CLASSICI
Massimo Grisafi
Molto più facile leggerlo che raccontarlo.
“Non lo so, non riesco a capire. Sarò malato, ma io amo questo libro. Lo devo leggere almeno una volta l’anno”.
Vi chiedo scusa se, parafrasandola, ho preso in prestito una delle battute più celebri dei film di Nanni Moretti ma, poiché il libro in questione è pieno zeppo di citazioni, mi sono concesso la libertà di usarla. Triste, solitario y final (già dal titolo il primo richiamo al grande Chandler) è un libro cult che è difficile non conoscere. Nella letteratura, credo, sia l’equivalente che il Grande Lebowski è per il cinema. Una storia paradossale, all’apparenza senza capo né coda, quasi al limite del credibile; anzi, una storia molto oltre il limite del credibile. Mentre si legge questo libro bisogna, per forza di cose, utilizzare la sospensione dell’incredulità e lasciarsi trascinare via, come se fossimo in un film muto accelerato, dalla fantastica penna di Soriano.
Prima di parlare di questo libro, però, è doveroso spendere qualche frase sull’autore (protagonista egli stesso del libro). Soriano ha tutte le caratteristiche giuste in uomo per rendermelo simpatico e portarlo subito dalla mia parte: non bello, pelatino, grassoccio, gran fumatore, amante del calcio quello vero, morto relativamente giovane e, infine, come se non bastasse, nato e vissuto in un paese, l’Argentina, di cui a memoria io non ricordo che abbia mai attraversato un periodo di vera democrazia. Insomma, uno sfigato. Se non fosse, e non è cosa da poco, che possedeva un gran talento: la facilità di scrittura. Certo, quantitativamente non poderosa come quella di un altro sudamericano, il cileno Bolano, ma altrettanto fluida e potente. Altamente ironica e autodistruttiva. Insomma, un Woody Allen dei poveracci.
Ma, tornando al libro, premetto che è molto più facile leggerlo che raccontarlo. Comunque, lo si può dividere in due parti: la prima, più breve, dove un dignitoso ma malato e demoralizzato Stan Laurel cerca invano di ingaggiare un altrettanto stanco e deluso investigatore (il mitico Marlowe) per aiutarlo a capire come mai, dopo la morte di Ollio, nessuno nell’ambiente del cinema gli dia più un lavoro. All’inizio il detective non sembra dare molto peso alla sua richiesta ma poi, per bisogno di soldi, accetta l’incarico del vecchio comico. Recatosi nella villa di John Wayne, l’ultimo ad aver dato una particina a Oliver Hardy, umiliandolo, ne riceve un sacco di legnate e, quando si rimette in sesto dal letto d’ospedale, Stanlio è già morto e sepolto.
Nella seconda parte, invece, c’è l’incontro tra Marlowe e Soriano che avviene sulla tomba d Stanlio dove il giornalista si è recato a portare un fiore (curiosità: dopo la pubblicazione del libro, lo scrittore andò davvero a visitarne la tomba per deporvi una copia). Da quel momento scatta nei due una simbiosi che ha dell’incredibile: da un lato c’è Soriano che interpreta se stesso; quindi sciatto, squattrinato, che non parla la lingua degli States, ansioso di scrivere articoli sulla famosa coppia comica. Dall’altra il detective che interpreta se stesso, il Marlowe di Chandler; quindi affascinante anche se imbolsito, dalla battuta facile e cinica, squattrinato anch’egli ma mai disposto a scendere a compromessi, con un senso di giustizia che mal si sposa con quello che dice e vorrebbe la legge. E da quel momento in poi bisogna solamente leggere il libro perché c’è una sequela lunghissima di scene paradossali prese a prestito dalle comiche mute, dai film western e da quelli dei gangster.
Carrellata di personaggi messi alla berlina da Soriano: Dick Van Dick (vi ricordate? Lo spazzacamino di Mary Poppins); Jerry Lewis, Jane Fonda, James Stewart, il solito vaquero John Wayne, Charlie Chaplin (a cui tutto andava male nei film quanto bene nella vita), Mickey Rooney faccia d’angelo (a proposito di film di gangster).
Il libro di Soriano è stato definito di volta in volta una parodia del genere hard-boiled, un omaggio al vecchio cinema muto, un fumetto, una commedia e chi ne ha più ne metta. Per me è e rimarrà sempre solo un libro felice, come ne nasce uno ogni tanto.
A proposito: io lo leggo ancora sulla prima edizione italiana del 1974 della Vallecchi; copertina gialla con in basso le teste con bombetta di Stanlio e Ollio, costo tremila lire. Ma la Vallecchi è sparita o inglobata non so da chi, adesso c’è l’edizione tascabile della Einaudi.
