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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Cristiano Armati

Cuori Rossi

Newton Compton, Pag. 352 Euro 16,90
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Leggere in questi giorni l'appassionato libro di Cristiano Armati, Cuori rossi, potrebbe sortire due effetti, decisamente contrastanti: quello di voler abbandonare questo scellerato Paese che è l'Italia (e andare a fare qualsiasi cosa lontano dai sistemi economici capitalisti e neo liberisti dominanti), mettersi a ridere come un pazzo e pensare di essere in un 'Truman Show' bianco rosso e verde. L'ultimo effetto lo si può ottenere più facilmente se, alla fine di questa lettura, si dovessero ascoltare le parole del 'sommo' picconatore sardo, le sue spregiudicate indicazioni su come funziona la macchina repressiva dell'apparato statale; i trucchi, le scappatoie, le 'bastardate', le 'drittate', la cinica realpolitik tutta gestita dai mammut democristiani che, a guardarla da vicino, come capita dopo la lettura di Cuori rossi, in questi sessantanni ha fatto impallidire la 'cattiveria' repressiva del ventennio.

Il libro è ben esemplificato dal sottotitolo: la storia, le lotte e i sogni di chi ha pagato con la vita il prezzo delle proprie idee. Dagli eccidi di contadini e operai nel dopoguerra all'esecuzione di Valerio Verbano e Peppino Impastato, dai caduti del '77 alla morte di Carlo Giuliani.

Certo, il libro è di parte, e ci mancherebbe. Qualcuno ha detto la risposta a Cuori neri di Luca Telese. Tuttavia rende bene l'idea di che tipo di posto ci è capitato di abitare. Soprattutto perché i libri di Storia che studiamo a scuola nulla ci dicono di questo lager a cielo aperto che è lo Stato Italiano. Si parte da lontano, dal 1944, e dalla altrettanto lontana Sicilia. Due stragi inconcepibili per una mente normale ma concepibilissime per chi vuole e deve governare la cosa pubblica col terrore. In quella che viene chiamata la strage del pane di Palermo i contadini avevano fame. Sono scesi in piazza. Hanno ricevuto in cambio pallottole. Così a Portella della Ginestra, un primo maggio in cui i contadini che celebravano la festa del lavoro chiedevano l'assegnazione delle terre. Figuriamoci. Piombo in cambio (e il bravo bandito Giuliano usato come braccio armato) . E si va avanti. Tutta l'Italia. Un Paese uscito devastato dalla guerra e che tentava disperatamente di sollevarsi. Un Paese prima povero, poi boomizzato dagli anni'60. Un Paese governato da politici che non ne volevano sapere (e non ne vogliono ancora sapere) di operai riluttanti, di scioperi e proteste. Stragi a Modena, a Melissa. Le bravate del governo Tambroni e i moti repressi del luglio 1960. L'eccidio di Avola.

Si dirà (quelli che lo dicono li conosciamo), c'erano i comunisti alle porte. Mosca soffiava sul fuoco, l'armata rossa era pronta a intervenire a sostegno dei rivoltosi. L'Italia sarebbe diventata come l'Ungheria. Ma davvero? Leggendo le pagine di Cuori Rossi, ma anche andando a consultare qualsiasi libro di Storia non 'ufficiale', il dubbio sorge. Mosca era lontana e il 'moscovita' Togliatti, dopo l'attentato subito nel luglio del '48 (e le conseguenti repressioni delle sollevazioni popolari in risposta), si è guardato bene dal continuare ad appoggiare tout court (almeno apertamente) i 'rivoltosi' e affamati contadini operai studenti, insomma quelle solite categorie disposte a scendere in piazza per dare un segnale di malcontento esistenziale. Assolutamente irricevibile.

Quando poi il libro passa al '68, son dolori veri. Non si tratta più di dozzine di straccioni disorganizzati e affamati. Da lì in poi fiumi di gente si riverseranno continuamente in piazza. E non solo in Italia. Non è mio compito fare l'apologia di quell'anno e dei suoi moti, ho anch'io le mie personali riserve. Quello che è importante sottolineare è la reazione spropositata dell'apparato statale (soprattutto in Italia). Armati ben ci guida in questo cammino sconvolgente. E, a mano a mano, il punto di vista si allarga. Dubbi si sollevano come polvere di secoli mai spazzata a sufficienza. (Uno su tutti, la morte del commissario Calabresi in risposta a quella dell'anarchico Pinelli). E poi i caduti dell'aprile rosso, nel 1975. Gli spari sul movimento del '77. E, ciliegine avvelenate su una torta stantia, i nomi, tanti, dei recenti caduti, molti dei quali lontani anni luce da qualsiasi appartenenza ideologica (come Federico Aldrovandi, ragazzo massacrato dai poliziotti nella civilissima Ferrara, non più tardi di tre anni fa – e non ce ne vogliano i ferraresi - perché, secondo il punto di vista delle forze dell'ordine aveva ingerito droga - e quindi lo si uccide di botte, no?).

Giorni fa, il tribunale di Genova ha emesso la terza sentenza del terzo processo sui fatti del G8 di Genova del 2001. Sedici poliziotti assolti (fra cui i vertici del corpo), 13 condannati (la manovalanza che ha picchiato a sangue i ragazzi nella scuola Diaz). E' chiaro che questi ultimi non sconteranno mai le irrisorie pene inflitte. Carlo Giuliani, ucciso il 19 luglio in occasione di quegli scontri di piazza, uno degli ultimi ricordati dal libro di Cristiano Armati, si aggiunge alla lista dei caduti senza giustizia. Il suo nome però rimarrà per sempre. Quello dei tanti picconatori di questo Paese, invece, dobbiamo far sì che venga dimenticato definitivamente dalla storia con la minuscola.





di Adriano Angelini


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