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Il Paradiso degli Orchi
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RECENSIONI

Glen Duncan

L’ultimo lupo mannaro

Isbn Edizioni, Traduzione di Tomaso Biancardi, Pag. 480 Euro 12,00
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Ho un debole per le storie raccontate dal punto di vista del mostro. Ho per esempio un vivido ricordo di ‘Intervista col vampiro’(Il romanzo di Anne Rice e il relativo film). E’ questa la diversità che fa veramente paura. Non la diversità dell’altro, ma quella che si porta in se stessi, e con cui bisogna convivere non senza compromessi. Pensate al conflitto che si crea in molti di noi, dilaniati fra una sensibilità animalista e il gusto ormai assuefatto ad apprezzare il sapore delle carni, perfino quelle dei più teneri agnelli. Potremmo chiamarlo “il paradosso pasquale”, e ognuno lo risolve come crede. Ma che succederebbe se l’impulso (e per giunta un impulso forte, incoercibile) fosse quello di mangiare carne umana? Bene, qui la questione si fa un tantino più spinosa. Per Jacob Marlowe il dramma è così lacerante da indurlo ad aspettare come una liberazione il proiettile d’argento del Cacciatore che porrà fine ai suoi giorni. Ma le cose non sono naturalmente così semplici, e la fantasia di Glen Duncan le complica a sufficienza per alimentare un libro corposo (che per di più è solo il primo di una trilogia).
L’elemento fantastico non manca, e ci sono molte cose da scoprire sui lupi mannari: caratteristiche, iniziazione, longevità, punti deboli, impossibilità di saziarsi con la carne degli animali (altrimenti non ci sarebbe conflitto interiore!) sindrome pre-trasformazione, abnormi appetiti sessuali e via dicendo. Ma si apprendono anche molte cose sui loro atavici nemici: i vampiri. E ci verranno rivelate le ragioni per cui queste due specie così incompatibili fra loro sono in realtà legate dalla possibilità di sfruttarsi a vicenda per raggiungere le loro finalità.
In molte parti si ha certamente a che fare con un romanzo d’azione, ma non è questo per me l’aspetto più interessante. Quello che mi sembra straordinario è una sopraffina capacità di penetrazione psicologica che consente al lettore di calarsi dentro il protagonista fino al punto di sentire il sapore della carne umana senza scandalizzarsi più di tanto, ma anzi provando forse più compassione per il carnefice che per la vittima.
… qui c’era la carne, i miei denti stregati dalla sua squisitezza impotente e dalla calda sorgente di sangue aspro: bucare la pelle e affondare dentro la polpa (…) e la consapevolezza di non essere sorpreso, la ripetitività ormai esausta di tutte le volte che avevo giurato che sarebbe stata l’ultima…
Una lotta senza speranza contro i sensi di colpa che, da uomo, cerca di placare prodigandosi nel sostegno ad attività umanitarie. Ma che, appena dopo la trasformazione, si arrendono e scompaiono davanti alla brama di carne. Un’alternanza di pieni e vuoti caratteristica di ogni tipo di dipendenza.
Sempre acuto e ironico, l’Autore accompagna il suo personaggio per meandri oscuri senza cedere a facili sentimentalismi o a banalità di genere. Impresa non facile, su un argomento già così ampiamente sfruttato. Al contrario, riesce a trarne spunto per riflessioni non prive di originalità, che a volte sfociano in aforismi lapidari:
Il disgusto per tutto quello che sei è una specie di pace interiore.
Anche l’aspetto ‘splatter’ non appare fine a se stesso, ma piuttosto un modo per esplorare senza ipocrisia tutti i risvolti del problema. Problema del tutto fantastico, si capisce, ma assolutamente calato nella condizione umana se si pensa a quanto spesso gli elementi istintuali possano far naufragare le più solenni promesse della ragione.
Quando il destino di Jacob sembra ormai segnato, a scompigliare le carte arriva a sorpresa una nuova speranza e un nuovo amore. Prova durissima per un uomo già segnato dalla più atroce delle consapevolezze: che si può divorare ciò che si ama.


di Giovanna Repetto


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