INTERVISTE
Pablo D'Ors
È raro trovare libri che possano lasciare un mare di pensieri e emozioni sospeso sulla testa di chi li legge.
Soprattutto è raro che uno di questi libri possa avere in sé un respiro narrativo talmente ampio e potente da diventare un sussurro per l'anima, incapace di restare appesantita dopo la lettura dei racconti del prete-scrittore spagnolo.
Il debutto di Pablo d'Ors (pubblicato in Italia da Aìsara) rientra in questa categoria di letture con una sequenza di sette racconti perfetti. Sette omaggi alla letteratura europea, diretti indiretti. Sette messaggeri – tanto per fare allusioni – di umanità letteraria e concreta.
La forza della scrittura di Pablo è talmente dirompente nella sua attenta presenza sulla carta da lasciare senza fiato, come quando il vento ci soffia contro nel momento in cui abbiamo smesso di piangere e cerchiamo aria. Raramente nella dimensione breve del racconto ci siamo trovati così assorti, così empaticamente compiaciuti da quello che leggevamo.
A settembre l'autore parteciperà al Festivaletteratura di Mantova.
Noi abbiamo scambiato qualche battuta veloce, durante il suo recente tour italiano, che vi proponiamo con gran piacere, certi che se vi immergerete nella scrittura di Pablo non vorrete più uscirne.
A chi appartengono questi racconti? Allo scrittore che li ha fatti vivere, agli scrittori che lo hanno ispirato o ai lettori?
Ai lettori, senza alcun dubbio. Per me un libro è come un figlio. E un figlio non appartiene ai suoi genitori, ma è un essere libero. Io sono il creatore; gli scrittori ai quali rendo omaggio sono i motivi ispiratori; pero solo al lettore appartengono queste storie, scritte tanto con rabbia quanto con tenerezza.
Attraverso le voci dei suoi protagonisti si aprono scorci intimi, quasi universali allo stesso tempo sul genere umano. Quali sono secondo lei i legami empatici con la sua scrittura che si creano con il lettore?
Lo scrittore deve catturare il lettore dalla prima frase del suo racconto e non permettergli di abbandonarlo fino all'ultima. Solo ciò che è veramente personale è interessante, e solo ciò che è autenticamente personale può arrivare a essere, nel migliore dei casi, universale. La narrativa è per me un artefatto verbale che coniuga, in parti uguali, idee e plasticità. Senza idee, il testo è frivolo. Senza immagini, non è artistico e, pertanto, non tocca le corde dell'emozione. L'arte consiste nel far sì che le idee scaturiscano dalle immagini stesse. Ed è allora che arriva quella festa che ogni lettore, che lo sappia o no, aspetta.
Questo è il secondo libro uscito in Italia (e altri ne verranno, sempre per Aìsara). Come trova il pubblico e il popolo italiano?
Ho vissuto in Italia per tre anni. Là ho fatto il mio dottorato; là ho conosciuto quello che è stato il mio grande maestro, e là vivono le persone che amo e che mi hanno aiutato ad essere quello che ora sono. Sento che il pubblico italiano, meno provinciale di quello spagnolo, capirà la mia letteratura meglio dei miei compatrioti. Con tutti i distinguo del caso, mi sento molto vicino a Tabucchi, Magris, Bufalino o Pavese; e per questo sono felice che i miei libri siano tradotti nella loro lingua.
In Italia le raccolte di racconti fanno sempre una gran fatica a essere pubblicate. In Spagna è diverso? Secondo lei perché?
In Spagna accade lo stesso, sì. Il perché mi risulta incomprensibile: ogni lettore al quale si chiede dice che i racconti gli piacciono. Forse stupidamente il racconto è considerato un genere minore.
Se dovesse essere un personaggio di un racconto come vorrebbe essere descritto?
Esattamente come io descrivo i miei: con uno sguardo lucido, però pietoso e benevolo, non impietoso. Apparteniamo a una generazione che ha associato il lucido con l'implacabile o con lo spietato. L'oscurità esiste, e lo scrittore deve darne atto. Tuttavia esiste anche la luce, soltanto che esige uno sguardo più allenato. Quindi se fossi un personaggio vorrei essere descritto con lucidità e benevolenza, proprio così, con compassione, cioè con la capacità di soffrire con l'altro.
