RECENSIONI
Leonie Swann
Glennkill
Bompiani, Pag. 373 Euro 16,00
				Evviva l'originalità! E' così rara, di questi tempi, che la si saluta con gioia, specie se è accompagnata da intelligenza, umorismo, tenerezza e poesia. E si chiude volentieri un occhio sui piccoli difetti. Si tratta di un giallo, ma il bello non è tanto la storia (con le sue imperfezioni e lacune, ma di questo come vedrete importa poco) quanto la particolarità dei personaggi. Tanto per cominciare la figura del detective. Tenetevi forte: il detective è una pecora! Miss Maple, come la sua quasi omonima, prende molto sul serio il suo ruolo (per forza, si tratta di indagare sulla morte del pastore!) coadiuvata con impegno da tutto il gregge, ma non indossa cappellini né sorseggia il tè alle cinque. Ama invece riflettere ruminando e appoggiando il capo sul dorso della più lanosa e morbida delle sue compagne. 
Benché le pecore in questione pensino e parlino quasi come noi, si capisce subito che siamo ben lontani da La fattoria degli animali di Orwell, o da qualsivoglia altro apologo. Perché le pecore della Swann non sono né simboliche né metaforiche né metafisiche. Sono così concrete che ti sembra di sentirne l'odore, la lanosità, i belati. E i loro ragionamenti sono assai poco antropomorfici, e manifestano invece tutta l'ingenuità che ci si può aspettare da una pecora. Chi non si è mai domandato, vedendo un gregge al pascolo, che cosa si nasconda dietro quegli sguardi stolidi ma anche un po' enigmatici? L'autrice deve averle osservate con pazienza e infinita tenerezza, per trasfondere nel libro tanti piccoli dettagli che le rendono realistiche e vive, e assai differenziate tra loro in attitudini e temperamento. Così conosciamo Othello, montone nero oppresso dai ricordi di una vita al circo; Mopple, sempre affamato ma dotato di prodigiosa memoria; Zora, pecora di montagna che ama isolarsi su uno sperone di roccia (siamo sulle coste irlandesi) per filosofeggiare in solitudine; Melmoth, saggio eppure trasgressivo. L'autrice compie un'operazione sorprendente, perché non solo attribuisce alle pecore emozioni che sembrano autenticamente... ovine, ma riesce a creare anche un bagaglio di credenze e costruzioni mentali che alla fine ci sembrano naturalissime per siffatti animali. Ad esempio Zora, che sulla sua roccia ama confrontarsi con il tema dell'abisso, riflette molto su come riescano le pecore scomparse a trasformarsi in nuvole. Altro tema dibattuto nel gregge è quello dell'anima: anche il più sprovveduto degli agnelli sa che l'anima risiede nell'olfatto, ma la questione è se gli uomini, in cui quel senso è poco sviluppato, possiedano un'anima minuscola o ne siano sprovvisti del tutto. In genere però le pecore sono animali molto pratici: sanno dare la dovuta importanza al buon foraggio, conoscono i requisiti di un buon pastore (fra i quali curiosamente c'è il parlare alle pecore e far loro una mezzoretta di lettura al giorno!), e sanno applicare una corretta tecnica di pascolo, con passi lunghi e ben distesi, piegando il collo verso l'alto, da buone assimilatrici di foraggio. Guardano invece con disappunto il curioso modo di pascolare degli uomini, per mezzo della falce: lo strano attrezzo si trasformò in un gigantesco artiglio di ferro, che passava tra l'erba con una cantilena ostinata... Era un'immagine di distruzione insensata. E ancora il pascolo come chiave di lettura del mondo umano: Othello capì subito che cosa stava succedendo: Rebecca era un pascolo per gli occhi, e gli uomini pascolavano. Molto più essenziale è il pensiero del montone in fuga. Pietre e zoccoli, pietre e zoccoli... E spontaneo è il belato di terrore che sgorga alla vista di un pericolo: Al lupo! Al lupo!anche se il pericolo è di diverso genere (il macellaio, ad esempio). Ma quando si profila una questione di droga, e sentono gli uomini parlare di erba, alle povere bestie non pare vero che gli uomini si occupino finalmente di qualcosa di ragionevole!