L'edizione da noi considerata è:
Osvaldo Soriano
Triste, solitario y final
Einaudi tascabile2015
Vi chiedo scusa se, parafrasandola, ho preso in prestito una delle battute più celebri dei film di Nanni Moretti ma, poiché il libro in questione è pieno zeppo di citazioni, mi sono concesso la libertà di usarla. Triste, solitario y final (già dal titolo il primo richiamo al grande Chandler) è un libro cult che è difficile non conoscere. Nella letteratura, credo, sia l’equivalente che il Grande Lebowski è per il cinema. Una storia paradossale, all’apparenza senza capo né coda, quasi al limite del credibile; anzi, una storia molto oltre il limite del credibile. Mentre si legge questo libro bisogna, per forza di cose, utilizzare la sospensione dell’incredulità e lasciarsi trascinare via, come se fossimo in un film muto accelerato, dalla fantastica penna di Soriano.
Prima di parlare di questo libro, però, è doveroso spendere qualche frase sull’autore (protagonista egli stesso del libro). Soriano ha tutte le caratteristiche giuste in uomo per rendermelo simpatico e portarlo subito dalla mia parte: non bello, pelatino, grassoccio, gran fumatore, amante del calcio quello vero, morto relativamente giovane e, infine, come se non bastasse, nato e vissuto in un paese, l’Argentina, di cui a memoria io non ricordo che abbia mai attraversato un periodo di vera democrazia. Insomma, uno sfigato. Se non fosse, e non è cosa da poco, che possedeva un gran talento: la facilità di scrittura. Certo, quantitativamente non poderosa come quella di un altro sudamericano, il cileno Bolano, ma altrettanto fluida e potente. Altamente ironica e autodistruttiva. Insomma, un Woody Allen dei poveracci.
Ma, tornando al libro, premetto che è molto più facile leggerlo che raccontarlo. Comunque, lo si può dividere in due parti: la prima, più breve, dove un dignitoso ma malato e demoralizzato Stan Laurel cerca invano di ingaggiare un altrettanto stanco e deluso investigatore (il mitico Marlowe) per aiutarlo a capire come mai, dopo la morte di Ollio, nessuno nell’ambiente del cinema gli dia più un lavoro. All’inizio il detective non sembra dare molto peso alla sua richiesta ma poi, per bisogno di soldi, accetta l’incarico del vecchio comico. Recatosi nella villa di John Wayne, l’ultimo ad aver dato una particina a Oliver Hardy, umiliandolo, ne riceve un sacco di legnate e, quando si rimette in sesto dal letto d’ospedale, Stanlio è già morto e sepolto.
Nella seconda parte, invece, c’è l’incontro tra Marlowe e Soriano che avviene sulla tomba d Stanlio dove il giornalista si è recato a portare un fiore (curiosità: dopo la pubblicazione del libro, lo scrittore andò davvero a visitarne la tomba per deporvi una copia). Da quel momento scatta nei due una simbiosi che ha dell’incredibile: da un lato c’è Soriano che interpreta se stesso; quindi sciatto, squattrinato, che non parla la lingua degli States, ansioso di scrivere articoli sulla famosa coppia comica. Dall’altra il detective che interpreta se stesso, il Marlowe di Chandler; quindi affascinante anche se imbolsito, dalla battuta facile e cinica, squattrinato anch’egli ma mai disposto a scendere a compromessi, con un senso di giustizia che mal si sposa con quello che dice e vorrebbe la legge. E da quel momento in poi bisogna solamente leggere il libro perché c’è una sequela lunghissima di scene paradossali prese a prestito dalle comiche mute, dai film western e da quelli dei gangster.
Carrellata di personaggi messi alla berlina da Soriano: Dick Van Dick (vi ricordate? Lo spazzacamino di Mary Poppins); Jerry Lewis, Jane Fonda, James Stewart, il solito vaquero John Wayne, Charlie Chaplin (a cui tutto andava male nei film quanto bene nella vita), Mickey Rooney faccia d’angelo (a proposito di film di gangster).
Il libro di Soriano è stato definito di volta in volta una parodia del genere hard-boiled, un omaggio al vecchio cinema muto, un fumetto, una commedia e chi ne ha più ne metta. Per me è e rimarrà sempre solo un libro felice, come ne nasce uno ogni tanto.
A proposito: io lo leggo ancora sulla prima edizione italiana del 1974 della Vallecchi; copertina gialla con in basso le teste con bombetta di Stanlio e Ollio, costo tremila lire. Ma la Vallecchi è sparita o inglobata non so da chi, adesso c’è l’edizione tascabile della Einaudi.
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