RECENSIONI
Giorgio Pressburger
Nel regno oscuro
Bompiani, Pag. 330 Euro 10,50
Nel regno oscuro è la storia di un viaggio. Un viaggio dantesco all'interno dell'inferno personale del portagonista e all'interno dell'inferno storico del secolo appena passato. Ma è anche un viaggio freudiano nell'inconscio di un uomo che nella perdita del padre e del fratello ha subito anche la perdita di sè stesso e del senso profondo della propria vita.
Il protagonista vaga nelle tenebre più fitte con una guida d'eccezione, il proprio psicanalista che come in una sorta di eziologia della scienza psicanalitica è il dottor Freud in persona. Questo offre lo spunto al Pressburger per ripercorrere anche tappe fondamentali della vita del celebre studioso, mostrandocene dei lati spesso poco noti e chiarificatori della complessità di una figura che ha profondamente segnato il progresso scientifico.
Durante il cammino, rischiarato solo da improvvisi lumi di razionalità, si mostreranno al protagonista tutta una serie di personaggi della cultura e della storia, che cercheranno di parlare di sè, di spiegare le loro ragioni, spesso molto diverse da quelle che si vorrebbero assodate. La carrellata di personaggi è delle più varie: si passa da Andrea Pazienza a Gramsci, da Edgar Allan Poe a Paul Celan, in una continua ricerca di una verità che tende a celarsi e a manifestarsi nelle più svariate forme. Così l'insigne Arendt cercherà di spiegare le ragioni di un amore incomprensibilmente scisso dalla ragione (quello con il filosofo filonazista Martin Heidegger), così il poeta Attila Jòzsef racconta i propri progetti di morte e automutilazione, così le vittime del massacro più feroce della Storia, l'Olocausto, illustrano con i corpi sofferenti le atrocità subite. Il viaggiatore affranto interroga alcune delle menti più vivaci e apprezzate del passato più prossimo e lo fa sempre con partecipazione, come quando, concitato, domanda all'apprezzatissimo Primo Levi quale passione "egoismo, delirio del narciso ed esclusione di tutti gli altri esseri viventi" lo spinse a vestire panni borghesi poco attinenti alla sua vita precedente e ai suoi scritti.
Come lo stesso Pressburger chiarisce nelle lettere finali, gli stili utilizzati sono disparati, la lingua adotta artifici dialettali per farsi matericamente voce delle vittime, i capitoli fanno riferimento a episodi dell'Inferno di Dante, per "chiarire che l'Inferno è l'inconscio dell'uomo d'oggi".
Attraverso questo viaggio, che è anche una scoperta mai veramente conclusa ed esaustiva, l'uomo finalmente guarisce dai suoi fantasmi, liberandoli ed ascoltandoli può farsi una ragione del male che alberga nella natura umana. L'accettazione è impossibile, e la condanna di alcuni delitti rimane inappellabile. Ma attraverso questo percorso che si snoda in episodi fra i più disparati (ad accompagnare il testo un'ampia appendice di note che quasi costituisce testo a sè) anche noi possiamo assistere sulla spiaggia alla disperazione di una persona sola e guardarci dentro.
di Enrica Murru
Il protagonista vaga nelle tenebre più fitte con una guida d'eccezione, il proprio psicanalista che come in una sorta di eziologia della scienza psicanalitica è il dottor Freud in persona. Questo offre lo spunto al Pressburger per ripercorrere anche tappe fondamentali della vita del celebre studioso, mostrandocene dei lati spesso poco noti e chiarificatori della complessità di una figura che ha profondamente segnato il progresso scientifico.
Durante il cammino, rischiarato solo da improvvisi lumi di razionalità, si mostreranno al protagonista tutta una serie di personaggi della cultura e della storia, che cercheranno di parlare di sè, di spiegare le loro ragioni, spesso molto diverse da quelle che si vorrebbero assodate. La carrellata di personaggi è delle più varie: si passa da Andrea Pazienza a Gramsci, da Edgar Allan Poe a Paul Celan, in una continua ricerca di una verità che tende a celarsi e a manifestarsi nelle più svariate forme. Così l'insigne Arendt cercherà di spiegare le ragioni di un amore incomprensibilmente scisso dalla ragione (quello con il filosofo filonazista Martin Heidegger), così il poeta Attila Jòzsef racconta i propri progetti di morte e automutilazione, così le vittime del massacro più feroce della Storia, l'Olocausto, illustrano con i corpi sofferenti le atrocità subite. Il viaggiatore affranto interroga alcune delle menti più vivaci e apprezzate del passato più prossimo e lo fa sempre con partecipazione, come quando, concitato, domanda all'apprezzatissimo Primo Levi quale passione "egoismo, delirio del narciso ed esclusione di tutti gli altri esseri viventi" lo spinse a vestire panni borghesi poco attinenti alla sua vita precedente e ai suoi scritti.
Come lo stesso Pressburger chiarisce nelle lettere finali, gli stili utilizzati sono disparati, la lingua adotta artifici dialettali per farsi matericamente voce delle vittime, i capitoli fanno riferimento a episodi dell'Inferno di Dante, per "chiarire che l'Inferno è l'inconscio dell'uomo d'oggi".
Attraverso questo viaggio, che è anche una scoperta mai veramente conclusa ed esaustiva, l'uomo finalmente guarisce dai suoi fantasmi, liberandoli ed ascoltandoli può farsi una ragione del male che alberga nella natura umana. L'accettazione è impossibile, e la condanna di alcuni delitti rimane inappellabile. Ma attraverso questo percorso che si snoda in episodi fra i più disparati (ad accompagnare il testo un'ampia appendice di note che quasi costituisce testo a sè) anche noi possiamo assistere sulla spiaggia alla disperazione di una persona sola e guardarci dentro.
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