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Il Paradiso degli Orchi
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Stefano Torossi

Repetita juvant

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Repetita juvant
Oggi tiriamo fuori dal cassetto un articolo già pubblicato l’anno scorso; ci stiamo ripetendo, lo sappiamo, ma è necessario. Eccolo.
 “Nel 1995 Renzo Piano, progettando il Parco della Musica di Roma, aveva previsto nella Sala Grande lo spazio per installare un organo da concerto. Nel 2000 la delibera era firmata, i soldi pronti da spendere, eppure l’organo non si fece.
Perché Luciano Berio, per chi non lo sapesse figli e nipote di organisti, allora sovrintendente appena nominato dell’Accademia di Santa Cecilia, e oggi al di là di qualsiasi critica per la sua definitiva dipartita da questo mondo, mise il veto” (da un articolo in rete di Giovanni di Giacomo.)
Forse in risposta alle feroci critiche dell’epoca, spuntò una lettera scritta da Berio a Italia Nostra: “Cara Italia Nostra, sì, avrei dovuto spiegare meglio le ragioni che mi hanno portato a sospendere il progetto organo…bla bla…decisione assai sofferta…bla bla…la tragica indifferenza del Vaticano alla musica in genere e all’esecuzione del grande repertorio organistico nelle chiese (allora era proprio il momento giusto per realizzare un organo laico: ndr)…bla bla…l’Accademia sarebbe felice di contribuire alla diffusione del grande repertorio organistico in condizioni più intime di quelle offerte da una spettacolare sala di 2.800 posti concepita per altri usi (quindi la sala sarebbe stata troppo bella e grande per l’organo: ndr)…bla bla…”.
Per l’inspiegabile ottusità di un sovrintendente, anche se musicista, una capitale come Roma sta più indietro di una qualsiasi piccola ma civile (forse proprio in questa parola sta la differenza) cittadina europea. E il risultato è che in tutta la città c’è un solo organo, diciamo così, laico: quello della Sala Accademica del Conservatorio Santa Cecilia.
E sabato 25 marzo, alle 18, appunto alla Sala Accademica, orgogliosa del suo organo da concerto (ripetiamo: l’unico laico di Roma), l’organista Giorgio Carnini, il prode cavaliere che lotta da anni nel tentativo di ottenerne un altro, proprio dove colpevolmente manca, inaugura il quarto Festival “Un Organo per Roma”, con la cavalleresca speranza di riuscire a raccogliere consensi per un nuovo grande strumento.
Ci saremo, cavallerescamente, anche tutti noi, vero?

Quella povera gente
In corrispondenza di uno degli incroci più incasinati della estesa periferia semiurbanizzata di Roma (Via Appia Nuova con Via Nettunense), proprio sotto il corridoio di avvicinamento radar all’aeroporto di Ciampino hanno costruito un nuovissimo McDonald’s, anzi, un McDrive, dove si può ordinare e mangiare anche senza scendere dalla macchina.
La colonna sonora della location eccola: il rombo degli aerei che atterrano mescolato allo strombazzare delle auto eternamente ingolfate sul doppio incrocio stradale con doppio semaforo e scoordinamento garantito del traffico, integrato allo squittio incessante dei bambini che vanno a rimpinzarsi con le famiglie al completo, nevrotizzate al limite dell’infanticidio. Uno stress.
E fin qui siamo nella normale cronaca. Il bello è che, scavando per le fondamenta del McDonald’s hanno trovato una diramazione secondaria dell’Appia Antica. Anche questa non è una notizia gran che speciale: le strade romane sono dappertutto. Le eccezionalità sono altre: l’ottimo stato di conservazione, per una quarantina di metri, del selciato originale, il fatto che, invece di essere frettolosamente ricoperti, i resti antichi sono stati salvati e valorizzati a spese della McDonald’s, con l’apertura di un’affascinante e soprattutto silenziosa galleria sotterranea a disposizione dei clienti; e in più il rinvenimento di tre scheletri sepolti nella canaletta di scolo della strada.
Le sepolture sono state studiate e i risultati ci dicono in quale stato di miseria e di abbandono doveva essere precipitata quella povera gente alla fine dell’Impero. I tre morti sono giovani, quasi ragazzi, di bassa statura, con denti cariati, se non mancanti, e ossa già deformate da fratture, malnutrizione e artrosi.
E certo, per ridursi a buttare un morto nella fogna, senza neanche un oggettino personale o una cassa di legnaccio in cui deporlo, lasciandolo probabilmente ricoperto solo da una palata di terra e dimenticandolo subito dopo, vuol dire che ogni forma di rispetto si era persa nell’abiezione generale.
È davvero difficile per noi oggi immaginare come una struttura civile, colta, attenta all’arte come quella romana potesse essere spazzata via così completamente e rimanere oscurata per un millennio lasciandoci forse meno dell’uno percento delle sue tracce.
Eppure quella minima percentuale che ci è arrivata ci fa immaginare cose strabilianti.
Forse ci sbagliamo per eccesso. O per difetto. Ma che importanza ha?



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