RECENSIONI
Steve Sem-Sandberg
Gli spodestati
Marsilio, Pag. 672 Euro 22,00
Mordechai Chaim Rumkowski "si vedeva come una persona semplice e pratica, senza arie sofisticate": premessa non da poco per fare quello che faceva. Ché il, come dire, controverso protagonista del romanzo di Steve Sem-Sandberg, Gli spodestati non è frutto d'invenzione ma fu realmente a capo del ghetto di Lozd negli anni tragici della seconda guerra. La praticità che gli attribuisce l'autore non possiamo non immaginarla come condizione senza la quale chiunque altro sarebbe naufragato di fronte al compito immane di farsi carico di un'intera comunità costretta a vivere nell'angosciosa minaccia del momento finale non di una storia individuale o famigliare ma di un intero popolo.
Ma "farsi carico" sarebbe per i più un'espressione generosa e probabilmente fuori luogo, visto che la vulgata ci consegna il profilo di un aguzzino che si fa complice dei nazisti, più che altro. La complicazione appartiene a chi resta, a chi non capiva come giudicarlo allora e ai postumi, compresi noi lettori, impegnati in un'impresa difficile la sua parte: come giudicare un uomo che obbedisce a ogni ordine dei tedeschi sottoponendo la sua gente a qualsiasi vessazione garantendole però un filtro essenziale all'arbitrio del potere nazista? Il capo del ghetto di Lodz, uomo dall'ambizione spropositata, è incaricato di mantenere l'ordine, "prendere ogni necessaria misura", incarico che gli rende difficile sottrarsi anche all'opzione terribile di "lasciar andare i vecchi e i bambini". Per il resto, una considerevole forza-lavoro al servizio dei nazisti, sottoposta a turni massacranti, della quale l'uomo sembra perversamente orgoglioso – non ultimo argomentando che la ricchezza prodotta assicura al ghetto una sopravvivenza prolungata che altrove non c'era. Anche se le pessime condizioni generali procurarono migliaia di morti. "Ci vuole il cuore di un ladro per chiedere ciò che vi sto chiedendo. Ma mettetevi nei miei panni (...), non posso agire diversamente, perché le persone che posso salvare in questo modo sono più numerose di quelle che devo lasciare andare". Non privandosi del piacere di abusare di bambini, per dire.
Scrittore svedese del 1958 al suo primo romanzo, vincitore del premio "Augustpriset" e del "Nordic Council Award", Sem-Standberg in questo libro dalla mole impegnativa recapita al lettore domande altrettanto impegnative, diciamo pure inquietanti sul bene e il male mettendogli davanti la storia di uno stato d'eccezione in cui ognuno può sperimentare l'insufficienza di una risposta sicura. Il romanziere ha lavorato con una prosa compatta e un senso vivo del racconto alla ricostruzione del clima, dei fatti e dei sentimenti del ghetto di Lodz con pazienza, rispetto, attenzione, basandosi innanzitutto sull'enorme mole di documenti conosciuta come 'Cronaca del ghetto', redatta dagli impiegati dell'archivio in polacco. Senza enfasi inutile, senza concedere nulla alla facilità del macabro nel quale si potrebbe agevolmente sguazzare, facendo le pulci agli aspetti che a posteriori non sembravano reggere a un esame approfondito. Non risparmiando nulla a quello che i più definirono un "mostro" o un collaborazionista tout court, ma tenendo ben presente che guardare nella zona grigia è una delle sfide più avvincenti di uno scrittore. Uno di quei libri che dimostrano come la letteratura sia tutt'altro che un reperto del passato.
di Michele Lupo
Ma "farsi carico" sarebbe per i più un'espressione generosa e probabilmente fuori luogo, visto che la vulgata ci consegna il profilo di un aguzzino che si fa complice dei nazisti, più che altro. La complicazione appartiene a chi resta, a chi non capiva come giudicarlo allora e ai postumi, compresi noi lettori, impegnati in un'impresa difficile la sua parte: come giudicare un uomo che obbedisce a ogni ordine dei tedeschi sottoponendo la sua gente a qualsiasi vessazione garantendole però un filtro essenziale all'arbitrio del potere nazista? Il capo del ghetto di Lodz, uomo dall'ambizione spropositata, è incaricato di mantenere l'ordine, "prendere ogni necessaria misura", incarico che gli rende difficile sottrarsi anche all'opzione terribile di "lasciar andare i vecchi e i bambini". Per il resto, una considerevole forza-lavoro al servizio dei nazisti, sottoposta a turni massacranti, della quale l'uomo sembra perversamente orgoglioso – non ultimo argomentando che la ricchezza prodotta assicura al ghetto una sopravvivenza prolungata che altrove non c'era. Anche se le pessime condizioni generali procurarono migliaia di morti. "Ci vuole il cuore di un ladro per chiedere ciò che vi sto chiedendo. Ma mettetevi nei miei panni (...), non posso agire diversamente, perché le persone che posso salvare in questo modo sono più numerose di quelle che devo lasciare andare". Non privandosi del piacere di abusare di bambini, per dire.
Scrittore svedese del 1958 al suo primo romanzo, vincitore del premio "Augustpriset" e del "Nordic Council Award", Sem-Standberg in questo libro dalla mole impegnativa recapita al lettore domande altrettanto impegnative, diciamo pure inquietanti sul bene e il male mettendogli davanti la storia di uno stato d'eccezione in cui ognuno può sperimentare l'insufficienza di una risposta sicura. Il romanziere ha lavorato con una prosa compatta e un senso vivo del racconto alla ricostruzione del clima, dei fatti e dei sentimenti del ghetto di Lodz con pazienza, rispetto, attenzione, basandosi innanzitutto sull'enorme mole di documenti conosciuta come 'Cronaca del ghetto', redatta dagli impiegati dell'archivio in polacco. Senza enfasi inutile, senza concedere nulla alla facilità del macabro nel quale si potrebbe agevolmente sguazzare, facendo le pulci agli aspetti che a posteriori non sembravano reggere a un esame approfondito. Non risparmiando nulla a quello che i più definirono un "mostro" o un collaborazionista tout court, ma tenendo ben presente che guardare nella zona grigia è una delle sfide più avvincenti di uno scrittore. Uno di quei libri che dimostrano come la letteratura sia tutt'altro che un reperto del passato.
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