realismo magico.
Concludo dicendo che anche quest’anno Murakami era tra i candidati al
Nobel per la letteratura ma, anche quest’anno, è stato superato da un
autore pressoché sconosciuto (almeno a me). A questo punto mi domando
di quale colpa grave si sia macchiato il giapponese per essere
costantemente bocciato. Borges, per esempio, per i contatti col dittatore
cileno Pinochet. Ma lui?
Forse, più semplicemente, ci sono autori più meritevoli. Oppure chi lo sa, i
giudizi dell’Accademia sono insindacabili…

di Massimo Grisafi


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Gustoso


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Kafka sulla spiaggia di Murakami Haruki è un quadro che prende vita, ne inventa e ne rende agli occhi commossi, agli sguardi che si muovono al di qua della pagina scritta.
La mistica fantastica dello scrittore giapponese, riservato e schivo, non si lascia andare a distrazioni umane. La realtà viene messa a tacere.
Per 500 pagine l'irreale prende la parola, incanta con il monologo e il dialogo tra vita, sogni infranti, sogni mai conosciuti, pensieri ritrovati, pensieri perduti, parole bruciate (nel calderone del cuore spezzato dall'odio), oppure assaporate (in un pasto caldo con uno sconosciuto che fa da compagno di viaggio).

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