RECENSIONI
Roberto Melchiorre
Marcinelle
Textus, Pag.101 Euro 9,50
Il detto "non tutte le disgrazie vengono per nuocere" (Totò avrebbe detto, non tutte le disgrazie vengono per suocere) non mi ha mai convinto. Lo vedo come una sorta di alibi per le nefandezze più assolute.
Prendiamo ad esempio il caso Marcinelle: non vorrei sembrare d'altri tempi (dove più che adesso le parole avevano una carica ideologica eccessiva, ma spesso c'azzeccavano) ma mi "piacerebbe" definirlo una strage di Stato. In questo caso di due Stati.
Per i più distratti: 8 agosto 1956, nella tarda mattinata di un caldo agosto arrivano per radio le prime notizie di quella che poi si rivelerà una delle tragedie più spaventose degli anni '50. Nella miniera di Bois du Cazier, località belga di Marcinelle, per un incidente, le cui modalità furono chiarite parzialmente, trovarono la morte 266 lavoratori. Moltissimi italiani. E gli italiani d'Italia, già alle prese con i primi singulti di un boom economico che si alimentava anche del Buongiorno di "Lascia o Raddoppia" delle Olimpiadi invernali di Cortina e della Ferrari di Manuel Fangio, furono trascinati improvvisamente, e di nuovo , nel lutto e nella tragedia che si rivelò per molti versi epocale.
Perché ho definito Marcinelle una strage di Stato? Perché già il Protocollo d'intesa, firmato dieci anni prima, nel 1946, tra il governo belga e quello italiano d'unità nazionale presieduto da Alcide De Gasperi "costringeva" (anche se le apparenze erano rivestite dell'aurea del politichese burocratico) i minatori italiani ad una vita di stenti e di miserie. E già nei primi anni di applicazione del documento le condizioni dei nostri operai si rivelarono più dure del previsto.
Strage di Stato perché maestranze e responsabili erano a conoscenza della pericolosità della struttura stessa della miniera, tanto che il governo italiano nel 1953 sospese, in seguito ad una serie spaventosa di incidenti in altre località, l'emigrazione verso il Belgio in attesa di maggiori garanzie sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Situazione che si sbloccò nel 1954, quando altri emigranti raggiunsero il paese francofono, dopo un nuovo protocollo d'intesa italo-belga del 1954. Ma i minatori continuavano a morire. E Martinelle fu l'epilogo spaventoso.
Destino italiano quello di contare i morti nelle miniere. Luciano Bianciardi, dopo la tragedia di Ribolla, nella Maremma Toscana, dove 43 minatori persero la vita a causa di un'esplosione di grisou, scrisse, proprio nel 1956, Minatori della Maremma e ne La vita agra (1962) il protagonista Luciano Bianchi va a Milano perché vuol far saltare il grattacielo della Pirelli usando proprio il famigerato gas.
Roberto Melchiorre, l'autore di Marcinelle, ci consegna un libro asciutto e sentito, dove il dolore dei familiari è contenuto e dignitoso, ma straziante nella supina accettazione. Un libro che nel breve corso di cento pagine delinea con nettezza sociologica l'Italia dei primi ludici spassi, ma pronta a riconfrontarsi con le tragedie. E ancor di più tratteggia una regione, L'Abruzzo, colpita in modo più che significativo dal lutto (sessantasei minatori che persero la vita erano abruzzesi), alla prese ancora con la povertà e l'arretratezza sociale.
Scriveva Valerio Castronovo in La storia economica (Storia d'Italia – Dall'Unità a oggi. Da contadini a operai – Einaudi): Ancora una volta, quasi come cinquant'anni prima, una politica di massiccia emigrazione (per 2 milioni di lavoratori) e l'equilibrio della bilancia dei pagamenti venivano considerati le leve fondamentali per una graduale evoluzione economica.
