INTERVISTE
Paolo Pedote
Nell'introduzione scrivi che, per le ipocrisie e per le mistificazioni della realtà, il libro si potrebbe opportunamente intitolare "Storia politica dell'omofobia". Dopo averlo letto, mi verrebbe di intitolarlo: "Storia generale dell'orrore".
Questo perché la storia dell'amore tra persone dello stesso sesso si sovrappone quasi sempre alla storia dell'omofobia. Quando infatti si parla di gay e lesbiche, soprattutto del passato, noi parliamo non solo delle loro passioni e dei loro affetti, come per qualsiasi altra biografia, ma siamo quasi sempre costretti a descrivere in che modo questi personaggi hanno dovuto nascondere i loro amori, la loro vita privata, i loro sentimenti. E tutto ciò perché, se non l'avessero fatto, avrebbero messo in pericolo serio se stessi. L'omofobia dunque, in qualità di "dispositivo culturale", è una sintesi di leggi (penali e divine), tabù, ostracismi, discriminazioni, persecuzioni, quanto di barzellette e battute triviali da bar dello sport, che hanno schiacciato la vita di milioni di persone. Insomma non esiste una società e una cultura al mondo che non abbia in qualche modo punito o disciplinato la sessualità umana ed è certo che quella degli omosessuali ne ha fatto le spese maggiori. Questo è un libro, il primo nel panorama editoriale, che come una qualsiasi altra storia, racconta di questa avventura, orribile come dici tu, in tutta l'arco delle civiltà umane.
Certo è che la psicoanalisi ci fa una pessima figura. A cominciare da Freud, Lacan, la stessa figlia di Freud. L'unico che sembrava avere qualche lumicino della ragione è stato Jung.
Ma neppure tanto, se pensiamo che appena si è reso conto che si stava innamorando del suo maestro, ovvero lo stesso Sigmund Freud, si è subito censurato terrorizzato dalle conseguenze di quel trasporto erotico. Carl Gustav Jung ha capito probabilmente che è assai facile innamorarsi del proprio mentore. Chi infatti, nella propria infanzia o adolescenza, ma anche da adulti, non ha avuto qualche professore, insegnante, amico, fratello maggiore o parente che vedeva come una specie di divinità? Vai per caso a fare un corso di pittura o di Tai Chi, e ti trovi davanti a qualcuno con un fascino irresistibile che travalica il semplice rispetto o la normale ammirazione e te ne innamori. Il punto è che la psicoanalisi di Freud da un lato ha portato l'intera disciplina a creare l'ennesima gabbia metafisica dentro la quale costringere la sessualità umana, dall'altra l'ha paradossalmente liberata. Ma ancora una volta l'ottusità di alcuni ha impedito che gli aspetti più interessanti e intelligenti di questa disciplina venissero alla luce e si sono comportati come degli inquisitori. Infatti il lettino dell'analista non è altro che un confessionale, e sotto certi aspetti anche più pernicioso dell'inginocchiatoio stesso.
Sono sempre dell'opinione che gran parte dei mali legati alla "questione omosessualità" dipenda dagli stessi omosessuali. Nel capitolo dedicato all'omofobia "interiorizzata" è impressionante l'elenco di persone importanti e intellettuali di "grido" che avevano un pessimo rapporto con la propria sessualità. A cominciare da Pasolini...
Per forza, se sei circondato da gente che ti offende, che ti crede un mostro, un aborto della natura, è molto difficile sviluppare anche una buona stima per se stessi. Sei portato automaticamente a pensare di essere sbagliato. Pasolini in effetti è un esempio efficace perché rappresenta una delle espressioni più alte di questo autolesionismo. E per comprendere questo personaggio a fondo, non possiamo non analizzare la sua omofobia interiorizzata. Scappato da Casarsa, a Roma passò un periodo in cui, osservando il mondo, si è reso conto che uno come lui, un omosessuale, non poteva altro che sfidare la società, e questa sfida comportava anche l'idea di trasformarsi in "carne da macello". Ovvero, mettersi in gioco completamente. Ma questo coraggio, che l'ha reso il primo omosessuale pubblico tout court, era determinato purtroppo dal fatto che come essere umano si faceva schifo, e che quindi si sentisse in assoluto anche una vittima sacrificale. La sua esistenza si gioca su questi due elementi: una tensione continua, dove contava solo questa battaglia esistenziale continua tra lui e il mondo. Povero Pasolini, ha vissuto in un inferno. Ciò però succede anche a molti omosessuali e lesbiche oggi, e questo è dovuto proprio all'omofobia interiorizzata.
