CLASSICI
Alfredo Ronci
E quest’ altro chi è?: “In pienezza di cuore” di Michele Malesaputo.
Non c’è altro da fare, figlio mio, vomita. Non c’è altro da fare.
Avranno detto, quelli del 1990, l’anno di uscita di questo libro, ma questa cosa cos’è? Già, credo l’avrei detto anch’io di fronte soprattutto ad una copertina che, se hanno ragione i pessimisti, il colore porta pure jella. Ma non solo, sotto il titolo una dicitura che, chissà perché, ogni tanto fa bella mostra di sé: romanzo anonimo. Un po’ come, nel 1961, fece scalpore l’Anonimo Triestino che campeggiava su una copertina einaudiana ma che non fece in tempo a comparire che già si sapeva il nome dell’autore: Giorgio Voghera.
Qui si va oltre: se si apre il libro oltre la copertina si scopre che in realtà lo scrittore di In pienezza di cuore, verso del famoso poeta Osip Mandel’stam, è tale Michele Malesaputo che però, lo dice la stessa definizione, è uno pseudonimo. Beh allora? Ci prendiamo in giro?
Invece no. Dice Roberto Roversi nella quarta di copertina: Sento che il libro richiede, come controparte, un lettore “forte”. Anche paziente. Cioè disposto, addirittura interessato, a lasciarsi coinvolgere da pagine che risultano via via scolpite su un tronco; con le scaglie che schizzano ad ogni riga. Il lungo racconto si regge sulla forza di una parola popolare che non ha paura d’intenerirsi io di offendere, e sulla movimentata mescolanza di gesti, fatti, umori, passioni, sentimenti scabrosi o improvvisi dei protagonisti. Che, con il cuore e le viscere di una cultura ormai travolta, sembrano gridare dalla tomba.
Indubbiamente Roversi, amico di lunga data dello scrittore, lancia, per così dire, dei segnali. Prima di tutto pone l’attenzione su cosa debba essere il lettore del libro: un lettore forte, e in più l’uso della parola popolare indica dei riferimenti che spesso ai più possono sembrare insuperabili.
Mimmo Cervellino, il vero nome dell’autore, che noi abbiamo scoperto dopo aver fatta qualche indagine su Internet, ha scritto un romanzo che forse potremmo dire fatto di nulla, ma che n realtà segna la distanza dal resto della nostra narrativa e realizza un quadro, come diceva appunto Roversi che si regge sulla forza di una parola popolare, che vuol dire, soprattutto, dialetto, che forse, proprio per la capacità affabulatoria di Cervellino è riconducibile al sud, ma non del tutto regionalizzata (probabilmente calabro-lucana).
In pienezza di cuore si svolge essenzialmente su due fronti: una morte e un matrimonio (quest’ultimo prende in realtà più pagine rispetto al primo) e attraverso questi due avvenimenti, una serie di episodi circostanti che realizzano, secondo alcuni critici, un evo contadino, a volte dissacrante, a volte anticlericale e pure filoproletario.
Si raccontano storie, davanti al morto o davanti agli sposi (in realtà il racconto cerca di far leva sulla sposa) decisamente ironici ma che nascondono un’ambientazione storica che è segno anche di una cultura millenaria.
I critici del tempo, pur se il libro è rimasto una specie di terreno perduto (o un oggetto decisamente misterioso) uscirono quasi di senno: Mario Picchi parlò di libro straordinario. Oretta Bongarzoni di linguaggio mitico, osceno, liturgico e sublime. Gianni D’Elia di scandalosa bellezza e persino Walter Pedullà si espresse con magia naturalista di un materialista di grande anima.
Un pieno riconoscimento per un libro che però (contrariamente a quanto si sarebbe potuto prevedere) rimase un buco nel cielo. E forse sono valide le parole in esergo, sempre di Mimmo Cervellino, di quello che un padre suggerisce al figlio.
Ma lo scrittore è riuscito comunque a costruire un romanzo (o un lungo racconto, come direbbe l’amico Roversi) e a rinfrancarci anche nei momenti più puri del desiderio sessuale: Acconciati in atto da chiavare, e tosto che lui avrà cacciato il suo cotale, farai bene, che venga a l’atollite portas; ma prima che giunga a l’introibit rex gloriae, apprendigli i testicoli e la verga colle due mani e dgli: o ben mio, mio tanto desiderato, o speranza di quest’anima infiammata, prima mi saran le mani tolte, che tu mi sii tolto da le mani; e con questo glieli premerai tanto forte… e decisa e svelta a guisa di lavannara comincia pure a torcerli così come torcessi drappi bagnati di bucata… E con forza, dopo averli con una mano levati in alto, spppàaaa sulla pietra viva a duri battimenti.
Sublime, ma davvero per lettori forti e preparati.