La storia non finisce mai di sorprendere, sia per questa immersione inusuale nel mondo ovino, sia perché qualche colpo di scena c'è anche nel mondo parallelo degli uomini. La parte più debole del romanzo sta proprio nei momenti in cui i due mondi, quello umano e quello animale, interagiscono fra loro, con dei tentativi di comunicazione. Lì si slitta pericolosamente verso un terreno disneyano. Ahi ahi ahi... E' come quando la giostra si ferma e rischi di cadere. Oppure si rimane in bilico.
di Giovanna Repetto
		
	Benché le pecore in questione pensino e parlino quasi come noi, si capisce subito che siamo ben lontani da La fattoria degli animali di Orwell, o da qualsivoglia altro apologo. Perché le pecore della Swann non sono né simboliche né metaforiche né metafisiche. Sono così concrete che ti sembra di sentirne l'odore, la lanosità, i belati. E i loro ragionamenti sono assai poco antropomorfici, e manifestano invece tutta l'ingenuità che ci si può aspettare da una pecora. Chi non si è mai domandato, vedendo un gregge al pascolo, che cosa si nasconda dietro quegli sguardi stolidi ma anche un po' enigmatici? L'autrice deve averle osservate con pazienza e infinita tenerezza, per trasfondere nel libro tanti piccoli dettagli che le rendono realistiche e vive, e assai differenziate tra loro in attitudini e temperamento. Così conosciamo Othello, montone nero oppresso dai ricordi di una vita al circo; Mopple, sempre affamato ma dotato di prodigiosa memoria; Zora, pecora di montagna che ama isolarsi su uno sperone di roccia (siamo sulle coste irlandesi) per filosofeggiare in solitudine; Melmoth, saggio eppure trasgressivo. L'autrice compie un'operazione sorprendente, perché non solo attribuisce alle pecore emozioni che sembrano autenticamente... ovine, ma riesce a creare anche un bagaglio di credenze e costruzioni mentali che alla fine ci sembrano naturalissime per siffatti animali. Ad esempio Zora, che sulla sua roccia ama confrontarsi con il tema dell'abisso, riflette molto su come riescano le pecore scomparse a trasformarsi in nuvole. Altro tema dibattuto nel gregge è quello dell'anima: anche il più sprovveduto degli agnelli sa che l'anima risiede nell'olfatto, ma la questione è se gli uomini, in cui quel senso è poco sviluppato, possiedano un'anima minuscola o ne siano sprovvisti del tutto. In genere però le pecore sono animali molto pratici: sanno dare la dovuta importanza al buon foraggio, conoscono i requisiti di un buon pastore (fra i quali curiosamente c'è il parlare alle pecore e far loro una mezzoretta di lettura al giorno!), e sanno applicare una corretta tecnica di pascolo, con passi lunghi e ben distesi, piegando il collo verso l'alto, da buone assimilatrici di foraggio. Guardano invece con disappunto il curioso modo di pascolare degli uomini, per mezzo della falce: lo strano attrezzo si trasformò in un gigantesco artiglio di ferro, che passava tra l'erba con una cantilena ostinata... Era un'immagine di distruzione insensata. E ancora il pascolo come chiave di lettura del mondo umano: Othello capì subito che cosa stava succedendo: Rebecca era un pascolo per gli occhi, e gli uomini pascolavano. Molto più essenziale è il pensiero del montone in fuga. Pietre e zoccoli, pietre e zoccoli... E spontaneo è il belato di terrore che sgorga alla vista di un pericolo: Al lupo! Al lupo!anche se il pericolo è di diverso genere (il macellaio, ad esempio). Ma quando si profila una questione di droga, e sentono gli uomini parlare di erba, alle povere bestie non pare vero che gli uomini si occupino finalmente di qualcosa di ragionevole!
La storia non finisce mai di sorprendere, sia per questa immersione inusuale nel mondo ovino, sia perché qualche colpo di scena c'è anche nel mondo parallelo degli uomini. La parte più debole del romanzo sta proprio nei momenti in cui i due mondi, quello umano e quello animale, interagiscono fra loro, con dei tentativi di comunicazione. Lì si slitta pericolosamente verso un terreno disneyano. Ahi ahi ahi... E' come quando la giostra si ferma e rischi di cadere. Oppure si rimane in bilico.
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