RECENSIONI
Paolo Agnoli
Gli ebrei e la cultura
Albatros, Pag. 68 Euro 9,90
Il popolo ebraico nel corso dei secoli ha raggiunto dei risultati di altissimo livello in tutti i campi del sapere. Così recita l’incipt della quarta di copertina del breve saggio di Paolo Agnoli, fisico di formazione, studioso di filosofia per passione, dal titolo Gli ebrei e la cultura.
Dati alla mano, è difficile dargli torto. Nonostante gli ebrei siano circa lo 0,2% della popolazione mondiale, circa 16 milioni di persone su 8 miliardi, il 26% dei premi Nobel per le materie scientifiche sono ebrei. E oltre la metà sono premi per la Fisica. Se guardiamo alla Fisica moderna infatti, quella che ha posto le basi scientifiche del mondo contemporaneo (senza la Meccanica quantistica la gran parte dei congegni che utilizziamo non esisterebbe) ci vengono in mente Einstein, Bohr, Born, Oppenheimer. Ma ovviamente le personalità illustri di origine ebraica non sono solo in campo scientifico, ma ovunque: nell’economia, nella filosofia, nella politica (Marx, Trotskij, Spinoza, Adorno, Marcuse, Levi-Strauss, Popper, Fromm, Arendt, Bauman, Weil, solo per fare qualche nome). Nelle arti: tutte, ma soprattutto nel cinema. Oltre il 35% dei premi Oscar per la regia è andato a registi ebrei, tanto che il giornale antisemita Dearborn Indipendent del magnate filo-nazista Henry Ford (che fu addiritura premiato da Hitler con un’alta onorificenza e finanziò Francisco Franco durante la guerra civile spagnola) scriveva nel 1921: “c’è un problema con il cinema (...) gli ebrei ne hanno il controllo”. Che dire poi della psicanalisi?
Qualcuno potrebbe essere tentato dal dare a questi dati incontrovertibili una spiegazione genetica e dunque razzista.
Ma per fortuna l’autore si tiene ben lontano da questo. La spiegazione sta nel culto per lo studio: come spiega l’autore anticamente si trattava di un valore religioso, perché era importante avvicinarsi personalemente ai testi sacri per poi poterne discutere con gli altri.
Una divagazione personale: per chi scrive, l’esattezza di questa affermazione è data da un confronto tra il nostro paese e la Germania. Anche tenendo conto della differenza di popolazione, il distacco è impietoso. L’Italia ha avuto 21 premi Nobel, mentre i premiati tedeschi sono ben 116 (la terza nazione al mondo dopo USA e UK). Ebbene: la Germania, come tutte le nazioni prevalentemente protestanti, ha sempre dato un’enorme importanza alla cultura, anche qui inizialmente per poter leggere i testi sacri senza intermediazione. E la Prussia di Federico II fu la prima nazione, nel 1763, a introdurre l’istruzione elementare grauita e obbligatoria.
Non a caso, al momento dell’unità d’Italia, mentre nel nostro paese l’analfabetismo sfiorava l’80% (e molti degli alfabetizzati sapeva poco più che fare la propria firma e leggere alcune semplici frasi), in Prussia, in Svezia e in Scozia l’analfabetismo non superava il 20%. D’altronde, mentre ancora nel 1881 in Italia gli analfabeti erano il 62%, in Trentino, all’epoca sotto il governo austriaco, era appena il 15%. Non a caso l’Austria è stata la seconda nazione al mondo a introdurre l’istruzione elementare obbligatoria.
Tornando al rapporto tra gli ebrei e la cultura, che ha sviluppato anche il ben noto e autoironico umorismo (a cui Agnoli spesso attinge), le motivazioni religiose furono soltanto l’inizio del lungo e complesso rapporto. La società ebraica considerava un obbligo per i padri istruire i figli, a volte con notevoli sacrifici: da qui la famosa battuta della madre ebrea che dice ai figli: Dopo tutto quello che abbiamo fatto per voi, è troppo chiedervi un Nobel??
Va da sé che l’abitudine allo studio favorisce il talento. L’autore del saggio ricorda come, per la neuroscienziata Maryanne Wolf, leggere e scrivere non sono un’attitudine naturale, ma un’invenzione culturale.
Un’altra ragione per spiegare questi straordinari risultati si trova nel fatto che gli ebrei sono stati per lunghissimo tempo un popolo migrante. Scrive sempre Agnoli: “per gli ebrei essere attivi e creativi è sempre stato funzionale alla propria sopravvivenza (...) La posizione di emarginazione nelle società degli ebrei portò in ogni caso a un diffuso scetticismo (...) e lo scetticismo è il primo requisito per un lavoro costruttivo nella scienza moderna”.
