RECENSIONI
Romano Benini
Italia Cortigiana - Passato e Presente di un modello di potere
Donzelli, Pag. 260 Euro 25, 00
Diciamolo, inutile prendersela con i partiti. Non sono peggio della maggioranza degli italiani che rappresenta(va)no – altrimenti che maggioranza sarebbe?
Gli italiani potremmo dividerli in due categorie, quelli che i partiti li vogliono e li cercano (con tante variabili: quelli se li inventano, quelli che vi si accampano come in una cuccia protettiva che dilata fino al decesso la sicurezza uterina, quelli che li soffrono come un servo soffre il padrone di cui però non può fare a meno) e quelli che li detestano. I primi ne godono i benefici soprattutto illeciti, favori e botte di culo altrimenti impensabili, carriere o sistemazioni che le proprie capacità avrebbero reso impossibili; i secondi ne sono rimasti fuori, per sfiga conclamata i più, i restanti per inattitudine al leccaculismo e qualche residuo di amor proprio, ossia verso la faccia che non si spappola davanti allo specchio.
L'Italia è quella lì insomma, uno come Casini è tanto avventizio per la ragione umana quanto strutturale per il carattere nazionale. Dice Romano Benini (Italia cortigiana, Passato e Presente di un modello di potere, Donzelli), quello che andiamo ripetendo su queste pagine e altrove da tanto tempo: che il cortigiano è l'italiano, tout court. Che clientelismo e corruzione da noi sono, come oggi usa dire, di default.
Da Roma antica ai papi (il cattolicesimo avendo contribuito in maniera determinante al nostro non modo di intendere la cosa pubblica – "governare le anime per governare le persone", il buon vecchio Machiavelli, letto ridicolmente, e non per caso, ha sempre invece da dire utilissime cose) e dalle corti papali romane a questi anni penosi: il palazzo e i cortei di baciapile, la servitù, il familismo allargato: tratti distintivi, sovratemporali, immarcescibili. Parola d'ordine: "Che te serve?"
Benini è un giurista. Taglia la storia italiana di "un modello di potere", quello cortigiano, per sezioni esemplari, le tre prima menzionate, e mostra come il passaggio da Roma repubblicana all'Impero abbia contribuito ad abbassare "la dinamica sociale e politica dell'Urbe". È allora che inizia a definirsi quel sostanziale parassitismo clientelare che ben conosciamo, a circolare quel veleno di ottusità indolente che approfitta dello scambio di favori per mantenere una condizione di benessere sociale che non corrisponde a niente di fattivo, o di utile, per non dire di giusto... Da Augusto a Diocleziano il sistema clientelare diventa il modello dominante. Già con l'evergetismo la stretta concordia che garantiva la stabilità politica slitta verso la pratica sempre meno disinteressata di elargire doni, feste e favori in cambio del consenso elettorale. "Roma ladrona", avverte Benino, è espressione già presente in Tacito, Plinio, Machiavelli etc.
La corruzione non è solo un modo per fare carriera e sistemarsi, ma la chiave per disinnescare il conflitto politico. Che da noi, non casualmente, mai si è svolto in una libera dialettica democratica e "non violenta" – impedita alla base da una corruzione sistematica che l'ha molto strombazzata ogni qual volta qualche migliaio di persone è sfilato in corteo per eccepire. Non consola l'idea di Benini che la "logica dell'amico", non sia prerogativa italiana, ma modello mediterraneo. La geografia della devastante crisi odierna sta lì a confermarlo. Il padrone-patrono perpetua tratti arcaici, feudali, lo stesso assistenzialismo ne è una declinazione. Ma già nel modello sociale romano il rapporto fiduciario fra patrono e cliente è strutturale. Passano i secoli e i millenni e le raccomandazioni sostituiscono opportunità e capacità. Il nepotismo è d'ordinanza. Il meretricio, idem. Il rendiconto dell'attività di un politico, non usa. Poi magari ci scappa un Piazzale Loreto – ma quanto la si fa lunga!
di Michele Lupo
Gli italiani potremmo dividerli in due categorie, quelli che i partiti li vogliono e li cercano (con tante variabili: quelli se li inventano, quelli che vi si accampano come in una cuccia protettiva che dilata fino al decesso la sicurezza uterina, quelli che li soffrono come un servo soffre il padrone di cui però non può fare a meno) e quelli che li detestano. I primi ne godono i benefici soprattutto illeciti, favori e botte di culo altrimenti impensabili, carriere o sistemazioni che le proprie capacità avrebbero reso impossibili; i secondi ne sono rimasti fuori, per sfiga conclamata i più, i restanti per inattitudine al leccaculismo e qualche residuo di amor proprio, ossia verso la faccia che non si spappola davanti allo specchio.
L'Italia è quella lì insomma, uno come Casini è tanto avventizio per la ragione umana quanto strutturale per il carattere nazionale. Dice Romano Benini (Italia cortigiana, Passato e Presente di un modello di potere, Donzelli), quello che andiamo ripetendo su queste pagine e altrove da tanto tempo: che il cortigiano è l'italiano, tout court. Che clientelismo e corruzione da noi sono, come oggi usa dire, di default.
Da Roma antica ai papi (il cattolicesimo avendo contribuito in maniera determinante al nostro non modo di intendere la cosa pubblica – "governare le anime per governare le persone", il buon vecchio Machiavelli, letto ridicolmente, e non per caso, ha sempre invece da dire utilissime cose) e dalle corti papali romane a questi anni penosi: il palazzo e i cortei di baciapile, la servitù, il familismo allargato: tratti distintivi, sovratemporali, immarcescibili. Parola d'ordine: "Che te serve?"
Benini è un giurista. Taglia la storia italiana di "un modello di potere", quello cortigiano, per sezioni esemplari, le tre prima menzionate, e mostra come il passaggio da Roma repubblicana all'Impero abbia contribuito ad abbassare "la dinamica sociale e politica dell'Urbe". È allora che inizia a definirsi quel sostanziale parassitismo clientelare che ben conosciamo, a circolare quel veleno di ottusità indolente che approfitta dello scambio di favori per mantenere una condizione di benessere sociale che non corrisponde a niente di fattivo, o di utile, per non dire di giusto... Da Augusto a Diocleziano il sistema clientelare diventa il modello dominante. Già con l'evergetismo la stretta concordia che garantiva la stabilità politica slitta verso la pratica sempre meno disinteressata di elargire doni, feste e favori in cambio del consenso elettorale. "Roma ladrona", avverte Benino, è espressione già presente in Tacito, Plinio, Machiavelli etc.
La corruzione non è solo un modo per fare carriera e sistemarsi, ma la chiave per disinnescare il conflitto politico. Che da noi, non casualmente, mai si è svolto in una libera dialettica democratica e "non violenta" – impedita alla base da una corruzione sistematica che l'ha molto strombazzata ogni qual volta qualche migliaio di persone è sfilato in corteo per eccepire. Non consola l'idea di Benini che la "logica dell'amico", non sia prerogativa italiana, ma modello mediterraneo. La geografia della devastante crisi odierna sta lì a confermarlo. Il padrone-patrono perpetua tratti arcaici, feudali, lo stesso assistenzialismo ne è una declinazione. Ma già nel modello sociale romano il rapporto fiduciario fra patrono e cliente è strutturale. Passano i secoli e i millenni e le raccomandazioni sostituiscono opportunità e capacità. Il nepotismo è d'ordinanza. Il meretricio, idem. Il rendiconto dell'attività di un politico, non usa. Poi magari ci scappa un Piazzale Loreto – ma quanto la si fa lunga!
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