RECENSIONI
Giuseppe Schillaci
L'anno delle ceneri
Nutrimenti, Pag. 215 Euro 15,00
Non bisogna studiare, o come diceva quel poeta: che bisogno c'è di documentarsi? La parola è carne e in quanto tale non ha bisogno di addentellati, si addenta da sé. Soprattutto quando si ha la necessità di farsi male.
Giuseppe Schillaci è ancor troppo giovane per aver capito quando il tempo va documentato e quando invece va semplicemente scritto: operazione discutibile la sua, perché il suo romanzo è cronaca nel momento in cui racconta una Sicilia coreografica, ma politicamente riconoscibile (sì, riconoscibile per le facce, per il politucume democristiano e non, che ha ammorbato 'sto paese di false illusioni e di falsi predicatori: dunque cosa sono i comizi di Gedda, le apparizioni di Saragat e l'accenno all'attentato a Togliatti se non la presunzione di aver costruito bene?) e poi non lo è più quando si convince, forse troppo tardi, che la cronistoria è un inutile complemento, un surplus men che meno marxista.
Metà e metà dunque: la prima è soffocata dal protagonismo che s'è detto, che uccide letteralmente quel che lo stesso autore definisce storie di personaggi realmente esistiti, una cultura orale che oggi rischia di scomparire per sempre. E sono stati questi racconti ad alimentare la mia percezione della Sicilia come terra di misteri, rovine, ceneri. Ancora oggi Palermo ostenta con arrogante civetteria i segni dei bombardamenti del 1943. L'altra improvvisamente si desta, fa a meno dell'inutile, del forzoso, cammina con le proprie gambe, finalmente convince.
Pure sul linguaggio Schillaci vibra a metà: quando lo vuole arcaico e all'uopo, sconfina nell'esagerazione, crediamo addirittura nell'autolesionismo: un gruppo di scalmanati diventa una comarca di scanazzati (pag.20), sempre gli scanazzati chiedono palloncini e ciunghe (pag. 27), il luogo d'incontro diventa una vanedda polverosa (pag.33) e la sera alfine sbrizziava (pag. 37).
Poi d'improvviso il fuoco d'artificio scompare, come scompaiono i personaggi fastidiosi, quelli che non dovrebbero stare in un romanzo 'siciliano' perché ho sempre pensato che il male o l'esatto suo contrario, debbano stare divisi, tanto più se si sente il bisogno di raccontare l'uno e l'altro.
E quando lo stratagemma e l'astuzia scompaiono(così crede Schillaci), compare l'essenza stessa de L'anno delle ceneri, quel che ancora l'autore definisce una Sicilia oscura e fantastica, meschina e malata.
Insomma noi che crediamo nel valore della parola, che sterminiamo i milioni di esordienti incapaci non solo di vedere, ma anche di ascoltare, che propugniamo l'anno zero della letteratura (se vuole, Santoro si accodi) e lo sterminio di massa, vera e propria pulizia etnica, degli editor e degli agenti letterari e i loro editori, non possiamo però tacere lo scuorno per un autore capace e pure insolito (perché un trentaduenne dovrebbe parlare della Sicilia del 1948? Insolito no?) che ha cellofanato inutilmente il suo romanzo, perché così crede di averlo consegnato alla conservazione (e ci si è messo pure Consolo a dargli la parvenza di ufficialità... e qualcuno che ha tentato la via del premio Strega... suvvia!).
L'anno delle ceneri è un'occasione mancata e preziosa, dove l'imbastitura rivela la capacità anche d'introspezione dello Schillaci. Mancata per quel che s'è detto finora, preziosa perché ad averceli esordienti come lui che non 'bestemmiano' di riti di passaggio.
Anche Aldo Moro è morto più di trent'anni fa, ma lasciamolo là. I romanzi su Roma non hanno bisogno di lui.
di Alfredo Ronci
Giuseppe Schillaci è ancor troppo giovane per aver capito quando il tempo va documentato e quando invece va semplicemente scritto: operazione discutibile la sua, perché il suo romanzo è cronaca nel momento in cui racconta una Sicilia coreografica, ma politicamente riconoscibile (sì, riconoscibile per le facce, per il politucume democristiano e non, che ha ammorbato 'sto paese di false illusioni e di falsi predicatori: dunque cosa sono i comizi di Gedda, le apparizioni di Saragat e l'accenno all'attentato a Togliatti se non la presunzione di aver costruito bene?) e poi non lo è più quando si convince, forse troppo tardi, che la cronistoria è un inutile complemento, un surplus men che meno marxista.
Metà e metà dunque: la prima è soffocata dal protagonismo che s'è detto, che uccide letteralmente quel che lo stesso autore definisce storie di personaggi realmente esistiti, una cultura orale che oggi rischia di scomparire per sempre. E sono stati questi racconti ad alimentare la mia percezione della Sicilia come terra di misteri, rovine, ceneri. Ancora oggi Palermo ostenta con arrogante civetteria i segni dei bombardamenti del 1943. L'altra improvvisamente si desta, fa a meno dell'inutile, del forzoso, cammina con le proprie gambe, finalmente convince.
Pure sul linguaggio Schillaci vibra a metà: quando lo vuole arcaico e all'uopo, sconfina nell'esagerazione, crediamo addirittura nell'autolesionismo: un gruppo di scalmanati diventa una comarca di scanazzati (pag.20), sempre gli scanazzati chiedono palloncini e ciunghe (pag. 27), il luogo d'incontro diventa una vanedda polverosa (pag.33) e la sera alfine sbrizziava (pag. 37).
Poi d'improvviso il fuoco d'artificio scompare, come scompaiono i personaggi fastidiosi, quelli che non dovrebbero stare in un romanzo 'siciliano' perché ho sempre pensato che il male o l'esatto suo contrario, debbano stare divisi, tanto più se si sente il bisogno di raccontare l'uno e l'altro.
E quando lo stratagemma e l'astuzia scompaiono(così crede Schillaci), compare l'essenza stessa de L'anno delle ceneri, quel che ancora l'autore definisce una Sicilia oscura e fantastica, meschina e malata.
Insomma noi che crediamo nel valore della parola, che sterminiamo i milioni di esordienti incapaci non solo di vedere, ma anche di ascoltare, che propugniamo l'anno zero della letteratura (se vuole, Santoro si accodi) e lo sterminio di massa, vera e propria pulizia etnica, degli editor e degli agenti letterari e i loro editori, non possiamo però tacere lo scuorno per un autore capace e pure insolito (perché un trentaduenne dovrebbe parlare della Sicilia del 1948? Insolito no?) che ha cellofanato inutilmente il suo romanzo, perché così crede di averlo consegnato alla conservazione (e ci si è messo pure Consolo a dargli la parvenza di ufficialità... e qualcuno che ha tentato la via del premio Strega... suvvia!).
L'anno delle ceneri è un'occasione mancata e preziosa, dove l'imbastitura rivela la capacità anche d'introspezione dello Schillaci. Mancata per quel che s'è detto finora, preziosa perché ad averceli esordienti come lui che non 'bestemmiano' di riti di passaggio.
Anche Aldo Moro è morto più di trent'anni fa, ma lasciamolo là. I romanzi su Roma non hanno bisogno di lui.
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