“Obbligati a spostarsi continuamente, gli ebrei hanno dovuto sempre adattarsi a diverse culture ,lingue, sistemi legali e sociali (...) hanno sempre sviluppato una mentalità cosmopolita e una flessibilità intelletuale che li ha facilitati soprattutto negli ambìti della ricerca e dell’innovazione”. Essere abituati a parlare più lingue fin da bambini sviluppa le capacità cognitive.
Ancora, l’autore ricorda come “Parte significativa di tutte le persecuzioni fu indirizzata ai fisici (...). In particolare l’accusa era contro la Fisica della Cabala (come veniva chiamata dagli antisemiti la nascente fisica atomica, per sua natura legata all’indeterminazione). Fortunatamente il regime nazista commise un grave errore privandosi, fin dall’inizio, dei suoi migliori scienziati: ben venti premi Nobel.
Nell’ultimo capitolo Agnoli affronta un argomento interessante: il ruolo delle donne che “nella società ebraica è sempre stato fondamentale e ha rappresentato un tratto distintivo”.
Un’altra considerazione che chi scrive vuol portare a sostegno di questa tesi. Se guardiamo per esempio alla Finlandia, una società con un alto livello di civiltà e uno stato sociale invidiabile (il sistema scolastico finlandese, per esempio, è totalmente gratuito ed è considerato il migliore del mondo), non possiamo non pensare che questa nazione, quando era ancora un granducato autonomo all’interno dell’impero zarista, ha stabilito il diritto di voto alle donne (e la possibilità di essere elette nel parlamento) addirittura nel 1906! E se guardiamo al Medio Oriente, nel Rojava o Kudistan Siriano dell’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord, la parità tra donne e uomini è pressoché totale, con risultati significativi in un’area purtroppo scossa da tensioni e oppressioni.
In conclusione, il libro di Paolo Agnoli è da leggere. Anche per il tono leggero (ma non superficiale) con cui affronta argomenti delicati, regalandoci, come già detto sopra, alcuni straordinari esempi dell’umorismo e dell’autoironia ebraica. Uno per tutti, la battuta su Sigmund Freud: Gli altri ci hanno sempre fatto soffrire, ma noi ci siamo vendicati diffondendo la psicoanalisi.
di Ettore Maggi
Dati alla mano, è difficile dargli torto. Nonostante gli ebrei siano circa lo 0,2% della popolazione mondiale, circa 16 milioni di persone su 8 miliardi, il 26% dei premi Nobel per le materie scientifiche sono ebrei. E oltre la metà sono premi per la Fisica. Se guardiamo alla Fisica moderna infatti, quella che ha posto le basi scientifiche del mondo contemporaneo (senza la Meccanica quantistica la gran parte dei congegni che utilizziamo non esisterebbe) ci vengono in mente Einstein, Bohr, Born, Oppenheimer. Ma ovviamente le personalità illustri di origine ebraica non sono solo in campo scientifico, ma ovunque: nell’economia, nella filosofia, nella politica (Marx, Trotskij, Spinoza, Adorno, Marcuse, Levi-Strauss, Popper, Fromm, Arendt, Bauman, Weil, solo per fare qualche nome). Nelle arti: tutte, ma soprattutto nel cinema. Oltre il 35% dei premi Oscar per la regia è andato a registi ebrei, tanto che il giornale antisemita Dearborn Indipendent del magnate filo-nazista Henry Ford (che fu addiritura premiato da Hitler con un’alta onorificenza e finanziò Francisco Franco durante la guerra civile spagnola) scriveva nel 1921: “c’è un problema con il cinema (...) gli ebrei ne hanno il controllo”. Che dire poi della psicanalisi?
Qualcuno potrebbe essere tentato dal dare a questi dati incontrovertibili una spiegazione genetica e dunque razzista.
Ma per fortuna l’autore si tiene ben lontano da questo. La spiegazione sta nel culto per lo studio: come spiega l’autore anticamente si trattava di un valore religioso, perché era importante avvicinarsi personalemente ai testi sacri per poi poterne discutere con gli altri.
