CLASSICI
Alfredo Ronci
Uno fra tanti? “Il sosia” di Stelio Mattioni.

Nel 1962 esce Il sosia dello scrittore esordiente Stelio Mattioni. La domanda, pertinente soprattutto ai giorni nostri, è questa: che fare di un libro come questo dal momento che l’anno di uscita è anche tra i più “corposi” e interessanti della nostra letteratura? In libreria, tanto per fare qualche nome, vi si trovava Il maestro di Vigevano di Lucio Mastronardi, Il giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani, Gli inganni di Sandro De Feo, La vita agra di Luciano Bianciardi, Memoriale di Paolo Volponi, e per non farci mancare nulla, anche il Premio Strega Mario Tobino con Il clandestino (tralasciamo altri nomi, che noi abbiamo già trattato nella nostra rubrica, per non fare torto a quelli che si consideravano più “in alto”).
Ora di fronte ad una schiera di siffatto prestigio, dove possiamo mettere Stelio Mattioni? Qualcuno, trattandolo, anche giustamente, come scrittore di classe l’ha inserito però nella schiera degli autori triestini (che sì ha una sua valenza, ma certamente lo riduce ancor di più), altri, ma non faccio nomi per non aizzare lo sdegno (il mio no?) in una parentesi legata ai primi anni sessanta della letteratura, nemmeno lo citano (e sinceramente non ne capisco il motivo).
Dunque, davvero dove inserire il Mattioni? Nella Storia generale della letteratura italiana a cura di Nino Borsellino e Walter Pedullà si legge: Mattioni si propone all’attenzione nel 1962 con i racconti del Sosia, ospitati non casualmente da Einaudi, dao che l’attenzione dell’editore di Saba verso Quarantotti Gambini, l’Anonimo Triestino e Mattioni stesso risulta un segno indicativo di stima critica ma anche di accettazione di un certo stereotipo triestino.
Già, stereotipo triestino. Ma in verità, tranne qualche rapidissimo accenno a qualche protagonista dei racconti, Trieste non emerge assolutamente nella prima opera di Mattioni. Le tematiche sono del tutto diverse e a dare ragione a questa tesi c’è proprio la presentazione che del libro si fa nella seconda pagina del libro dove si dice: La famosa asserzione di Dostojevskij: “Noi tutti siamo usciti dal cappotto di Gogol”, può essere fatta propria da Stelio Mattioni senz’aver affatto l’aria d’una riesumazione, tanto naturalmente i suoi impiegati di non ben definiti uffici triestini si rivelano eredi della grande famiglia degli impiegati pietroburghesi o moscoviti di Gogol, del Dostojevskij giovane o del primo Cechov, dei quali rinnovano i tratti con una angosciosa trepidazione psicologica-esistenziale tutta moderna.
Ora, citare Cechov, Gogol e Dostojevskij per parlare di un autore italiano, al suo debutto, non è cosa da poco, anzi, io me ne interesserei immediatamente ed è esattamente quello che ho fatto, con un’unica precisazione, credo che sia indispensabile: Mattioni può forse ricordare gli ambienti e lo stile degli scrittori russi solo per quanto riguarda il primo racconto, e cioè quello che dà il titolo all’antologia, Il sosia, il resto, mi si passi il confronto, ricorda a volte anche certa letteratura neo realista. Ma vediamo meglio.
Il sosia, come già detto da qualcuno, pur raccontando un mondo triestino piccolo-borghese si trasforma, quasi per incanto, in un’anticamera dell’assurdo. Protagonista è appunto un impiegato che non ama molto le donne. Che però è costretto ad averne una e la sceglie sul filobus che ogni mattina lo porta in ufficio. In questa situazione un po’ curiosa ci si mettono anche i colleghi di lavoro e il suo principale che asseriscono di averlo visto appunto insieme ad una donna non meglio identificata.
L’assurdo ruota appunto intorno a questa vicenda “inventata” che il nostro impiegato non smentisce per non sembrare appunto isolato dalle donne. Mattioni, bisogna dire, trasfigura questo suo universo triestino … di bora e d’intemperie attraverso una evocazione minuziosa di cucine e finestre e squallidi interni piccoloborghesi e fermate dell’autobus e uffici pieni di scaffalature e cancellate di magazzini in una sorta di labirinto kafkiano.
Tutto bene, tutto preciso, ma ancora una volta bisogna dire che certi giudizi si adattano al primo racconto, che potremmo anche definirlo un piccolo capolavoro, mentre per il resto, cioè per gli altri quattro racconti, ci si adatta ad uno schema del tutto definito.
