DE FALSU CREDITU
Massimo Dellapena
Neurostar
Tronkhy Edizioni, Pag. 175 Euro 13,00
E' uno dei casi in cui, da uno spettacolo esce fuori un romanzo e non viceversa. E tutto è nato col solito passaparola tra gli audaci, primieri, sperimentatori di cantine umide (una volta pure fumose) e il pubblico meno adatto alla ricerca, ma pur sempre stimolato da iniziative coraggiose ed intelligenti.
La pièce teatrale, divenuta nel giro di pochi mesi la più seguita anche dai mezzi di stampa, ha un titolo (e sottotitolo)mica facile, e spesso di dubbia interpretazione: Monsieur Trenet: quanti impazienti c'è a questo mondo! Dove è probabile (gli stessi autori si divertono a nicchiare sul senso reale da dare all'espressione) che la prima parte si riferisca chiaramente a Le miserie di Monsieur Travet di soldatiana memoria impapocchiata con la parola "treno" (dunque nulla che fare con le trenette al pesto né col cantante francese Charles Trenet), mentre la seconda parte è una sillessi nemmeno tanto riuscita, ma "imbroccata" per quel che riguarda gli sviluppi della storia stessa.
Che è la seguente: un gruppo di business men stanchi e provati dai continui ritardi degli Eurostar di Trenitalia, decide, complice anche un azzimato vecchietto che grida continuamente al complotto e che rimpiange i tempi (quelli sì!) quando i treni viaggiavano in orario, di farsi giustizia assumendo un giovanottone di erculea presenza, preso di sana pianta dalla periferia romana più degradata, per "regolare" le transazioni con le maestranze ferroviarie (all'appunto di uno dei "datori di lavoro" più ardito: ma il tuo bicipite è grosso come una palla da tennis, il maciste capitolino risponde gagliardo: ma nun me rompe li coglioni, vòi di' un campo de golf! E in teatro, alla battuta, in genere le prime file, di solito più austere e trattenute, ridacchiano, ma man mano che si sale fino alle retrovie o ai palchetti, vien giù la massa di prepotenza).
Ma al di là della trama e della riuscita della pièce, la materia del contendere è: quanto dello spirito di un'avventura teatrale, che si sa, si nutre anche dell'atmosfera e del gusto di un'ambientazione live, è rimasto nella "riduzione" (termine che non vuole avere ovviamente significato sminuente, ma solo esplicativo) romanzata e che l'autore (Massimo Dellapena, tra l'altro, ha avuto precedenti penali e pare sia tutt'ora in contumacia) ha trascritto appena due mesi dopo i primi successi in teatro?
Diciamo che nel libro l'eroe (Neurostar appunto) assume un'importanza maggiore. Se nella rappresentazione il gioco era sottile e le rimostranze degli uomini in carriera erano specchio di una più o meno condanna sociale (qualche critico in vena di vetriolitiche annotazioni – per la precisione Anselmo Filati su La Stampa – ha posto l'accento sulla manichea differenziazione ideologica), nel romanzo la sostanza intera è nelle mani dell'imprevedibile eroe senza macchia e senza paura.
E questo a significar, tra l'altro, che l'impostazione possa essere seriale. Nel senso che al presente possano seguire succedanei, più o meno riusciti.
Libro comunque svelto e furbo. Con un linguaggio che esplora sia il vernacolo più spinto (Neurostar è figlio, ricordiamoci, dell'indigenza più nera e che per sopravvivere non disdegna di vendere il suo corpo muscoloso ed attraente a uno stuolo di omosessuali allupati), sia le espressioni sì di strada, ma colorate di un tentativo decostruzionista.
Ci sono tutti i numeri perché Neurostar possa eguagliare lo straordinario successo della pièce teatrale. Sarebbe anche un segno dei tempi: dove alla contrattazione si preferiscono le maniere forti e risolutive (nel romanzo decine e decine di ferrovieri esalano l'ultimo respiro riversi su marciapiedi brulicanti di gente indifferente alla loro tragedia). Per poi chiedersi nuovamente: a quando un nuovo sessantotto?
La pièce teatrale, divenuta nel giro di pochi mesi la più seguita anche dai mezzi di stampa, ha un titolo (e sottotitolo)mica facile, e spesso di dubbia interpretazione: Monsieur Trenet: quanti impazienti c'è a questo mondo! Dove è probabile (gli stessi autori si divertono a nicchiare sul senso reale da dare all'espressione) che la prima parte si riferisca chiaramente a Le miserie di Monsieur Travet di soldatiana memoria impapocchiata con la parola "treno" (dunque nulla che fare con le trenette al pesto né col cantante francese Charles Trenet), mentre la seconda parte è una sillessi nemmeno tanto riuscita, ma "imbroccata" per quel che riguarda gli sviluppi della storia stessa.
Che è la seguente: un gruppo di business men stanchi e provati dai continui ritardi degli Eurostar di Trenitalia, decide, complice anche un azzimato vecchietto che grida continuamente al complotto e che rimpiange i tempi (quelli sì!) quando i treni viaggiavano in orario, di farsi giustizia assumendo un giovanottone di erculea presenza, preso di sana pianta dalla periferia romana più degradata, per "regolare" le transazioni con le maestranze ferroviarie (all'appunto di uno dei "datori di lavoro" più ardito: ma il tuo bicipite è grosso come una palla da tennis, il maciste capitolino risponde gagliardo: ma nun me rompe li coglioni, vòi di' un campo de golf! E in teatro, alla battuta, in genere le prime file, di solito più austere e trattenute, ridacchiano, ma man mano che si sale fino alle retrovie o ai palchetti, vien giù la massa di prepotenza).
Ma al di là della trama e della riuscita della pièce, la materia del contendere è: quanto dello spirito di un'avventura teatrale, che si sa, si nutre anche dell'atmosfera e del gusto di un'ambientazione live, è rimasto nella "riduzione" (termine che non vuole avere ovviamente significato sminuente, ma solo esplicativo) romanzata e che l'autore (Massimo Dellapena, tra l'altro, ha avuto precedenti penali e pare sia tutt'ora in contumacia) ha trascritto appena due mesi dopo i primi successi in teatro?
Diciamo che nel libro l'eroe (Neurostar appunto) assume un'importanza maggiore. Se nella rappresentazione il gioco era sottile e le rimostranze degli uomini in carriera erano specchio di una più o meno condanna sociale (qualche critico in vena di vetriolitiche annotazioni – per la precisione Anselmo Filati su La Stampa – ha posto l'accento sulla manichea differenziazione ideologica), nel romanzo la sostanza intera è nelle mani dell'imprevedibile eroe senza macchia e senza paura.
E questo a significar, tra l'altro, che l'impostazione possa essere seriale. Nel senso che al presente possano seguire succedanei, più o meno riusciti.
Libro comunque svelto e furbo. Con un linguaggio che esplora sia il vernacolo più spinto (Neurostar è figlio, ricordiamoci, dell'indigenza più nera e che per sopravvivere non disdegna di vendere il suo corpo muscoloso ed attraente a uno stuolo di omosessuali allupati), sia le espressioni sì di strada, ma colorate di un tentativo decostruzionista.
Ci sono tutti i numeri perché Neurostar possa eguagliare lo straordinario successo della pièce teatrale. Sarebbe anche un segno dei tempi: dove alla contrattazione si preferiscono le maniere forti e risolutive (nel romanzo decine e decine di ferrovieri esalano l'ultimo respiro riversi su marciapiedi brulicanti di gente indifferente alla loro tragedia). Per poi chiedersi nuovamente: a quando un nuovo sessantotto?
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