Una divagazione personale: per chi scrive, l’esattezza di questa affermazione è data da un confronto tra il nostro paese e la Germania. Anche tenendo conto della differenza di popolazione, il distacco è impietoso. L’Italia ha avuto 21 premi Nobel, mentre i premiati tedeschi sono ben 116 (la terza nazione al mondo dopo USA e UK). Ebbene: la Germania, come tutte le nazioni prevalentemente protestanti, ha sempre dato un’enorme importanza alla cultura, anche qui inizialmente per poter leggere i testi sacri senza intermediazione. E la Prussia di Federico II fu la prima nazione, nel 1763, a introdurre l’istruzione elementare grauita e obbligatoria.
Non a caso, al momento dell’unità d’Italia, mentre nel nostro paese l’analfabetismo sfiorava l’80% (e molti degli alfabetizzati sapeva poco più che fare la propria firma e leggere alcune semplici frasi), in Prussia, in Svezia e in Scozia l’analfabetismo non superava il 20%. D’altronde, mentre ancora nel 1881 in Italia gli analfabeti erano il 62%, in Trentino, all’epoca sotto il governo austriaco, era appena il 15%. Non a caso l’Austria è stata la seconda nazione al mondo a introdurre l’istruzione elementare obbligatoria.
Tornando al rapporto tra gli ebrei e la cultura, che ha sviluppato anche il ben noto e autoironico umorismo (a cui Agnoli spesso attinge), le motivazioni religiose furono soltanto l’inizio del lungo e complesso rapporto. La società ebraica considerava un obbligo per i padri istruire i figli, a volte con notevoli sacrifici: da qui la famosa battuta della madre ebrea che dice ai figli: Dopo tutto quello che abbiamo fatto per voi, è troppo chiedervi un Nobel??
Va da sé che l’abitudine allo studio favorisce il talento. L’autore del saggio ricorda come, per la neuroscienziata Maryanne Wolf, leggere e scrivere non sono un’attitudine naturale, ma un’invenzione culturale.
Un’altra ragione per spiegare questi straordinari risultati si trova nel fatto che gli ebrei sono stati per lunghissimo tempo un popolo migrante. Scrive sempre Agnoli: “per gli ebrei essere attivi e creativi è sempre stato funzionale alla propria sopravvivenza (...) La posizione di emarginazione nelle società degli ebrei portò in ogni caso a un diffuso scetticismo (...) e lo scetticismo è il primo requisito per un lavoro costruttivo nella scienza moderna”.
“Obbligati a spostarsi continuamente, gli ebrei hanno dovuto sempre adattarsi a diverse culture ,lingue, sistemi legali e sociali (...) hanno sempre sviluppato una mentalità cosmopolita e una flessibilità intelletuale che li ha facilitati soprattutto negli ambìti della ricerca e dell’innovazione”. Essere abituati a parlare più lingue fin da bambini sviluppa le capacità cognitive.
Ancora, l’autore ricorda come “Parte significativa di tutte le persecuzioni fu indirizzata ai fisici (...). In particolare l’accusa era contro la Fisica della Cabala (come veniva chiamata dagli antisemiti la nascente fisica atomica, per sua natura legata all’indeterminazione). Fortunatamente il regime nazista commise un grave errore privandosi, fin dall’inizio, dei suoi migliori scienziati: ben venti premi Nobel.
Nell’ultimo capitolo Agnoli affronta un argomento interessante: il ruolo delle donne che “nella società ebraica è sempre stato fondamentale e ha rappresentato un tratto distintivo”.
Un’altra considerazione che chi scrive vuol portare a sostegno di questa tesi. Se guardiamo per esempio alla Finlandia, una società con un alto livello di civiltà e uno stato sociale invidiabile (il sistema scolastico finlandese, per esempio, è totalmente gratuito ed è considerato il migliore del mondo), non possiamo non pensare che questa nazione, quando era ancora un granducato autonomo all’interno dell’impero zarista, ha stabilito il diritto di voto alle donne (e la possibilità di essere elette nel parlamento) addirittura nel 1906! E se guardiamo al Medio Oriente, nel Rojava o Kudistan Siriano dell’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord, la parità tra donne e uomini è pressoché totale, con risultati significativi in un’area purtroppo scossa da tensioni e oppressioni.
In conclusione, il libro di Paolo Agnoli è da leggere. Anche per il tono leggero (ma non superficiale) con cui affronta argomenti delicati, regalandoci, come già detto sopra, alcuni straordinari esempi dell’umorismo e dell’autoironia ebraica. Uno per tutti, la battuta su Sigmund Freud: Gli altri ci hanno sempre fatto soffrire, ma noi ci siamo vendicati diffondendo la psicoanalisi.
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