RECENSIONI
Isaac B. Singer
Un amico di Kafka
Longanesi, Pag 334 Euro 22,00
Disse in una nota intervista a Enzo Biagi lo scrittore ebreo polacco Isaac B. Singer (1904 -1991), premio Nobel per la letteratura a lungo poi vissuto in America, narratore imprescindibile del mondo ebraico, che non si sceglie ciò che siamo, ché per esempio è difficile estraniarsi dalla cultura religiosa di appartenenza, per quanto nello specifico egli non abbia poi seguito alla lettera l'insegnamento del padre rabbino, e abbia attraversato momenti di scetticismo. Salvo poi rubricarli come manifestazioni eccessive di una giovinezza agitata come tante. Questo dà la misura di quanto certi caratteri della sua esperienza letteraria sfuggano all'abbraccio concluso con il moderno, laddove la grandezza di alcuni dei nomi decisivi del '900 ha avuto tutto da guadagnare dal conflitto aperto con la tradizione, non solo quella religiosa. Al contrario, a suo avviso il limite di uno scrittore di origini comuni alle sue, Bruno Schulz, stava nel sentirsi fin troppo estraneo alla propria comunità – lo raccontava a Philip Roth. Nelle sue storie, Schulz si fermava al parodistico per l'incapacità di comprendere a fondo un mondo che in sostanza rifiutava. Giudizio severo, e discutibile, che non separava dall'ammirazione sostanziale.
Così viene il sospetto che Singer non si senta molto lontano dalla voce narrante che inizia il racconto 'Il blasfemo' dicendo che La mancanza di fede può anche condurre alla pazzia. Chazchele, il giovane che si accanisce alla ricerca della verità e non è niente affatto soddisfatto delle risposte canoniche che riceve dalla sua comunità di credenti, non ha paura di buscarle da chi non tollera il fatto che si faccia domande non da poco, quelle concernenti il male che affligge i viventi, per esempio: Se Dio è il padre di tutte le creature, perché permette al gatto di uccidere il topo? Il racconto, saturo della vivacità espressiva tipica di Singer, fa parte della raccolta Un amico di Kafka, che ricompare ora in un bel volume Longanesi (collana Biblioteca di narratori) nella stessa traduzione di Maria Vasta Dazzi apparsa molti anni fa. Traduzione dall'inglese, aggiungiamo, ché si tratta di racconti tardivi, quelli scritti o tradotti dallo stesso autore nella lingua del paese in cui visse molti anni. Interessante la nota introduttiva in cui Singer ricorda (è il 1970) che l'attività di traduttore lo aveva aiutato a comprendere la necessità di una prosa che al lettore facesse arrivare i fatti più che le interpretazioni, a stringere i margini degli "arzigogoli" letterari. Così si mostra molto abile a entrare nelle storie dei suoi personaggi – qui, per lo più, emigrati in America – con la stessa fitta minuzia di accadimenti e umori dei ghetti da cui proveniva. I suoi personaggi vivono intensamente, spazzacamini o uomini d'affari, scrittori o medici, rabini o ragazze spendaccione, il gran circo della comunità ebraica - trapiantata in America o salda in Europa - non smette di correre, come se tutti si sentissero in obbligo di salvare non solo se stessi ma un mondo che pare andare a rotoli. La vitalità a volte è sbilenca, obliqua, ma mai doma. Su tutti, spicca il racconto eponimo della raccolta. Dice il suo protagonista - un ex attore di teatro a Varsavia, ora a spasso, megalomane, dongiovanni presunto e millantatore di un'amicizia prestigiosa, quella con Kafka - : La letteratura è in larghissima parte opera di plebei e arruffoni come Zola e D'Annunzio. Io vedevo nel teatro gli stessi difetti che Kafka vedeva nella letteratura, e questo ci ha unito. Lo strano, però, è che quando si trattava di teatro sembrava che Kafka avesse una benda sugli occhi: portava alle stelle le nostre mediocri commedie yiddish e s'innamorò follemente di un'attrice da strapazzo, Madame Tschissik. Quando penso che Kafka amava quella donna, che la sognava, provo vergogna per l'uomo e per le sue illusioni. Che è un bel modo di porre insieme vari e, perché no, divertenti interrogativi. Esemplificazione di come la letteratura non sia distribuzione di precetti ma scintillante invenzione, anche di proposizioni irragionevoli. Purché viaggino attraverso la bocca di bei personaggi.
di Michele Lupo
Così viene il sospetto che Singer non si senta molto lontano dalla voce narrante che inizia il racconto 'Il blasfemo' dicendo che La mancanza di fede può anche condurre alla pazzia. Chazchele, il giovane che si accanisce alla ricerca della verità e non è niente affatto soddisfatto delle risposte canoniche che riceve dalla sua comunità di credenti, non ha paura di buscarle da chi non tollera il fatto che si faccia domande non da poco, quelle concernenti il male che affligge i viventi, per esempio: Se Dio è il padre di tutte le creature, perché permette al gatto di uccidere il topo? Il racconto, saturo della vivacità espressiva tipica di Singer, fa parte della raccolta Un amico di Kafka, che ricompare ora in un bel volume Longanesi (collana Biblioteca di narratori) nella stessa traduzione di Maria Vasta Dazzi apparsa molti anni fa. Traduzione dall'inglese, aggiungiamo, ché si tratta di racconti tardivi, quelli scritti o tradotti dallo stesso autore nella lingua del paese in cui visse molti anni. Interessante la nota introduttiva in cui Singer ricorda (è il 1970) che l'attività di traduttore lo aveva aiutato a comprendere la necessità di una prosa che al lettore facesse arrivare i fatti più che le interpretazioni, a stringere i margini degli "arzigogoli" letterari. Così si mostra molto abile a entrare nelle storie dei suoi personaggi – qui, per lo più, emigrati in America – con la stessa fitta minuzia di accadimenti e umori dei ghetti da cui proveniva. I suoi personaggi vivono intensamente, spazzacamini o uomini d'affari, scrittori o medici, rabini o ragazze spendaccione, il gran circo della comunità ebraica - trapiantata in America o salda in Europa - non smette di correre, come se tutti si sentissero in obbligo di salvare non solo se stessi ma un mondo che pare andare a rotoli. La vitalità a volte è sbilenca, obliqua, ma mai doma. Su tutti, spicca il racconto eponimo della raccolta. Dice il suo protagonista - un ex attore di teatro a Varsavia, ora a spasso, megalomane, dongiovanni presunto e millantatore di un'amicizia prestigiosa, quella con Kafka - : La letteratura è in larghissima parte opera di plebei e arruffoni come Zola e D'Annunzio. Io vedevo nel teatro gli stessi difetti che Kafka vedeva nella letteratura, e questo ci ha unito. Lo strano, però, è che quando si trattava di teatro sembrava che Kafka avesse una benda sugli occhi: portava alle stelle le nostre mediocri commedie yiddish e s'innamorò follemente di un'attrice da strapazzo, Madame Tschissik. Quando penso che Kafka amava quella donna, che la sognava, provo vergogna per l'uomo e per le sue illusioni. Che è un bel modo di porre insieme vari e, perché no, divertenti interrogativi. Esemplificazione di come la letteratura non sia distribuzione di precetti ma scintillante invenzione, anche di proposizioni irragionevoli. Purché viaggino attraverso la bocca di bei personaggi.
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