Due milioni di lavoratori che hanno contribuito, nonostante il resto, a costruire questo paese. Bene hanno fatto coloro i quali hanno ricordato cinquant'anni dopo, appunto nel 2006, la tragedia di Marcinelle. Non solo per una rielaborazione del lutto, ma per un riappropriarsi civile delle nostre origini operaie.
di Alfredo Ronci
Prendiamo ad esempio il caso Marcinelle: non vorrei sembrare d'altri tempi (dove più che adesso le parole avevano una carica ideologica eccessiva, ma spesso c'azzeccavano) ma mi "piacerebbe" definirlo una strage di Stato. In questo caso di due Stati.
Per i più distratti: 8 agosto 1956, nella tarda mattinata di un caldo agosto arrivano per radio le prime notizie di quella che poi si rivelerà una delle tragedie più spaventose degli anni '50. Nella miniera di Bois du Cazier, località belga di Marcinelle, per un incidente, le cui modalità furono chiarite parzialmente, trovarono la morte 266 lavoratori. Moltissimi italiani. E gli italiani d'Italia, già alle prese con i primi singulti di un boom economico che si alimentava anche del Buongiorno di "Lascia o Raddoppia" delle Olimpiadi invernali di Cortina e della Ferrari di Manuel Fangio, furono trascinati improvvisamente, e di nuovo , nel lutto e nella tragedia che si rivelò per molti versi epocale.
Perché ho definito Marcinelle una strage di Stato? Perché già il Protocollo d'intesa, firmato dieci anni prima, nel 1946, tra il governo belga e quello italiano d'unità nazionale presieduto da Alcide De Gasperi "costringeva" (anche se le apparenze erano rivestite dell'aurea del politichese burocratico) i minatori italiani ad una vita di stenti e di miserie. E già nei primi anni di applicazione del documento le condizioni dei nostri operai si rivelarono più dure del previsto.
Strage di Stato perché maestranze e responsabili erano a conoscenza della pericolosità della struttura stessa della miniera, tanto che il governo italiano nel 1953 sospese, in seguito ad una serie spaventosa di incidenti in altre località, l'emigrazione verso il Belgio in attesa di maggiori garanzie sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Situazione che si sbloccò nel 1954, quando altri emigranti raggiunsero il paese francofono, dopo un nuovo protocollo d'intesa italo-belga del 1954. Ma i minatori continuavano a morire. E Martinelle fu l'epilogo spaventoso.
Destino italiano quello di contare i morti nelle miniere. Luciano Bianciardi, dopo la tragedia di Ribolla, nella Maremma Toscana, dove 43 minatori persero la vita a causa di un'esplosione di grisou, scrisse, proprio nel 1956, Minatori della Maremma e ne La vita agra (1962) il protagonista Luciano Bianchi va a Milano perché vuol far saltare il grattacielo della Pirelli usando proprio il famigerato gas.
Roberto Melchiorre, l'autore di Marcinelle, ci consegna un libro asciutto e sentito, dove il dolore dei familiari è contenuto e dignitoso, ma straziante nella supina accettazione. Un libro che nel breve corso di cento pagine delinea con nettezza sociologica l'Italia dei primi ludici spassi, ma pronta a riconfrontarsi con le tragedie. E ancor di più tratteggia una regione, L'Abruzzo, colpita in modo più che significativo dal lutto (sessantasei minatori che persero la vita erano abruzzesi), alla prese ancora con la povertà e l'arretratezza sociale.
Scriveva Valerio Castronovo in La storia economica (Storia d'Italia – Dall'Unità a oggi. Da contadini a operai – Einaudi): Ancora una volta, quasi come cinquant'anni prima, una politica di massiccia emigrazione (per 2 milioni di lavoratori) e l'equilibrio della bilancia dei pagamenti venivano considerati le leve fondamentali per una graduale evoluzione economica.
Due milioni di lavoratori che hanno contribuito, nonostante il resto, a costruire questo paese. Bene hanno fatto coloro i quali hanno ricordato cinquant'anni dopo, appunto nel 2006, la tragedia di Marcinelle. Non solo per una rielaborazione del lutto, ma per un riappropriarsi civile delle nostre origini operaie.
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