CLASSICI
Alfredo Ronci
Le confessioni di un ex-uomo: “Dissipatio H.G.” di Guido Morselli.

E’ il secondo libro che trattiamo in questa rubrica di Guido Morselli. Il primo fu quello che scrisse tra il 1966 e il 1967 ma che venne alla luce soltanto nel 1974 per le edizioni Adelphi (quelle che tutt’ora pubblicano le opere di Morselli) ed esattamente Roma senza papa.
Ma quello che ci si chiede è: ma come mai ci sono altri libri dello scrittore che non sono stati mai pubblicati (lo dice la stessa Adelphi, citando di due anche i titoli) e che forse darebbero una sorta di definitiva accettazione all’opera di un uomo che nel 1973 decide di suicidarsi?
Di più: Morselli ha pubblicato durante la sua vita solo due libri, i saggi Proust o del sentimento (1943) e Realismo e fantasia (1947), il resto, cioè tutti i suoi romanzi, sono stati pubblicati dopo la sua morte. Come già dissi una volta: se gli editori, allora come oggi, ciechi per il mercato e per le mode incombenti, non avessero privato l’uomo di un giustificatissimo riconoscimento in vita, forse avremmo avuto dallo scrittore una “regolarità” editoriale migliore, che non l’approvazione, urbi et orbi, dell’intellettualismo solo dopo il suicidio nel 1973.
Mi sono accorto che, parlando dello scrittore di origini bolognese, ho usato spesso la parola “forse”, ma nel caso di Morselli potrebbe anche andare bene, visto poi l’esito della sua vita, perché la tragedia o, come avrebbe detto Giorgio Manganelli, un gelo mentale cosmico, e ancor di più una disperata voglia di non esserci, ci consegnano un uomo compiuto pur nell’astratto gioco intellettuale, non privo, come avrebbe detto sempre Montanelli, di intima grazia, oserei dire letizia.
Dissipatio H.G. è il libro che, più di tanti altri, ha segnato la vita editoriale dell’autore, anche se, come abbiamo detto, tutte le storie romanzate che ha scritto sono venute dopo la sua morte. Un successo che forse non si spiega del tutto, visto l’ampiezza intellettuale del testo e a volte, anche, la sua difficile comprensione.
Intanto partiamo dal titolo: Vediamo. C’è una mia vecchia lettura, un testo di Giamblico che ho avuto sott’occhio non ricordo per che ricerca. Parlava della fine della specie e s’intitolava Dissipatio Humani Generis. Dissipazione non in senso morale.
Cioè a dire, la dissoluzione del genere umano (in)travista dal filosofo neoplatonico Giamblico, che è vera e propria “disfatta” del genere umano, dove uno (solo uno?) dei sopravvissuti, e cioè il protagonista, si trova a riflettere sulle conseguenze e sull’effettiva capacità, a sua volta, di porre fine alla propria esistenza.
Non vorrei deviare il lettore, ma sin dalle prime pagine si avverte il gioco lucido ed intellettuale (chissà se davvero lo scrittore, quando scrisse il testo, cioè intorno al 1967, avesse già preso la decisione di interrompere la sua esistenza) di Morselli: termini come nittalopo, oniromanzia freudiana, o fobantropo credo lascino “imbarazzati” qualsivoglia fruitore del testo.
Ma poi qualcosa s’intuisce davvero: l’intenzione del protagonista di suicidarsi. Protagonista che dice di essere nato a Crisopoli (che secondo quelli che hanno studiato Morselli indicherebbe Zurigo): Io non amo Crisopoli, anzi non la posso soffrire. In lei ho scorto il mio antitipo, l’affermazione trionfale di tutto ciò che io rifiuto, l’ho eletta a centro della mia detestazione del mondo; un caput-mundi al negativo.
Protagonista che prima decide di uccidersi con la pistola, ma poi rinuncia anche se, il giorno che ha tentato quel tipo di risoluzione, il 2 giugno, ritornerà costante nei suoi ricordi e nei suoi pensieri. Il connotato del morto è l’impassibilità: ora l’ignoranza e (aggiunga) la dimenticanza o facilità a dimenticare, riducono noi vivi, per la quasi totalità delle esperienze (o relazioni) possibili, a una impassibilità analoga. Siamo morti a tutto ciò che non ci tocca o non c’interessa.
Nonostante gli “eventi” che succedono al protagonista e nonostante si possa intuire che solo lui è il sopravvissuto nella storia, solo verso la fine si dice che… Ritorno, passo passo, all’esterno. Respiro. Ma uomini, essere umani, non ce n’è, né vivi né morti, né là dentro né fuori. Qualche cane di cui mi giunge l’ululato, il battere della pioggia, e io.
Inutile, a questo punto, riportare altri estratti dal libro (anche se con uno breve concludo), il quale, nella sua robustezza intellettuale, s’intuisce che riporta quasi intatta l’incapacità dello scrittore di essere sé stesso e soprattutto in rapporto agli altri.
Qualcuno ha definito Dissipatio H.G. un romanzo di fantascienza. Ma beato (davvero!) chi lo ha fatto per primo.
