INTERVISTE
Massimiliano Governi

Perchè hai scelto di fare l'editor?
In realtà non l'ho scelto io, ma Sandro Veronesi. Gli ho sempre dato delle gran dritte per i suoi romanzi, che lui mi faceva leggere in anteprima. Finché un giorno mi ha detto: ma perché non fai l'editor? Io ci ho pensato un attimo e poi ho detto: Uhm.
Quali sono state le difficoltà iniziali e quali i punti forti che ti portavi dietro?
La vera difficoltà all'inizio è stata l'esposizione. Dover parlare, incontrare gente. Le riunioni. Ma poi si trattava per lo più di calarsi nei libri. E quello lo sapevo fare bene, meglio degli altri.
Cosa hai pensato quando hai visto il tuo primo libro (scelto) pubblicato?
Ho pensato che c'era la mia firma su quel libro. Avevo fatto un editing d'autore, ricordo.
Cosa dovrebbe non avere un editor?
Se è anche uno scrittore, non dovrebbe avere paura di svuotarsi. Non dovrebbe risparmiarsi e dare idee, anche geniali, senza sentirsi frustrato.
Riprendendo la recente questio tra Lish e Carver: quanto un editor fa lo scrittore? E tu intervieni molto sui tuoi autori?
A volte intervengo molto. Alcuni testi, forse preso da un delirio di onnipotenza, li ho riscritti. Altre volte ho avuto un rispetto e uno strano timore dell'opera, e per paura di rovinarla mi sono limitato a segnalare piccole cose. Un editor non fa uno scrittore. Uno scrittore fa un editor, però. Parleremmo ora di Gordon Lish se non avesse lavorato con Carver e Richard Ford?
Il libro su cui vorresti mettere le mani per provarti?
Uno del passato. Forse Menzogna e sortilegio di Elsa Morante. Pieno di cliché e ripetizioni e storie intrecciate che però non vanno da nessuna parte.
Tu sei anche uno scrittore. Quando sono gli altri a fare l'editing sul tuo lavoro come ti comporti?
Devo dire che sono così severo con me stesso che quando consegno un testo c'è molto poco da fare. Le mie parole sono pietre che ho impiegato anni per poggiare sulla pagina. Credo sia difficile toglierle, o anche solo spostarle.
Consigli a chi vuol farsi pubblicare. Cosa fare e cosa non fare.
Non mandate il libro via email, pieno di indirizzi e numeri di telefono. Lasciate piuttosto il malloppo sulla scrivania dell'editor, senza firma e senza recapiti. Come ha fatto mi pare Celine. Farete impazzire l'editor, che verrà preso dall'ansia di rintracciarvi ancora prima di iniziare a leggerlo.
L'incipit più bello che hai letto?
Dei classici, quello de Lo Straniero di Camus. Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Dei libri che ho pubblicato io. Se non mangio tutto poi arrivano i Cariolanti. Di Sacha Naspini.
Il finale ideale di questa intervista?
La cosa che ho detto sulle parole dei miei libri che sono come pietre è davvero pretenziosa. Sembravo Alessandro Baricco.
In realtà non l'ho scelto io, ma Sandro Veronesi. Gli ho sempre dato delle gran dritte per i suoi romanzi, che lui mi faceva leggere in anteprima. Finché un giorno mi ha detto: ma perché non fai l'editor? Io ci ho pensato un attimo e poi ho detto: Uhm.
Quali sono state le difficoltà iniziali e quali i punti forti che ti portavi dietro?
La vera difficoltà all'inizio è stata l'esposizione. Dover parlare, incontrare gente. Le riunioni. Ma poi si trattava per lo più di calarsi nei libri. E quello lo sapevo fare bene, meglio degli altri.
Cosa hai pensato quando hai visto il tuo primo libro (scelto) pubblicato?
Ho pensato che c'era la mia firma su quel libro. Avevo fatto un editing d'autore, ricordo.
Cosa dovrebbe non avere un editor?
Se è anche uno scrittore, non dovrebbe avere paura di svuotarsi. Non dovrebbe risparmiarsi e dare idee, anche geniali, senza sentirsi frustrato.
Riprendendo la recente questio tra Lish e Carver: quanto un editor fa lo scrittore? E tu intervieni molto sui tuoi autori?
A volte intervengo molto. Alcuni testi, forse preso da un delirio di onnipotenza, li ho riscritti. Altre volte ho avuto un rispetto e uno strano timore dell'opera, e per paura di rovinarla mi sono limitato a segnalare piccole cose. Un editor non fa uno scrittore. Uno scrittore fa un editor, però. Parleremmo ora di Gordon Lish se non avesse lavorato con Carver e Richard Ford?
Il libro su cui vorresti mettere le mani per provarti?
Uno del passato. Forse Menzogna e sortilegio di Elsa Morante. Pieno di cliché e ripetizioni e storie intrecciate che però non vanno da nessuna parte.
Tu sei anche uno scrittore. Quando sono gli altri a fare l'editing sul tuo lavoro come ti comporti?
Devo dire che sono così severo con me stesso che quando consegno un testo c'è molto poco da fare. Le mie parole sono pietre che ho impiegato anni per poggiare sulla pagina. Credo sia difficile toglierle, o anche solo spostarle.
Consigli a chi vuol farsi pubblicare. Cosa fare e cosa non fare.
Non mandate il libro via email, pieno di indirizzi e numeri di telefono. Lasciate piuttosto il malloppo sulla scrivania dell'editor, senza firma e senza recapiti. Come ha fatto mi pare Celine. Farete impazzire l'editor, che verrà preso dall'ansia di rintracciarvi ancora prima di iniziare a leggerlo.
L'incipit più bello che hai letto?
Dei classici, quello de Lo Straniero di Camus. Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Dei libri che ho pubblicato io. Se non mangio tutto poi arrivano i Cariolanti. Di Sacha Naspini.
Il finale ideale di questa intervista?
La cosa che ho detto sulle parole dei miei libri che sono come pietre è davvero pretenziosa. Sembravo Alessandro Baricco.
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