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CLASSICI

Alfredo Ronci

Un nome da rivalutare. “Schiaccia il serpente” di Mauro Curradi.

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“Allora sei cattolico”. “No”, perché l’unica eternità di cui io abbia il senso è la durata di un uomo. Matilde aveva incrociato le braccia, la sigaretta si staccava dalle sue labbra sottili, il mento se si è increspato in un attimo: “Vorresti vivere per sempre?”.
C’è un sito internet che è segnato come “Alla ricerca delle rare edizioni dei libri di Mauro Curradi”, stando a significare, e lo dico soprattutto per i lettori, la difficoltà ad avere tra le mani un libro appunto di questo autore. Perché direte voi e soprattutto chi è Mauro Curradi?
Negli studi che si fanno sulla letteratura italiana di lui si trova spesso poco o quasi nulla (forse, come a volte succede per gli autori che non hanno ottenuto il giusto merito, c’è sempre qualche studioso che si diverte a considerare l’intera opera), ma l’attenta attenzione con cui noi orchi siamo abituati a considerare stili e “interiorità” degli scrittori ci porta a dire, senza alcun’ombra di dubbio, che il Curreri merita una lettura niente affatto scontata o addirittura pacchiana.
Cerchiamo di entrare meglio nella sostanza. Curradi nacque a Pisa e lì si laureò in letteratura italiana moderna. Ben presto emigrò prima in Inghilterra e poi in Austria per poi ritornare in Italia. La sua attività editoriale, prima di quest’opera, fu un romanzo Gli ermellini, del 1954 e un volume di racconti Città dentro le mura del 1957.
Il bello venne dopo la pubblicazione di Schiaccia il serpente. Essendo sempre in viaggio (tra i luoghi, Nuova Dehli, Addis Abeba, Tunisi, Dakar, Buenos Aires) scrisse appunti su questa sua attività che, non si sa per quale incredibile circostanza, riuscì ad essere apprezzata tanto che nei siti dedicati ai libri, le prime edizioni raggiungono prezzi ragguardevolissimi, Per fortuna che, in questi casi, c’è sempre qualche buon editore, in genere molto piccolo, che si presta alla pubblicazione di questi libri,  a cominciare da Narhval Edizioni che ha ristampato Via da me, la cui seconda parte è il primo testo della così detta “trilogia africana”, seguito da Cera e oro e Persona non grata.
Dunque un personaggio niente affatto minore anche se è sempre stato un ‘elemento’ molto appartato e soprattutto non legato alle mode o alle convenzioni del suo tempo.
Schiaccia il serpente è del 1964. Un anno, come abbiamo detto più volte, fondamentale nella struttura della nostra letteratura e che in qualche modo ha “deviato” le sorti del nostro panorama. Sorti che riguardano, almeno per Curradi, essenzialmente lo stile. Uno stile preciso, per niente lineare (attenzione nella lettura all’uso del soggetto), abbastanza “intellettuale” e proprio per questo merita una lettura niente affatto scontata.
Il problema semmai è un altro. Come davvero qualificare uno scrittore come il Curradi che è ormai palesemente lontano (anzi, lontanissimo) da una letteratura che si qualificava neorealista e allo stesso modo abbastanza nuovo da essere anche al di là della media degli scrittori italiani?
Non me ne voglia nessuno, tanto meno quei pochi che hanno profondo rispetto per l’arte del Curradi, ma se dovessi fare un nome che in qualche modo lo qualifica o quanto meno lo faccia giudicare, opterei per Alberto Moravia. Ma non il Moravia che ancora bazzicava i periodi guerreschi e regalava preziosi ritratti umani, ma quello più anticipatorio e moderno, quello di La noia, che costituì una sorta di scandalo non solo per la nostra letteratura.
Intendiamoci, non c’è nulla di scandaloso nella storia del Curradi, ma gli avvenimenti, ma soprattutto le considerazioni del giovane giornalista, personaggio principale del libro, ci rimandano ad una complessità intellettuale che raramente si riscontra in altri protagonisti editoriali.
Che poi, se proprio vogliamo essere sinceri, Sciaccia il serpente è una storia di corna e di rapporti sentimentali non del tutto lineari. Ma è così e su queste basi il libro alla fine si dibatte, anche con conclusioni niente affatto “contemporanee”.
Dai, Marta!... schiaccia il serpente, prima che i pezzi si ricongiungano e le nostre povere malizie siano di nuovo esposte al morso del suo dente, altrimenti anche il  grido di un uccello notturno assume il valore di un riferimento: come a dire che la chiesa trionfa, oggi, non per l’azione che può esercitare sulle nostre coscienze, ma perché, una volta, cercammo un po’ d’immoralità fra le braccia di qualcuno.




L’edizione da noi considerata è:

Mauro Curradi
Schiaccia il serpente
Mondadori



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