RECENSIONI
David Gilmour
La notte perfetta per andare in Cina
Einaudi, Pag. 162 Euro 10,00
Se è già tanto difficile elaborare un lutto certo, quando il dato di realtà obbliga a confrontarsi con l'inevitabile, quanto sarà più difficile affrontare una perdita mai definitivamente accertata, una situazione in cui rassegnazione e speranza lottano ad armi pari? Qual è la strada per uscirne? Sempre che uscirne sia possibile.
E' questo il problema che affronta lo scrittore canadese, calandosi nelle vesti di un padre il cui figlio è scomparso nel nulla a sei anni.
In fondo al libro, nei ringraziamenti, Gilmour dice che il suo editor, dopo aver acquistato il romanzo, l'ha convinto a buttarlo via e riscriverlo. Sorge spontanea la curiosità su che cosa sia stato cambiato, che cosa tolto o aggiunto. Su questo mistero non ho modo di far luce. E nemmeno si può sperare di far luce sulle sorti del bambino sparito. Questo si capisce da subito, anche perché c'è la famosa legge delle 24 ore: se dopo quel termine la cosa non si è risolta, le probabilità di un esito felice diminuiscono radicalmente.
Lo sventurato padre, che svolge la professione di conduttore di interviste televisive (una specie di Fabio Fazio, per capirci) deve affrontare un lungo calvario fatto di sensi di colpa, rottura del rapporto di coppia, calo degli indici d'ascolto (dopo un brusco rialzo iniziale) e perfino noie con la polizia, a causa dei comportamenti bizzarri che spesso gli detta la disperazione. In particolare c'è un poliziotto dai capelli unti che lo segue ovunque con accanimento surreale, e che sembra una via di mezzo fra l'angelo custode e la cattiva coscienza (avete presente il mendicante che assilla lo sciagurato Gypo ne Il Traditore di J.Ford?).
Lo conforta solo la possibilità di entrare attraverso il sogno in un improbabile aldilà che ha l'aspetto di una città caraibica, dove può cercare suo figlio fra le allegre comitive dei trapassati.
(...) la strada era affollata, gli uomini se ne andavano in giro in camicia e pantaloni bianchi, i bambini vendevano sigari, la biancheria penzolava dai balconi.
(...) Salimmo sul marciapiede proprio mentre passava un gruppo di allegroni con i cappellini e le trombette.
- Un autobus di studenti di ingegneria, - disse il dentista sottovoce.
- Che tristezza, - esclamai.
- Si calmeranno - disse Gloria. - Fanno tutti così la prima settimana o due.
Ma c'è la vita diurna, quasi insopportabile. Per un po' il protagonista sperimenta un suo metodo per sgomberare la mente, che è quello di cacciarsi in situazioni violente e pericolose, però anche questo non basta. Alla fine resta soltanto la possibilità di ricorrere alla fuga o al suicidio. O magari a tutt'e due. Così decide di partire davvero per la città caraibica, che poi è una città di cui realmente conserva tanti ricordi relativi al passato. Qui in qualche modo sistemerà la questione.
E' un romanzo scorrevole, di gradevole lettura, che non manca, all'occorrenza, di sottigliezze psicologiche e suggestioni d'ambiente.
di Giovanna Repetto
E' questo il problema che affronta lo scrittore canadese, calandosi nelle vesti di un padre il cui figlio è scomparso nel nulla a sei anni.
In fondo al libro, nei ringraziamenti, Gilmour dice che il suo editor, dopo aver acquistato il romanzo, l'ha convinto a buttarlo via e riscriverlo. Sorge spontanea la curiosità su che cosa sia stato cambiato, che cosa tolto o aggiunto. Su questo mistero non ho modo di far luce. E nemmeno si può sperare di far luce sulle sorti del bambino sparito. Questo si capisce da subito, anche perché c'è la famosa legge delle 24 ore: se dopo quel termine la cosa non si è risolta, le probabilità di un esito felice diminuiscono radicalmente.
Lo sventurato padre, che svolge la professione di conduttore di interviste televisive (una specie di Fabio Fazio, per capirci) deve affrontare un lungo calvario fatto di sensi di colpa, rottura del rapporto di coppia, calo degli indici d'ascolto (dopo un brusco rialzo iniziale) e perfino noie con la polizia, a causa dei comportamenti bizzarri che spesso gli detta la disperazione. In particolare c'è un poliziotto dai capelli unti che lo segue ovunque con accanimento surreale, e che sembra una via di mezzo fra l'angelo custode e la cattiva coscienza (avete presente il mendicante che assilla lo sciagurato Gypo ne Il Traditore di J.Ford?).
Lo conforta solo la possibilità di entrare attraverso il sogno in un improbabile aldilà che ha l'aspetto di una città caraibica, dove può cercare suo figlio fra le allegre comitive dei trapassati.
(...) la strada era affollata, gli uomini se ne andavano in giro in camicia e pantaloni bianchi, i bambini vendevano sigari, la biancheria penzolava dai balconi.
(...) Salimmo sul marciapiede proprio mentre passava un gruppo di allegroni con i cappellini e le trombette.
- Un autobus di studenti di ingegneria, - disse il dentista sottovoce.
- Che tristezza, - esclamai.
- Si calmeranno - disse Gloria. - Fanno tutti così la prima settimana o due.
Ma c'è la vita diurna, quasi insopportabile. Per un po' il protagonista sperimenta un suo metodo per sgomberare la mente, che è quello di cacciarsi in situazioni violente e pericolose, però anche questo non basta. Alla fine resta soltanto la possibilità di ricorrere alla fuga o al suicidio. O magari a tutt'e due. Così decide di partire davvero per la città caraibica, che poi è una città di cui realmente conserva tanti ricordi relativi al passato. Qui in qualche modo sistemerà la questione.
E' un romanzo scorrevole, di gradevole lettura, che non manca, all'occorrenza, di sottigliezze psicologiche e suggestioni d'ambiente.
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