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Il Paradiso degli Orchi
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I Classici

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Alfredo Ronci

Uno scrittore fuori da ogni moda: “Traditori di tutti” di Giorgio Scerbanenco.

Giorgio Scerbanenco ha avuto una vita tutt’altro che felice. Un passato burrascoso, col padre, Valeriano che, insegnante in una scuola di Kiev, fu fucilato

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Alfredo Ronci

Divertirsi non è un problema: “La trappola colorata” di Luciano Folgore.

Luciano Folgore, nome d’arte di Omero Virgilio Cesare Francesco Vecchi (1888-1966), fu tra i principali collaboratori di Marinetti,

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Alfredo Ronci

Un marxista per forza: ‘Le terre del Sacramento’ di Francesco Iovine.

Su Francesco Iovine è stata fatta, almeno stando a quanto si è letto e soprattutto si è scritto, una tassonomica precisazione sul suo operato, o meglio, su quanto lo scrittore stesso, nel corso della sua attività, ha prodotto.

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Il lavoro distruttivo del fascismo: “L’uomo di Camporosso” di Guido Seborga.

Seborga è stato uno scrittore dimenticato, i suoi libri, che hanno avuto discreto successo a partire dalla fine degli anni quaranta, non sono stati mai più ripubblicati e su di lui ovviamente, è caduto il silenzio.

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Resistenza, sempre Resistenza: “Il gallo rosso” di Giovanni Dusi.

Mi sarebbe piaciuto sapere cosa avrebbe potuto dire Claudio Pavone su questo libro che uscì nel 1973 per Marsilio.

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L’Italia si fa: “Paura all’alba” di Arrigo Benedetti.

Prendiamo invece la sua attività letteraria che prima di Paura all’alba propose I misteri della città (1941), Le donne fantastiche (1942) e Una donna all’inferno (1945). Anche Paura all’alba uscì nel 1945 e tra le altre cose, nella copertina principale, riportava un disegno di Renato Guttuso.

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Un’omosessualità più lucida: “Ragazzo di Trastevere” di Giuseppe Patroni Griffi.

Mica è facile parlare di Patroni Griffi. Innumerevoli sono le prestazioni a cui ha dedicato la sua vita letteraria e non solo: narratore, autore di testi teatrali, regista di teatro e di cinema.

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C’è o non c’è ‘l’omosessualità’?: ‘L’onda dell’incrociatore’ di Pier Antonio Quarantotti Gambini.

Quarantotti Gambini fu senza dubbio ricordato come esponente, tra i principali, di quella che un tempo fu chiamata, senza peraltro che si possa contestare, la letteratura triestina del novecento.

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Un classico poliziesco poco poliziesco: “L’assassinio nel vicolo della luna” di Jarro.

In tempi di calura, riscopriamo anche classici che per vari motivi non hanno superato il corso del tempo. Mi chiedo: perché De Angelis sì (scegliamo un nome più conosciuto) e Jarro no?

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Un ‘carbonaro’ decisamente avventuroso: “Braccio di ferro” di Luigi Natoli.

La domanda che mi faccio potrebbe anche non avere un preciso significato e potrebbe essere addirittura valutata come inutile: in Italia quanto la letteratura popolare influenzò l’opinione pubblica o invece fu solo un’aggiunta al procedere sistematico della vita sociale e politica del paese?

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