RECENSIONI
J.R.Ackerley
Vacanza indù
Adelphi, Traduzione di Franco Salvatorelli, Pag. 273 Euro 18.00
Lo dico ai giovani, o giovanissimi, che dovessero soffermarsi sul libro. Non è un testo sulla bellezza dell’India. Non è una minuziosa mappa delle meraviglie di essa. Vacanza indù è semplicemente un’avventura, al limite (a volte) della incertezza.
Ma non è una incertezza voluta. Ackerley che oggi è considerato tra i migliori narratori inglesi del novecento (vorrei soltanto ricordare Mio padre ed io, magnifica ossessione e straripante quadro generazionale), affronta il viaggio in India, e precisamente nello Stato di Chhokrapur, senza altra intenzione che quella di considerarsi, nonostante i giudizi della gente indiana, un perfetto buono a nulla: Infatti io ricevo uno stipendio, oltre al biglietto di ritorno, e credo che l’agente politico mi consideri un’inutile stravaganza – quale sono senza dubbio.
Ackerley affronta questa differenza di classe e di stile (!) con la dovuta generosità; non solo ci regala, in alcuni momenti del libro, bozzi o disegni che in qualche modo completano il quadro che gli si pone davanti, ma non è mai difficoltoso con gli altri, soprattutto con l’Altezza Reale, anzi tenta di confrontarsi nei modi e nei tempi di chi lo ospita.
Dice di un assistente indiano: Mentre conversavamo, una zanzara mi morse la mano e con una botta la uccisi. Poi, alzando gli occhi, vidi la fronte corrugata di Babaji Rabo.
- Oh mi spiace! Ho esclamato. – L’ho fatto senza pensarci.
- Non importa – ha detto lui, evitando di guardarmi.
Ma importava, chiaramente. Ci sono vite che per una ragione o l’altra può sembrare non illecito sopprimere – la vita di un serpente, per esempio, di un topo, di un insetto nocivo – e credo che Babaji Rao ne converrebbe; nondimeno egli dovrebbe trovarsi molto alle strette prima di indursi a sopprimerle lui stesso e per la stessa sensibilità rifugge dal vederlo fare da altri.
Sembrerebbe un confronto tra l’essere induisti e il suo contrario (o i molti contrari), ma per Ackerley è semplicemente il confronto tra due esseri umani (anche se lui ha un evidente appoggio occidentale nel vedere le cose). E quel che esce fuori è non solo l’inizio della fine (in questo caso la fine del colonialismo) ma il diffondersi di una coscienza che nel caso specifico è al di là di qualsiasi riferimento culturale.
Vacanza indù ha anche una delicata cornice sessuale: ma sull’omosessualità di Ackerley preferisco soprassedere. Non per imbarazzo. Tutt’altro. Ma perché sul fatto ha avuto ben altre considerazioni. Più adeguate.
di Alfredo Ronci
Ma non è una incertezza voluta. Ackerley che oggi è considerato tra i migliori narratori inglesi del novecento (vorrei soltanto ricordare Mio padre ed io, magnifica ossessione e straripante quadro generazionale), affronta il viaggio in India, e precisamente nello Stato di Chhokrapur, senza altra intenzione che quella di considerarsi, nonostante i giudizi della gente indiana, un perfetto buono a nulla: Infatti io ricevo uno stipendio, oltre al biglietto di ritorno, e credo che l’agente politico mi consideri un’inutile stravaganza – quale sono senza dubbio.
Ackerley affronta questa differenza di classe e di stile (!) con la dovuta generosità; non solo ci regala, in alcuni momenti del libro, bozzi o disegni che in qualche modo completano il quadro che gli si pone davanti, ma non è mai difficoltoso con gli altri, soprattutto con l’Altezza Reale, anzi tenta di confrontarsi nei modi e nei tempi di chi lo ospita.
Dice di un assistente indiano: Mentre conversavamo, una zanzara mi morse la mano e con una botta la uccisi. Poi, alzando gli occhi, vidi la fronte corrugata di Babaji Rabo.
- Oh mi spiace! Ho esclamato. – L’ho fatto senza pensarci.
- Non importa – ha detto lui, evitando di guardarmi.
Ma importava, chiaramente. Ci sono vite che per una ragione o l’altra può sembrare non illecito sopprimere – la vita di un serpente, per esempio, di un topo, di un insetto nocivo – e credo che Babaji Rao ne converrebbe; nondimeno egli dovrebbe trovarsi molto alle strette prima di indursi a sopprimerle lui stesso e per la stessa sensibilità rifugge dal vederlo fare da altri.
Sembrerebbe un confronto tra l’essere induisti e il suo contrario (o i molti contrari), ma per Ackerley è semplicemente il confronto tra due esseri umani (anche se lui ha un evidente appoggio occidentale nel vedere le cose). E quel che esce fuori è non solo l’inizio della fine (in questo caso la fine del colonialismo) ma il diffondersi di una coscienza che nel caso specifico è al di là di qualsiasi riferimento culturale.
Vacanza indù ha anche una delicata cornice sessuale: ma sull’omosessualità di Ackerley preferisco soprassedere. Non per imbarazzo. Tutt’altro. Ma perché sul fatto ha avuto ben altre considerazioni. Più adeguate.
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