Che ne pensi dei froci di "regime"? Cioè quelli, secondo una mia personale espressione, che accettano la visibilità in un contesto che invece li castra? Mi viene da pensare a un Signorini che presenzia tranquillamente Mediaset proprietario della quale è un Signore che fa battutacce sui froci e politicamente non s'è mai degnato di affrontare la questione dei diritti civili.
Sono una sorta di eunuchi redivivi. Curano il talamo al maschio bianco e dominante mentre costui si occupa di cose più importanti: fare la guerra, le leggi, giocare a calcio. Poi quando torna a casa, parliamo sempre dell'eterosessuale maschio bianco e dominante, c'ha un pezzo di carne a disposizione ben agghindato, la donna, per il divertimento conclusivo. Si chiama patriarcato e i froci di regime, come li hai chiamati tu, fanno questo: stilisti, parrucchieri, i gay della TV... intrattengono e servono, riveriscono e si occupano del divertimento del sultano. Guarda Lele Mora – che però ha dichiarato di essere solo bisessuale, e noi ci crediamo naturalmente, anzi io mi auguro che sia del tutto eterosessuale, perché non mi piace affatto che gli omosessuali siano identificati con gente come lui – che dai video circolati si occupava del casting dei festini ad Arcore. A questa gente infatti, non interessano i diritti civili. Lele Mora addirittura ha una suoneria del cellulare che inneggia al fascismo e al nazismo. Dolce & Gabbana, per fare un altro esempio, stanno bene così, con i loro cani come surrogato affettivo familiare. Con i soldi che hanno, cosa interessa loro la reversibilità della pensione? Loro sì che vengono apprezzati dalla nostra classe dirigente, dall'estrema destra all'estrema sinistra: non disturbano affatto il trend catto-produttivo.
Che ne pensi dei "Gay Pride"? Non credi che lo stanco ripetersi di marce estive senza effettive proposte politiche dia ragione poi ai reazionari che vedono in quelle parate solo paillettes e culi scoperti?
Io al Pride vado ormai da molti anni ed è vero che è diventato una parata dove i giornalisti hanno solo una predilezione per le tette e i culi ricostruiti delle trans. Nessuno va a fotografare un trans uomo, forse perché assomiglia semplicemente a un uomo, e non eccita quei perbenisti tipo Piero Marrazzo, che trovano desiderabile la femminilità di una che ha gli attributi maschili, come ha dichiarato su Repubblica, pur sottolineando che nel rapporto tutto ciò non era rilevante in quanto lui non è omosessuale. Che società strana! Detto ciò, anche se i Pride sono in Italia delle parate dove prevale l'elemento folcloristico e si stanno svuotando di tutti i significati politici che un tempo avevano, rimane il fatto che ora in coda si mettono pure centri sociali antagonisti, associazioni come il UAAR (Unione Atei Agnostici Razionalisti), famiglie eterosessuali.
Secondo me folcloristico in Italia ce lo fa diventare la nostra classe dirigente, e questo perché fa più comodo una carnevalata: così tutti poi possono dimenticarlo il giorno dopo e non prendere seri provvedimenti legislativi per garantire diritti a ogni cittadino. A me ciò che inquieta è piuttosto questa lotta di tutti contro tutti, nei vari movimenti, dove spesso emerge una competitività che annienta l'operato politico delle singole realtà, che esiste eccome! Inoltre ci sono degli interessi economici dietro l'organizzazione della manifestazione che fanno dimenticare l'obiettivo politico. Questo però riguarda un po' tutte le Istituzione politiche, partiti compresi. Anche tra i gay ci sono i carrieristi di professione.
A proposito di gay, un mio amico scrittore, famoso, di cui non posso fare nome, e dichiarato, recentemente mi ha confessato di aver detto ai suoi amici di non essere gay, intendendo con ciò una distanza abissale dallo stile di vita e dagli impegni del movimento. Mi si è fatto giorno: pensavo di essere l'unico in questo mondo di lacrime.