La cosa che buffa è che l’ultimo racconto, e precisamente Cinque lune, pur ritornando sul tema della vita di un impiegato, pur raccontando di una esistenza al limite del dramma, si posiziona su un ripiano tutto sommato realista, senza affrontando il tema dell’assurdo, ma non per questo privo di interesse e di partecipazione.
L’edizione da noi considerata è:
Stelio Mattioni
Il sosia
Einaudi
Ora di fronte ad una schiera di siffatto prestigio, dove possiamo mettere Stelio Mattioni? Qualcuno, trattandolo, anche giustamente, come scrittore di classe l’ha inserito però nella schiera degli autori triestini (che sì ha una sua valenza, ma certamente lo riduce ancor di più), altri, ma non faccio nomi per non aizzare lo sdegno (il mio no?) in una parentesi legata ai primi anni sessanta della letteratura, nemmeno lo citano (e sinceramente non ne capisco il motivo).
Dunque, davvero dove inserire il Mattioni? Nella Storia generale della letteratura italiana a cura di Nino Borsellino e Walter Pedullà si legge: Mattioni si propone all’attenzione nel 1962 con i racconti del Sosia, ospitati non casualmente da Einaudi, dao che l’attenzione dell’editore di Saba verso Quarantotti Gambini, l’Anonimo Triestino e Mattioni stesso risulta un segno indicativo di stima critica ma anche di accettazione di un certo stereotipo triestino.
Già, stereotipo triestino. Ma in verità, tranne qualche rapidissimo accenno a qualche protagonista dei racconti, Trieste non emerge assolutamente nella prima opera di Mattioni. Le tematiche sono del tutto diverse e a dare ragione a questa tesi c’è proprio la presentazione che del libro si fa nella seconda pagina del libro dove si dice: La famosa asserzione di Dostojevskij: “Noi tutti siamo usciti dal cappotto di Gogol”, può essere fatta propria da Stelio Mattioni senz’aver affatto l’aria d’una riesumazione, tanto naturalmente i suoi impiegati di non ben definiti uffici triestini si rivelano eredi della grande famiglia degli impiegati pietroburghesi o moscoviti di Gogol, del Dostojevskij giovane o del primo Cechov, dei quali rinnovano i tratti con una angosciosa trepidazione psicologica-esistenziale tutta moderna.
Ora, citare Cechov, Gogol e Dostojevskij per parlare di un autore italiano, al suo debutto, non è cosa da poco, anzi, io me ne interesserei immediatamente ed è esattamente quello che ho fatto, con un’unica precisazione, credo che sia indispensabile: Mattioni può forse ricordare gli ambienti e lo stile degli scrittori russi solo per quanto riguarda il primo racconto, e cioè quello che dà il titolo all’antologia, Il sosia, il resto, mi si passi il confronto, ricorda a volte anche certa letteratura neo realista. Ma vediamo meglio.
Il sosia, come già detto da qualcuno, pur raccontando un mondo triestino piccolo-borghese si trasforma, quasi per incanto, in un’anticamera dell’assurdo. Protagonista è appunto un impiegato che non ama molto le donne. Che però è costretto ad averne una e la sceglie sul filobus che ogni mattina lo porta in ufficio. In questa situazione un po’ curiosa ci si mettono anche i colleghi di lavoro e il suo principale che asseriscono di averlo visto appunto insieme ad una donna non meglio identificata.
L’assurdo ruota appunto intorno a questa vicenda “inventata” che il nostro impiegato non smentisce per non sembrare appunto isolato dalle donne. Mattioni, bisogna dire, trasfigura questo suo universo triestino … di bora e d’intemperie attraverso una evocazione minuziosa di cucine e finestre e squallidi interni piccoloborghesi e fermate dell’autobus e uffici pieni di scaffalature e cancellate di magazzini in una sorta di labirinto kafkiano.
Tutto bene, tutto preciso, ma ancora una volta bisogna dire che certi giudizi si adattano al primo racconto, che potremmo anche definirlo un piccolo capolavoro, mentre per il resto, cioè per gli altri quattro racconti, ci si adatta ad uno schema del tutto definito.
La cosa che buffa è che l’ultimo racconto, e precisamente Cinque lune, pur ritornando sul tema della vita di un impiegato, pur raccontando di una esistenza al limite del dramma, si posiziona su un ripiano tutto sommato realista, senza affrontando il tema dell’assurdo, ma non per questo privo di interesse e di partecipazione.
L’edizione da noi considerata è:
Stelio Mattioni
Il sosia
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