RECENSIONI
Rosario Bentivegna
Senza fare di necessità virtù. Memorie di un antifascista.
Einaudi, Pag. 411 Euro 20.00
Rosario Bentivegna è l'uomo che il 23 marzo del 1944 sistemò l'ordigno nel carretto dell'immondizia a via Rasella e lo scoppio del quale determinò la morte di 33 soldati tedeschi e successivamente la rappresaglia delle Fosse Ardeatine.
Una precisazione però è d'obbligo: è vero, come indica lo stesso sottotitolo, che Senza fare di necessità virtù son memorie di un antifascista (che strana parola di questi tempi, dove l'attualità monta l'ossessione di termini rubati dal vocabolario dell'economia non da i minima moralia!), in realtà il libro è una sorta di storia personale di un uomo alle prese con un'azione e con le sue ripercussioni. Basti pensare che (per ora!) l'ultima parola a proposito di via Rasella è stata emessa dalla Cassazione nel 2007 (!) confermando che l'episodio fu un atto di guerra e non un attacco terroristico. Ma sulla tragedia (che comunque fu) i commenti del fior fiore di politici (Pannella, fra tutti) e giornalisti (Montanelli in primis, poi Feltri, in ultimo, e non poteva mancare, Vespa) si sono sprecati, ma sulla cui utilità mi sfugge la natura.
Chi si è cimentato su un mero esercizio speculativo ha sempre dimenticato il 'palcoscenico': Via Rasella fu il momento più drammatico di una guerra civile che in quel momento aveva Roma come scenario principale. Furono innumerevoli le azioni e gli attentati (e le rappresaglie) dall'una e dall'altra parte, ma la morte dei 33 soldati tedeschi rappresentò una specie di simbologia ultima e 'definitiva' dell'orrore della guerra.
I tentativi di delegittimare l'azione nel corso degli anni ha assunto anche dimensioni raccapriccianti, come quando s'inventò di sana pianta la foto del povero Zuccheretti (un bambino la cui immagine della testa, staccata dal resto del corpo, 'spiccava' su un selciato che si voleva fosse quello di via Rasella) per sancire l'ignominia dell'atto (in realtà al momento dello scoppio dell'ordigno non vi erano bambini presenti!).
Si aggiunga un altro dato (o forse è una mia suggestione): chi ha sempre contestato via Rasella ha opposto all'evento luttuoso il dolore e lo sconforto per le vittime delle Fosse Ardeatine. Troppo facile, nonostante la comprensione per l'immane tragedia, quando poi a muovere le fila di questa fazione erano, in tempi meno recenti, chi dalla guerra ne usciva ideologicamente sconfitto.
Per quanto riguarda Bentivegna sì ci racconta anche altro: la sua vita da rivoluzionario di 'mestiere', i suoi studi (medico), i suoi tumultuosi rapporti col PCI soprattutto dopo i fatti di Ungheria e della Cecoslovacchia, la sua coerente difesa degli ideali che l'hanno sempre sostenuto, ma l'episodio di via Rasella ha costituito per lui una specie di marchio: infamante, per chi non l'ha voluto capire, indelebile per chi ne ha compreso la sostanza.
Ma non c'è mai stata un'azione in cui, prima, non avessi provato paura; e, dopo, nausea, voglia di vomitare.
di Alfredo Ronci
Una precisazione però è d'obbligo: è vero, come indica lo stesso sottotitolo, che Senza fare di necessità virtù son memorie di un antifascista (che strana parola di questi tempi, dove l'attualità monta l'ossessione di termini rubati dal vocabolario dell'economia non da i minima moralia!), in realtà il libro è una sorta di storia personale di un uomo alle prese con un'azione e con le sue ripercussioni. Basti pensare che (per ora!) l'ultima parola a proposito di via Rasella è stata emessa dalla Cassazione nel 2007 (!) confermando che l'episodio fu un atto di guerra e non un attacco terroristico. Ma sulla tragedia (che comunque fu) i commenti del fior fiore di politici (Pannella, fra tutti) e giornalisti (Montanelli in primis, poi Feltri, in ultimo, e non poteva mancare, Vespa) si sono sprecati, ma sulla cui utilità mi sfugge la natura.
Chi si è cimentato su un mero esercizio speculativo ha sempre dimenticato il 'palcoscenico': Via Rasella fu il momento più drammatico di una guerra civile che in quel momento aveva Roma come scenario principale. Furono innumerevoli le azioni e gli attentati (e le rappresaglie) dall'una e dall'altra parte, ma la morte dei 33 soldati tedeschi rappresentò una specie di simbologia ultima e 'definitiva' dell'orrore della guerra.
I tentativi di delegittimare l'azione nel corso degli anni ha assunto anche dimensioni raccapriccianti, come quando s'inventò di sana pianta la foto del povero Zuccheretti (un bambino la cui immagine della testa, staccata dal resto del corpo, 'spiccava' su un selciato che si voleva fosse quello di via Rasella) per sancire l'ignominia dell'atto (in realtà al momento dello scoppio dell'ordigno non vi erano bambini presenti!).
Si aggiunga un altro dato (o forse è una mia suggestione): chi ha sempre contestato via Rasella ha opposto all'evento luttuoso il dolore e lo sconforto per le vittime delle Fosse Ardeatine. Troppo facile, nonostante la comprensione per l'immane tragedia, quando poi a muovere le fila di questa fazione erano, in tempi meno recenti, chi dalla guerra ne usciva ideologicamente sconfitto.
Per quanto riguarda Bentivegna sì ci racconta anche altro: la sua vita da rivoluzionario di 'mestiere', i suoi studi (medico), i suoi tumultuosi rapporti col PCI soprattutto dopo i fatti di Ungheria e della Cecoslovacchia, la sua coerente difesa degli ideali che l'hanno sempre sostenuto, ma l'episodio di via Rasella ha costituito per lui una specie di marchio: infamante, per chi non l'ha voluto capire, indelebile per chi ne ha compreso la sostanza.
Ma non c'è mai stata un'azione in cui, prima, non avessi provato paura; e, dopo, nausea, voglia di vomitare.
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