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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Pietro Grossi

Pugni

Sellerio, Pag.188 Euro 12,00
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Titolo che faceva parte della cinquina del premio Strega. A proposito, l'immonda informazione televisiva (leggi in questo caso TG2) ha già bollato la manifestazione come una cosuccia combinata in casa della sinistra (il vincitore, Sandro Veronesi, è passato per la penna lunga dell'ala riformista – leggi Ds e soprattutto Veltroni, la seconda arrivata, Rossana Rossanda, come la protetta della sinistra più incazzosa (da Salvi al Manifesto).

Roba da farsi venire le coliche, anche se vedere il buon Sandro sollevare quel trofeo kitch della bottiglia dorata, è roba comunque da rifarsi venire le coliche.

Un tempo durante il premio Strega si polemizzava per ben altre paglie negli occhi: la qualità della scrittura. Ricordo l'accesa querelle sulla "statura" dell'allora giovanissima Maraini, (quella sì protetta!) considerata solo dal Moravia, mentre tutti gli altri, giustamente, vedevano la risciacquatura dei panni lungo i fiumi.

Ora si dibatte di deriva prodiana della letteratura e dei suoi lacché, con tutto il contorno.

Torniamo a noi, anzi a Pugni.

Sconsolato non trovo pace, anzi, non trovo indizio: i tre racconti che compongono l'operina hanno qualcosa di animalesco solo nella fattura, non nella grandezza del progetto. Perché a volte ci piace selvaggio e bestiale anche l'approccio alla realtà e ai suoi perimetri. Perché a volte ci piace selvatico anche il modo di non rispondere alle aspettative.

Lo ripeto, qui siamo in tema di animali e punto: Pugni, il primo racconto, parla di pugili in preda a frenesie giovanilistiche, con qualche torello scalpitante che segna i ring e le palestre. Bello lo stile del fraseggio degli incontri, ma nient'altra luce scorgo. Cavalli(non lo stilista), il secondo, all'improvvisa devìa dalla strada delle periferie storte e irrealizzate per finire in un contesto bastardo: se non fosse che l'autore è così giovane e primino mi verrebbe da ri-chiamare il boscaiolo di Lady Chatterly, ma è solo, per fortuna, una storia di violenze sugli uomini e sui cavalli, con qualche cavallo protagonista suo malgrado.

La scimmia è la terza fetta: la più saporita, perché nella fretta di concludere il trittico, l'autore si espone ad una sana ironia sulla pallosità della memoria, dei ricordi infantili, della genitorialità come masso incombente.

Qui un ragazzo, in preda chissà a cosa, comincia a comportarsi come una scimmia e l'amico non lo capisce, ma ci si confronta, come se invece di imitar animali duplicasse se stesso in modo assai teatrale.

E' la cosa migliore, sempre ad un passo dal surreale e dal meticciato e composto di un dialogo sfizioso e a tratti spumeggiante, come spesso la narrativa giovanile ci ha abituato. Ma resta un problema: i francesi direbbero l'addiction. Cioè i conti.

Se dovessimo far media, Grossi strapperebbe la sufficienza (c'è anche eleganza, nel suo slancio a volte esagerato). Se dovessimo ragionar di fino, qui anche i muri piangerebbero.

Preferisco non pronunciarmi, non per viltà o codardia, ma perché c'è un'altra via (e qui la rima è baciata e quasi metrica): il piacere semplice del lettore, che nicchia, ma non disprezza, anzi col libro c'ha avuto compagnia (altra rima, tiè!).



di Alfredo Ronci


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Pietro Grossi

Pugni

Sellerio, Pag. 188 Euro 12,00

Veramente ancora non capisco tutta la vicenda: questo libro, ormai vecchio di più di dieci anni, riciccia misteriosamente, come se nulla fosse mai successo. Qualcuno si chiederà: come mai? Vai a saperlo.

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