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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Paul Auster

Invisibile

Einaudi, Pag. 228 Euro 17,50
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Una tessitura magistrale compone le parti di una storia e parallelamente le parti di un libro che in pratica viene scritto, o almeno assemblato, direttamente sotto gli occhi del lettore. Non so se l'argomento principale, quello che sta a cuore ad Auster, sia la riflessione sui fatti umani che racconta o la riflessione sulla scrittura, come se un'ossessione auto referenziale lo costringesse a tornare continuamente in quel crogiuolo dove si compie la creazione di un'opera. C'è comunque, dentro il libro, il ritmo di un respiro, quel movimento di contrazione ed espansione che segna nell'identico modo il tempo dell'universo e quello di un essere vivente.

Inizia intrigante, presentando senza indugi il personaggio di Rudolf Born che sarà, per tutto il corso del romanzo, il polo magnetico capace di esercitare un incessante potere di attrazione e repulsione, dove la repulsione non è altro che un modo ancora più forte di suscitare interesse.

Carnagione pallida, capelli rossicci e spettinati (...) una bella faccia larga senza tratti caratteristici (una faccia, per così dire, generica, una faccia che in mezzo a qualsiasi folla sarebbe diventata invisibile), e due occhi castani, fermi, gli occhi indagatori di un uomo che sembrava non aver paura di niente.

Maestro di ambiguità, Born appartiene alla schiera di quegli enigmi viventi che sono ben rappresentati, per intenderci, dal mito di Moby Dick. Tant'è vero che Adam Walker, studente americano degli anni sessanta, finirà per dargli la caccia (o per essere la sua preda, ovviamente). Ma Auster ama giocare, e sul più bello ti stacca dalla storia, ti mostra che il racconto del protagonista non è che un manoscritto nelle mani di un altro Io narrante, e sembra che poi tutto debba procedere altrove. Ci resti un po' male, temi di aver perduto i personaggi che ti avevano calamitato: non solo Born, ma anche l'indecifrabile e sensuale Margot che fa parte del triangolo.

Non una bellezza, forse, ma un simulacro della bellezza, come se lo stile e la raffinatezza del suo aspetto incarnassero una sorta di ideale femminile dell'epoca.

Poi ecco che il ritmo riprende di nuovo serrato, e si riannodano le fila che si credevano smarrite: rilassamento e contrazione, appunto, e sai che questo è il respiro, la pulsazione della storia che lascia e prende.

Mentre gli avvenimenti vengono raccontati, ipotizzati, ricostruiti attraverso gli occhi di testimoni diversi, si compone dentro il romanzo la storia di un altro romanzo (che però è il romanzo stesso, solo oggettivato) in cui ogni parte corrisponde a un diverso esercizio di stile: e infatti il resoconto del protagonista viene fatto in prima, in seconda e in terza persona. Che classe!

Sia ben chiaro, la classe non consiste nel tentare esperimenti, cosa di cui siamo tutti capaci, ma di farlo senza nulla togliere alla leggerezza, al godimento e al pathos.

Alla fine la storia ti resta incollata addosso, perché ti ha avviluppato con continui dubbi e interrogativi mentre c'eri dentro, e si sa che i dubbi e gli interrogativi, più che i dati e le certezze, caratterizzano la vita di tutti i giorni, e quindi anche la tua vita.

Non esprimo mai un giudizio subito dopo aver letto l'ultima parola di un libro: aspetto di sentire il retrogusto che lascia dietro di sé (alcuni non lasciano niente!) e devo ammettere che questa volta è persistente, raffinato e corposo.



di Giovanna Repetto


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Paul Auster è uno dei miei scrittori preferiti. Di lui ho sempre amato: gli ambienti claustrofobici; le zoomate su dettagli che diventano importanti per il fatto stesso di essere osservati; gli esperimenti sulle risorse del minimalismo, ovvero i viaggi regressivi fino alla scoperta di quel barlume di sé che nell'essere umano resiste a un passo dall'annichilimento; il suo modo di giocare con i dadi di una casualità che a volte indossa la maschera del destino solo per beffarsi di noi e lasciarci sconcertati;

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