Per me sono sinonimi, li ho sempre usati come tali. Non nascondo però di utilizzare ogni tanto un dispregiativo un po' eterosessuale, quindi deprecabile: "culattone della moda". Questo modo di dire mi è nato durante una sorta di conferenza, tempo fa, e a causa di questo sono stato anche accusato proprio di omofobia, ma non ho saputo accettare una lezione di etica da un commesso di uno show-room che affermava che gli omosessuali non possono né adottare né sposarsi. Scusa, ma non ce l'ho fatta. Così prima c'è stato uno scambio vivace di opinioni; poi, quando ha fatto una battuta sulle mie scarpe poco glamour, sono sbottato: ho sottolineato come io ero un omosessuale vero, lui solo un triste e squallido "culattone della moda". Naturalmente è andato malissimo quel dibattito. Ma a dire il vero ho sempre pensato che la moda sia solo una riserva indiana, a proposito di omosessuali di regime, così chiudiamo il cerchio del discorso. Detesto la moda, penso che abbia reso Milano provinciale e razzista più di quanto già non lo fosse. Durante le varie settimane della moda, Milano si riempie di questi personaggi semi-analfabeti che conoscono solo la differenza tra il sintetico e la seta lavata. Per il resto sono mediamente grezzi, fascisti e bigotti. Una volta ho sentito dire al Flexo: "Ma tu ci andresti mai con un negro?" No, non lo accetto, una checca, come dice Alessandro Fullin, è una rivoluzionaria per antonomasia, proprio in quanto checca, e non si può permettere delle cadute di stile, dove lo stile mette in gioco gli elementi più concreti dell'esistenza, non un guardaroba! E al di là di ogni parola...
Siamo qui per parlare di letteratura e diritti civili, non di scienza. Ma leggendo il penultimo capitolo riguardante la questione Aids mi è sorto un dubbio: ma non c'era qualcosa di "misterioso" nel fatto che l'attore Rock Hudson nascose al suo compagno la malattia, e questi, nonostante la convivenza di molti anni, non si ammalò mai? Ma di quale "peste" stiamo parlando?
Il libro è dedicato a Enrico e Simonetta, due amici che sono morti a causa dell'Aids, ormai circa venti anni fa. Quando ero adolescente furono loro a capire che ero omosessuale e a presentarmi altri gay, in modo che potessi vivere la mia vita. Compresero che tirarmi dentro il loro gruppo di amici era l'unico modo per condividere la mia diversità e farmi uscire dalla paura. Ci sono riusciti e devo a loro tutto. Se ne andarono presto, troppo presto perché all'epoca chi era infetto sviluppava un sacco di malattie in brevissimo tempo, e si moriva anche nel giro di qualche mese. Enrico aveva un compagno che però non si ammalò mai, nonostante all'epoca l'utilizzo del preservativo era limitato. Personalmente ho un cattivo rapporto con le malattie e non ci trovo niente di misterioso: apprendere alla Tv che il proprio compagno è ammalato di una strana malattia che lo marchierà per sempre, non credo sia una cosa facile. Hudson poi lo nascose semplicemente perché era un attore di Hollywood, quindi il mercato dello star-sistem lo avrebbe subito rigettato, e infatti così fu. Inoltre io credo che sia stata, oltre che un problema di infezione, una peste "moralistica". Cioè, come dice bene Susan Sontag, una malattia il cui processo di colpevolizzazione fu servito su un piatto d'argento. Basti pensare che, diversi secoli fa, le esondazioni dei fiumi venivano attribuite alla diffusione del vizio capitale. Adesso Dio, per il fanatismo di alcuni, aveva trovato il modo di sterminarli senza uccidere degli innocenti. Peccato che presto anche gli innocenti si macchiarono di viziosità e le categorie rischio non furono più sufficienti, anche se ancora oggi il sangue donato da un omosessuale è considerato sporco. Io comunque ho visto come trattavano gli ammalati di Aids, a quel tempo. E so cosa vuol dire ancora oggi dire di essere sieropositivi. Faccio parte di quella generazione che si è salvata in tempo usando sempre il preservativo, e questo la considero una fortuna.
Scusami, Alfredo, se chiudo ancora con loro.
Ciao Enrico, ciao Simonetta! Vedo ancora quella stanza in quella casa, in viale Romagna, ricordo ancora Enrico sul divano con Angelo, Simonetta e Paola al tavolo con me, un pomeriggio d'inverno. Io non avevo che diciassette anni. Era il periodo in cui la Tv trasmetteva quel capolavoro di 'Dancin'Days' e si ascoltava Donna Summer e i Bronski Beat.