Soprattutto è raro che uno di questi libri possa avere in sé un respiro narrativo talmente ampio e potente da diventare un sussurro per l'anima, incapace di restare appesantita dopo la lettura dei racconti del prete-scrittore spagnolo.
Il debutto di Pablo d'Ors (pubblicato in Italia da Aìsara) rientra in questa categoria di letture con una sequenza di sette racconti perfetti. Sette omaggi alla letteratura europea, diretti indiretti. Sette messaggeri – tanto per fare allusioni – di umanità letteraria e concreta.
La forza della scrittura di Pablo è talmente dirompente nella sua attenta presenza sulla carta da lasciare senza fiato, come quando il vento ci soffia contro nel momento in cui abbiamo smesso di piangere e cerchiamo aria. Raramente nella dimensione breve del racconto ci siamo trovati così assorti, così empaticamente compiaciuti da quello che leggevamo.
A settembre l'autore parteciperà al Festivaletteratura di Mantova.
Noi abbiamo scambiato qualche battuta veloce, durante il suo recente tour italiano, che vi proponiamo con gran piacere, certi che se vi immergerete nella scrittura di Pablo non vorrete più uscirne.
A chi appartengono questi racconti? Allo scrittore che li ha fatti vivere, agli scrittori che lo hanno ispirato o ai lettori?
Ai lettori, senza alcun dubbio. Per me un libro è come un figlio. E un figlio non appartiene ai suoi genitori, ma è un essere libero. Io sono il creatore; gli scrittori ai quali rendo omaggio sono i motivi ispiratori; pero solo al lettore appartengono queste storie, scritte tanto con rabbia quanto con tenerezza.
Attraverso le voci dei suoi protagonisti si aprono scorci intimi, quasi universali allo stesso tempo sul genere umano. Quali sono secondo lei i legami empatici con la sua scrittura che si creano con il lettore?
Lo scrittore deve catturare il lettore dalla prima frase del suo racconto e non permettergli di abbandonarlo fino all'ultima. Solo ciò che è veramente personale è interessante, e solo ciò che è autenticamente personale può arrivare a essere, nel migliore dei casi, universale. La narrativa è per me un artefatto verbale che coniuga, in parti uguali, idee e plasticità. Senza idee, il testo è frivolo. Senza immagini, non è artistico e, pertanto, non tocca le corde dell'emozione. L'arte consiste nel far sì che le idee scaturiscano dalle immagini stesse. Ed è allora che arriva quella festa che ogni lettore, che lo sappia o no, aspetta.
Questo è il secondo libro uscito in Italia (e altri ne verranno, sempre per Aìsara). Come trova il pubblico e il popolo italiano?
Ho vissuto in Italia per tre anni. Là ho fatto il mio dottorato; là ho conosciuto quello che è stato il mio grande maestro, e là vivono le persone che amo e che mi hanno aiutato ad essere quello che ora sono. Sento che il pubblico italiano, meno provinciale di quello spagnolo, capirà la mia letteratura meglio dei miei compatrioti. Con tutti i distinguo del caso, mi sento molto vicino a Tabucchi, Magris, Bufalino o Pavese; e per questo sono felice che i miei libri siano tradotti nella loro lingua.
In Italia le raccolte di racconti fanno sempre una gran fatica a essere pubblicate. In Spagna è diverso? Secondo lei perché?
In Spagna accade lo stesso, sì. Il perché mi risulta incomprensibile: ogni lettore al quale si chiede dice che i racconti gli piacciono. Forse stupidamente il racconto è considerato un genere minore.
Se dovesse essere un personaggio di un racconto come vorrebbe essere descritto?
Esattamente come io descrivo i miei: con uno sguardo lucido, però pietoso e benevolo, non impietoso. Apparteniamo a una generazione che ha associato il lucido con l'implacabile o con lo spietato. L'oscurità esiste, e lo scrittore deve darne atto. Tuttavia esiste anche la luce, soltanto che esige uno sguardo più allenato. Quindi se fossi un personaggio vorrei essere descritto con lucidità e benevolenza, proprio così, con compassione, cioè con la capacità di soffrire con l'altro.
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