L’edizione da noi considerata è:
Mimmo Cervellino (o Michele Malesaputo o anonimo)
In pienezza di cuore
Giffi editore
Avranno detto, quelli del 1990, l’anno di uscita di questo libro, ma questa cosa cos’è? Già, credo l’avrei detto anch’io di fronte soprattutto ad una copertina che, se hanno ragione i pessimisti, il colore porta pure jella. Ma non solo, sotto il titolo una dicitura che, chissà perché, ogni tanto fa bella mostra di sé: romanzo anonimo. Un po’ come, nel 1961, fece scalpore l’Anonimo Triestino che campeggiava su una copertina einaudiana ma che non fece in tempo a comparire che già si sapeva il nome dell’autore: Giorgio Voghera.
Qui si va oltre: se si apre il libro oltre la copertina si scopre che in realtà lo scrittore di In pienezza di cuore, verso del famoso poeta Osip Mandel’stam, è tale Michele Malesaputo che però, lo dice la stessa definizione, è uno pseudonimo. Beh allora? Ci prendiamo in giro?
Invece no. Dice Roberto Roversi nella quarta di copertina: Sento che il libro richiede, come controparte, un lettore “forte”. Anche paziente. Cioè disposto, addirittura interessato, a lasciarsi coinvolgere da pagine che risultano via via scolpite su un tronco; con le scaglie che schizzano ad ogni riga. Il lungo racconto si regge sulla forza di una parola popolare che non ha paura d’intenerirsi io di offendere, e sulla movimentata mescolanza di gesti, fatti, umori, passioni, sentimenti scabrosi o improvvisi dei protagonisti. Che, con il cuore e le viscere di una cultura ormai travolta, sembrano gridare dalla tomba.
Indubbiamente Roversi, amico di lunga data dello scrittore, lancia, per così dire, dei segnali. Prima di tutto pone l’attenzione su cosa debba essere il lettore del libro: un lettore forte, e in più l’uso della parola popolare indica dei riferimenti che spesso ai più possono sembrare insuperabili.
Mimmo Cervellino, il vero nome dell’autore, che noi abbiamo scoperto dopo aver fatta qualche indagine su Internet, ha scritto un romanzo che forse potremmo dire fatto di nulla, ma che n realtà segna la distanza dal resto della nostra narrativa e realizza un quadro, come diceva appunto Roversi che si regge sulla forza di una parola popolare, che vuol dire, soprattutto, dialetto, che forse, proprio per la capacità affabulatoria di Cervellino è riconducibile al sud, ma non del tutto regionalizzata (probabilmente calabro-lucana).
In pienezza di cuore si svolge essenzialmente su due fronti: una morte e un matrimonio (quest’ultimo prende in realtà più pagine rispetto al primo) e attraverso questi due avvenimenti, una serie di episodi circostanti che realizzano, secondo alcuni critici, un evo contadino, a volte dissacrante, a volte anticlericale e pure filoproletario.
Si raccontano storie, davanti al morto o davanti agli sposi (in realtà il racconto cerca di far leva sulla sposa) decisamente ironici ma che nascondono un’ambientazione storica che è segno anche di una cultura millenaria.
I critici del tempo, pur se il libro è rimasto una specie di terreno perduto (o un oggetto decisamente misterioso) uscirono quasi di senno: Mario Picchi parlò di libro straordinario. Oretta Bongarzoni di linguaggio mitico, osceno, liturgico e sublime. Gianni D’Elia di scandalosa bellezza e persino Walter Pedullà si espresse con magia naturalista di un materialista di grande anima.
Un pieno riconoscimento per un libro che però (contrariamente a quanto si sarebbe potuto prevedere) rimase un buco nel cielo. E forse sono valide le parole in esergo, sempre di Mimmo Cervellino, di quello che un padre suggerisce al figlio.
Ma lo scrittore è riuscito comunque a costruire un romanzo (o un lungo racconto, come direbbe l’amico Roversi) e a rinfrancarci anche nei momenti più puri del desiderio sessuale: Acconciati in atto da chiavare, e tosto che lui avrà cacciato il suo cotale, farai bene, che venga a l’atollite portas; ma prima che giunga a l’introibit rex gloriae, apprendigli i testicoli e la verga colle due mani e dgli: o ben mio, mio tanto desiderato, o speranza di quest’anima infiammata, prima mi saran le mani tolte, che tu mi sii tolto da le mani; e con questo glieli premerai tanto forte… e decisa e svelta a guisa di lavannara comincia pure a torcerli così come torcessi drappi bagnati di bucata… E con forza, dopo averli con una mano levati in alto, spppàaaa sulla pietra viva a duri battimenti.
Sublime, ma davvero per lettori forti e preparati.
L’edizione da noi considerata è:
Mimmo Cervellino (o Michele Malesaputo o anonimo)
In pienezza di cuore
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