Questo perché la storia dell'amore tra persone dello stesso sesso si sovrappone quasi sempre alla storia dell'omofobia. Quando infatti si parla di gay e lesbiche, soprattutto del passato, noi parliamo non solo delle loro passioni e dei loro affetti, come per qualsiasi altra biografia, ma siamo quasi sempre costretti a descrivere in che modo questi personaggi hanno dovuto nascondere i loro amori, la loro vita privata, i loro sentimenti. E tutto ciò perché, se non l'avessero fatto, avrebbero messo in pericolo serio se stessi. L'omofobia dunque, in qualità di "dispositivo culturale", è una sintesi di leggi (penali e divine), tabù, ostracismi, discriminazioni, persecuzioni, quanto di barzellette e battute triviali da bar dello sport, che hanno schiacciato la vita di milioni di persone. Insomma non esiste una società e una cultura al mondo che non abbia in qualche modo punito o disciplinato la sessualità umana ed è certo che quella degli omosessuali ne ha fatto le spese maggiori. Questo è un libro, il primo nel panorama editoriale, che come una qualsiasi altra storia, racconta di questa avventura, orribile come dici tu, in tutta l'arco delle civiltà umane.
Certo è che la psicoanalisi ci fa una pessima figura. A cominciare da Freud, Lacan, la stessa figlia di Freud. L'unico che sembrava avere qualche lumicino della ragione è stato Jung.
Ma neppure tanto, se pensiamo che appena si è reso conto che si stava innamorando del suo maestro, ovvero lo stesso Sigmund Freud, si è subito censurato terrorizzato dalle conseguenze di quel trasporto erotico. Carl Gustav Jung ha capito probabilmente che è assai facile innamorarsi del proprio mentore. Chi infatti, nella propria infanzia o adolescenza, ma anche da adulti, non ha avuto qualche professore, insegnante, amico, fratello maggiore o parente che vedeva come una specie di divinità? Vai per caso a fare un corso di pittura o di Tai Chi, e ti trovi davanti a qualcuno con un fascino irresistibile che travalica il semplice rispetto o la normale ammirazione e te ne innamori. Il punto è che la psicoanalisi di Freud da un lato ha portato l'intera disciplina a creare l'ennesima gabbia metafisica dentro la quale costringere la sessualità umana, dall'altra l'ha paradossalmente liberata. Ma ancora una volta l'ottusità di alcuni ha impedito che gli aspetti più interessanti e intelligenti di questa disciplina venissero alla luce e si sono comportati come degli inquisitori. Infatti il lettino dell'analista non è altro che un confessionale, e sotto certi aspetti anche più pernicioso dell'inginocchiatoio stesso.
Sono sempre dell'opinione che gran parte dei mali legati alla "questione omosessualità" dipenda dagli stessi omosessuali. Nel capitolo dedicato all'omofobia "interiorizzata" è impressionante l'elenco di persone importanti e intellettuali di "grido" che avevano un pessimo rapporto con la propria sessualità. A cominciare da Pasolini...
Per forza, se sei circondato da gente che ti offende, che ti crede un mostro, un aborto della natura, è molto difficile sviluppare anche una buona stima per se stessi. Sei portato automaticamente a pensare di essere sbagliato. Pasolini in effetti è un esempio efficace perché rappresenta una delle espressioni più alte di questo autolesionismo. E per comprendere questo personaggio a fondo, non possiamo non analizzare la sua omofobia interiorizzata. Scappato da Casarsa, a Roma passò un periodo in cui, osservando il mondo, si è reso conto che uno come lui, un omosessuale, non poteva altro che sfidare la società, e questa sfida comportava anche l'idea di trasformarsi in "carne da macello". Ovvero, mettersi in gioco completamente. Ma questo coraggio, che l'ha reso il primo omosessuale pubblico tout court, era determinato purtroppo dal fatto che come essere umano si faceva schifo, e che quindi si sentisse in assoluto anche una vittima sacrificale. La sua esistenza si gioca su questi due elementi: una tensione continua, dove contava solo questa battaglia esistenziale continua tra lui e il mondo. Povero Pasolini, ha vissuto in un inferno. Ciò però succede anche a molti omosessuali e lesbiche oggi, e questo è dovuto proprio all'omofobia interiorizzata.
