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Il Paradiso degli Orchi
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Stefano Torossi

La distribuzione del talento

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L’apocalisse annunciata da Pulcinella. Roma 6 novembre. “Non uscite di casa se non in caso di estrema necessità”. “Scuole e siti archeologici chiusi”. Questi i titoli dei giornali stamattina. Senza dimenticare la sempre evocata bomba d’acqua. In tutta la giornata abbiamo visto solo una violenta ma assolutamente normale pioggia di novembre che non ci ha impedito di scendere al bar per il quotidiano cappuccino. E per l’allarmatissimo giornale.
In cui i titolisti allo sbaraglio ci servono la meteorologia drammatizzata: Roma in ginocchio per la pioggia, l’Italia nella morsa del gelo, o del caldo, paura a nord (o sud, est, ovest). Ore di caos, strade come fiumi, paralisi del traffico, voragini, emergenza.
Ci pare il solito teatrino di pulcinella che affronta la normalità stagionale come un dramma apocalittico (per poi farsi fregare dall’emergenza vera). Ancora ci ricordiamo i tre centimetri di neve a Roma e la conseguente totale paralisi urbana.
Comunque, il resto delle ventiquattrore non è che sia andato un gran che meglio.
Blanda fregatura con l’inaugurazione della mostra “Artisti dell’800 – Temi e riscoperte” alla Galleria Comunale d’Arte Moderna. Una modesta riproposta delle opere in deposito al museo stesso. Paesaggi, ritratti e qualche gesso o bronzo. Tutta roba vista e stravista; i temi, sempre gli stessi e, quanto a riscoperte, non ci siamo accorti di niente.
Grossa fregatura invece a fine giornata, quando ormai la bomba (d’acqua) aveva fatto cilecca, alla proiezione in anteprima del film biografico televisivo “Non escludo il ritorno”, titolo preso dallo spiritoso epitaffio suggerito da Califano per la sua tomba. Quasi due ore di luoghi comuni, recitazione mediocre, location al risparmio, banalità, canzoni, sdilinquimenti sentimental-parolacciari, con l’attore protagonista che lo imita (bene, ma senza darci un attimo di tregua) biascicando in romanesco.
L’unico spazio per una risatina in tutto il film: al ristorante, Califano paga il conto, poi dice al cameriere: “Il resto…” “E’ noia”, fa il cameriere, spiritoso. “No, è mancia”, ribatte il Califfo. Pochino, no?
C’è una domanda che ci perplime ogni volta che ascoltiamo le sue poetiche canzoni. Che poi è buona per tutte le epoche e per quasi tutti gli artisti. Com’è possibile che in una persona greve viva un’anima leggiadra? Eppure succede.  Continuamente.
La conclusione è lampante: il talento è un regalo distribuito senza criterio.      

Foto contro sguardo. Domenica 9. Malgrado il calendario è un’altra giornata primaverile. Ne approfittiamo per visitare una zona archeologica appena recuperata e aperta al pubblico sull’Appia Antica, la tenuta di Santa Maria Nova.
Facile e sbrigativo descriverla, anche perché assomiglia a tante altre. C’è un bel prato, parecchi pini e cipressi, mozziconi di muri antichi, un casale medievale nato sulle fondamenta di un edificio romano. Probabilmente terme in uso alla guardia scelta della Villa dei Quintili.
Nella quale, dopo averla scippata, eliminandoli, ai legittimi proprietari, appunto i fratelli Quintili, l’imperatore Commodo andava spesso a fare delle scampagnate, e naturalmente aveva bisogno della guardia del corpo.
Ci sono pavimenti in mosaico, vasche e ambienti riscaldati; insomma, la solita attrezzatura delle terme dell’epoca.     
Naturalmente non è per fornire questa banale descrizione che riferiamo la nostra visita.
All’ingresso della tenuta, in cima ai resti di una grossa cisterna hanno costruito un moderno belvedere, da cui si ha un’ottima visuale panoramica di tutti i dintorni, dai Colli Albani, alle tombe dell’Appia Antica, agli aerei che decollano da Ciampino.
Tutti contenti ci siamo saliti, abbiamo lasciato spaziare lo sguardo, poi lo abbiamo abbassato, e qui abbiamo avuto la sorpresa, da cui il nostro titolo.
Tutto intorno, sui quattro lati della terrazza, ci sono, bene incorniciati e fissati alla ringhiera, dei pannelli a colori che riproducono esattamente quello che si vede affacciandosi da quel lato. Normale amministrazione? Ce ne sono parecchi di quei pannelli in giro, ma sempre arricchiti da indicazioni per riconoscere la tal cupola, o il talaltro monumento nella foto, e di conseguenza identificarlo nel panorama.
Qui, invece no; c’è la foto e basta. Ha tutta l’aria di essere un omaggio al potere che in questa nostra epoca dell’immagine ha acquistato l’immagine stessa.
Se io vedo, a mezzo metro dagli occhi, fotografata su un pannello a colori, la stessa cosa che vedo se gli occhi li alzo e guardo un po’ più in là, vuol dire che quel panorama è importante, e sono autorizzato a ricordarmelo con legittimo orgoglio: io c’ero e ho visto proprio le stesse cose che stavano stampate sul pannello.
Come turista sono a posto.
Come persona pensante, un po’ meno, ma che fare?




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