Niente di abusivo. Io sono il Successore. L’umanità c’era, ora ci sono io. L’epilogo si incarna in me.
L’edizione da noi considerata è:
Guido Morselli
Dissipatio H.G.
Gli adelphi
Ma quello che ci si chiede è: ma come mai ci sono altri libri dello scrittore che non sono stati mai pubblicati (lo dice la stessa Adelphi, citando di due anche i titoli) e che forse darebbero una sorta di definitiva accettazione all’opera di un uomo che nel 1973 decide di suicidarsi?
Di più: Morselli ha pubblicato durante la sua vita solo due libri, i saggi Proust o del sentimento (1943) e Realismo e fantasia (1947), il resto, cioè tutti i suoi romanzi, sono stati pubblicati dopo la sua morte. Come già dissi una volta: se gli editori, allora come oggi, ciechi per il mercato e per le mode incombenti, non avessero privato l’uomo di un giustificatissimo riconoscimento in vita, forse avremmo avuto dallo scrittore una “regolarità” editoriale migliore, che non l’approvazione, urbi et orbi, dell’intellettualismo solo dopo il suicidio nel 1973.
Mi sono accorto che, parlando dello scrittore di origini bolognese, ho usato spesso la parola “forse”, ma nel caso di Morselli potrebbe anche andare bene, visto poi l’esito della sua vita, perché la tragedia o, come avrebbe detto Giorgio Manganelli, un gelo mentale cosmico, e ancor di più una disperata voglia di non esserci, ci consegnano un uomo compiuto pur nell’astratto gioco intellettuale, non privo, come avrebbe detto sempre Montanelli, di intima grazia, oserei dire letizia.
Dissipatio H.G. è il libro che, più di tanti altri, ha segnato la vita editoriale dell’autore, anche se, come abbiamo detto, tutte le storie romanzate che ha scritto sono venute dopo la sua morte. Un successo che forse non si spiega del tutto, visto l’ampiezza intellettuale del testo e a volte, anche, la sua difficile comprensione.
Intanto partiamo dal titolo: Vediamo. C’è una mia vecchia lettura, un testo di Giamblico che ho avuto sott’occhio non ricordo per che ricerca. Parlava della fine della specie e s’intitolava Dissipatio Humani Generis. Dissipazione non in senso morale.
Cioè a dire, la dissoluzione del genere umano (in)travista dal filosofo neoplatonico Giamblico, che è vera e propria “disfatta” del genere umano, dove uno (solo uno?) dei sopravvissuti, e cioè il protagonista, si trova a riflettere sulle conseguenze e sull’effettiva capacità, a sua volta, di porre fine alla propria esistenza.
Non vorrei deviare il lettore, ma sin dalle prime pagine si avverte il gioco lucido ed intellettuale (chissà se davvero lo scrittore, quando scrisse il testo, cioè intorno al 1967, avesse già preso la decisione di interrompere la sua esistenza) di Morselli: termini come nittalopo, oniromanzia freudiana, o fobantropo credo lascino “imbarazzati” qualsivoglia fruitore del testo.
Ma poi qualcosa s’intuisce davvero: l’intenzione del protagonista di suicidarsi. Protagonista che dice di essere nato a Crisopoli (che secondo quelli che hanno studiato Morselli indicherebbe Zurigo): Io non amo Crisopoli, anzi non la posso soffrire. In lei ho scorto il mio antitipo, l’affermazione trionfale di tutto ciò che io rifiuto, l’ho eletta a centro della mia detestazione del mondo; un caput-mundi al negativo.
Protagonista che prima decide di uccidersi con la pistola, ma poi rinuncia anche se, il giorno che ha tentato quel tipo di risoluzione, il 2 giugno, ritornerà costante nei suoi ricordi e nei suoi pensieri. Il connotato del morto è l’impassibilità: ora l’ignoranza e (aggiunga) la dimenticanza o facilità a dimenticare, riducono noi vivi, per la quasi totalità delle esperienze (o relazioni) possibili, a una impassibilità analoga. Siamo morti a tutto ciò che non ci tocca o non c’interessa.
Nonostante gli “eventi” che succedono al protagonista e nonostante si possa intuire che solo lui è il sopravvissuto nella storia, solo verso la fine si dice che… Ritorno, passo passo, all’esterno. Respiro. Ma uomini, essere umani, non ce n’è, né vivi né morti, né là dentro né fuori. Qualche cane di cui mi giunge l’ululato, il battere della pioggia, e io.
Inutile, a questo punto, riportare altri estratti dal libro (anche se con uno breve concludo), il quale, nella sua robustezza intellettuale, s’intuisce che riporta quasi intatta l’incapacità dello scrittore di essere sé stesso e soprattutto in rapporto agli altri.
Qualcuno ha definito Dissipatio H.G. un romanzo di fantascienza. Ma beato (davvero!) chi lo ha fatto per primo.
Niente di abusivo. Io sono il Successore. L’umanità c’era, ora ci sono io. L’epilogo si incarna in me.
L’edizione da noi considerata è:
Guido Morselli
Dissipatio H.G.
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