Che ne pensi dei froci di "regime"? Cioè quelli, secondo una mia personale espressione, che accettano la visibilità in un contesto che invece li castra? Mi viene da pensare a un Signorini che presenzia tranquillamente Mediaset proprietario della quale è un Signore che fa battutacce sui froci e politicamente non s'è mai degnato di affrontare la questione dei diritti civili.
Sono una sorta di eunuchi redivivi. Curano il talamo al maschio bianco e dominante mentre costui si occupa di cose più importanti: fare la guerra, le leggi, giocare a calcio. Poi quando torna a casa, parliamo sempre dell'eterosessuale maschio bianco e dominante, c'ha un pezzo di carne a disposizione ben agghindato, la donna, per il divertimento conclusivo. Si chiama patriarcato e i froci di regime, come li hai chiamati tu, fanno questo: stilisti, parrucchieri, i gay della TV... intrattengono e servono, riveriscono e si occupano del divertimento del sultano. Guarda Lele Mora – che però ha dichiarato di essere solo bisessuale, e noi ci crediamo naturalmente, anzi io mi auguro che sia del tutto eterosessuale, perché non mi piace affatto che gli omosessuali siano identificati con gente come lui – che dai video circolati si occupava del casting dei festini ad Arcore. A questa gente infatti, non interessano i diritti civili. Lele Mora addirittura ha una suoneria del cellulare che inneggia al fascismo e al nazismo. Dolce & Gabbana, per fare un altro esempio, stanno bene così, con i loro cani come surrogato affettivo familiare. Con i soldi che hanno, cosa interessa loro la reversibilità della pensione? Loro sì che vengono apprezzati dalla nostra classe dirigente, dall'estrema destra all'estrema sinistra: non disturbano affatto il trend catto-produttivo.
Che ne pensi dei "Gay Pride"? Non credi che lo stanco ripetersi di marce estive senza effettive proposte politiche dia ragione poi ai reazionari che vedono in quelle parate solo paillettes e culi scoperti?
Io al Pride vado ormai da molti anni ed è vero che è diventato una parata dove i giornalisti hanno solo una predilezione per le tette e i culi ricostruiti delle trans. Nessuno va a fotografare un trans uomo, forse perché assomiglia semplicemente a un uomo, e non eccita quei perbenisti tipo Piero Marrazzo, che trovano desiderabile la femminilità di una che ha gli attributi maschili, come ha dichiarato su Repubblica, pur sottolineando che nel rapporto tutto ciò non era rilevante in quanto lui non è omosessuale. Che società strana! Detto ciò, anche se i Pride sono in Italia delle parate dove prevale l'elemento folcloristico e si stanno svuotando di tutti i significati politici che un tempo avevano, rimane il fatto che ora in coda si mettono pure centri sociali antagonisti, associazioni come il UAAR (Unione Atei Agnostici Razionalisti), famiglie eterosessuali.
Secondo me folcloristico in Italia ce lo fa diventare la nostra classe dirigente, e questo perché fa più comodo una carnevalata: così tutti poi possono dimenticarlo il giorno dopo e non prendere seri provvedimenti legislativi per garantire diritti a ogni cittadino. A me ciò che inquieta è piuttosto questa lotta di tutti contro tutti, nei vari movimenti, dove spesso emerge una competitività che annienta l'operato politico delle singole realtà, che esiste eccome! Inoltre ci sono degli interessi economici dietro l'organizzazione della manifestazione che fanno dimenticare l'obiettivo politico. Questo però riguarda un po' tutte le Istituzione politiche, partiti compresi. Anche tra i gay ci sono i carrieristi di professione.
A proposito di gay, un mio amico scrittore, famoso, di cui non posso fare nome, e dichiarato, recentemente mi ha confessato di aver detto ai suoi amici di non essere gay, intendendo con ciò una distanza abissale dallo stile di vita e dagli impegni del movimento. Mi si è fatto giorno: pensavo di essere l'unico in questo mondo di lacrime.
Per me sono sinonimi, li ho sempre usati come tali. Non nascondo però di utilizzare ogni tanto un dispregiativo un po' eterosessuale, quindi deprecabile: "culattone della moda". Questo modo di dire mi è nato durante una sorta di conferenza, tempo fa, e a causa di questo sono stato anche accusato proprio di omofobia, ma non ho saputo accettare una lezione di etica da un commesso di uno show-room che affermava che gli omosessuali non possono né adottare né sposarsi. Scusa, ma non ce l'ho fatta. Così prima c'è stato uno scambio vivace di opinioni; poi, quando ha fatto una battuta sulle mie scarpe poco glamour, sono sbottato: ho sottolineato come io ero un omosessuale vero, lui solo un triste e squallido "culattone della moda". Naturalmente è andato malissimo quel dibattito. Ma a dire il vero ho sempre pensato che la moda sia solo una riserva indiana, a proposito di omosessuali di regime, così chiudiamo il cerchio del discorso. Detesto la moda, penso che abbia reso Milano provinciale e razzista più di quanto già non lo fosse. Durante le varie settimane della moda, Milano si riempie di questi personaggi semi-analfabeti che conoscono solo la differenza tra il sintetico e la seta lavata. Per il resto sono mediamente grezzi, fascisti e bigotti. Una volta ho sentito dire al Flexo: "Ma tu ci andresti mai con un negro?" No, non lo accetto, una checca, come dice Alessandro Fullin, è una rivoluzionaria per antonomasia, proprio in quanto checca, e non si può permettere delle cadute di stile, dove lo stile mette in gioco gli elementi più concreti dell'esistenza, non un guardaroba! E al di là di ogni parola...
Siamo qui per parlare di letteratura e diritti civili, non di scienza. Ma leggendo il penultimo capitolo riguardante la questione Aids mi è sorto un dubbio: ma non c'era qualcosa di "misterioso" nel fatto che l'attore Rock Hudson nascose al suo compagno la malattia, e questi, nonostante la convivenza di molti anni, non si ammalò mai? Ma di quale "peste" stiamo parlando?
Il libro è dedicato a Enrico e Simonetta, due amici che sono morti a causa dell'Aids, ormai circa venti anni fa. Quando ero adolescente furono loro a capire che ero omosessuale e a presentarmi altri gay, in modo che potessi vivere la mia vita. Compresero che tirarmi dentro il loro gruppo di amici era l'unico modo per condividere la mia diversità e farmi uscire dalla paura. Ci sono riusciti e devo a loro tutto. Se ne andarono presto, troppo presto perché all'epoca chi era infetto sviluppava un sacco di malattie in brevissimo tempo, e si moriva anche nel giro di qualche mese. Enrico aveva un compagno che però non si ammalò mai, nonostante all'epoca l'utilizzo del preservativo era limitato. Personalmente ho un cattivo rapporto con le malattie e non ci trovo niente di misterioso: apprendere alla Tv che il proprio compagno è ammalato di una strana malattia che lo marchierà per sempre, non credo sia una cosa facile. Hudson poi lo nascose semplicemente perché era un attore di Hollywood, quindi il mercato dello star-sistem lo avrebbe subito rigettato, e infatti così fu. Inoltre io credo che sia stata, oltre che un problema di infezione, una peste "moralistica". Cioè, come dice bene Susan Sontag, una malattia il cui processo di colpevolizzazione fu servito su un piatto d'argento. Basti pensare che, diversi secoli fa, le esondazioni dei fiumi venivano attribuite alla diffusione del vizio capitale. Adesso Dio, per il fanatismo di alcuni, aveva trovato il modo di sterminarli senza uccidere degli innocenti. Peccato che presto anche gli innocenti si macchiarono di viziosità e le categorie rischio non furono più sufficienti, anche se ancora oggi il sangue donato da un omosessuale è considerato sporco. Io comunque ho visto come trattavano gli ammalati di Aids, a quel tempo. E so cosa vuol dire ancora oggi dire di essere sieropositivi. Faccio parte di quella generazione che si è salvata in tempo usando sempre il preservativo, e questo la considero una fortuna.
Scusami, Alfredo, se chiudo ancora con loro.
Ciao Enrico, ciao Simonetta! Vedo ancora quella stanza in quella casa, in viale Romagna, ricordo ancora Enrico sul divano con Angelo, Simonetta e Paola al tavolo con me, un pomeriggio d'inverno. Io non avevo che diciassette anni. Era il periodo in cui la Tv trasmetteva quel capolavoro di 'Dancin'Days' e si ascoltava Donna Summer e i Bronski Beat.
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