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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Claudia Sottocornola

Parole

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… Erano le sette, le sette meno dieci e Claudicante se ne stava lì, immobile, frastornata, seduta su quella panchina di legno, dall’aspetto un tantino romantico. Credeva di aspettare un treno, ne era convinta, un treno che non arrivava mai e ne aveva visti a centinaia, a migliaia! Ogni volta, aveva la percezione che fosse quello giusto, ma si sbagliava e tornava a sedersi di nuovo, a contare le nuvole, le persone, gli uccellini, l’attesa. Impaziente per quel suo ultimo viaggio, si era caricata le spalle di una borsa enorme, in cuoio e ci aveva messo dentro il mondo, perché non poteva permettersi che le mancasse niente, non questa volta!                                                                                                                                                                                                                     Finalmente, il capo stazione annunciò l’arrivo di un treno color rosa! Claudicante si alzò bruscamente, gettò via il caffè e si sistemò i capelli, come fosse alle prese con l’uomo della sua vita e in men che non si dica, i binari cominciarono a risplendere di polvere argentata e il cielo si colorò di nuvole rossastre; veloce come non mai, giunse trionfante quel trenino color rosa, accompagnato da rondini e palloncini luccicanti. Le porticine a forma di cuore si aprirono e scesero mano nella mano, centinaia di personcine, con gli occhietti lucidi e i capelli arruffati. Alla vista di questo scenario, Claudicante s'intristì, ritornò a sedere e scoppiò in un pianto forsennato…                                                                                                      “Perché mai tesoro mio, stai piangendo in questo modo?" Non c’è tempo nella vita, per piangere", sussurrò una voce dolce.                                                                                     Claudicante si vergognò, sollevò lo sguardo e seduto a fianco a lei, un putto con i capelli biondi e lo sguardo tenerissimo, la fissava preoccupato. Tutt’intorno a quella meraviglia, un’aura che profumava di gelsomino le alleggerì il naso e alla vista di quella bellezza, le lacrime si sciolsero e tornò il sereno. Claudicante rispose: “piango perché pensavo fosse il mio treno, ma mi sbagliavo di nuovo. Piango perché questo treno rosa non mi vuole ed è triste!”                                                                                                            Il putto ribatté, sconcertato: “e chi lo dice che un treno, ha il permesso di pensare? Mi chiamo Amore ad ogni modo e sono il proprietario di questo trenino color rosa. Chiedo scusa immensamente, se il mio operaio vi ha ferito!”                                                                                                        Claudicante, con voce tremolante, rispose: “mi avete frainteso signore, non volevo turbarvi! Ho visto scendere da quel treno centinaia d'innamorati e allora mi sono seduta di nuovo, perché io non sono innamorata e quindi non posso salire!”                                                                      Amore, con tono quasi stizzito, gridò: "io non sono un signore, sono un bambino!"                                                                                                   Claudicante si sentì affranta e chinò la testa. Alla vista di tanta tristezza, il bellissimo putto sorrise e riprese a parlare con toni pacati: "ad ogni modo, signorina Claudicante, perché mai chi non è innamorato, non ci può salire? L’amore non è solo quello che riserviamo a qualcuno: c’è chi ama la vita, c’è chi ama se stesso, c’è chi ama i poveri e c’è chi ama fumare! Ognuno di noi ha un cuore da qualche parte ed è grande abbastanza per abbracciare il Mondo!”                                                                  Claudicante si rattristì e senza un filo di voce, replicò: “ma che cos’è un cuore, signor Amore?”                                                                                                                         Amore si sollevò bruscamente da quella panchina e cominciò ad agitarsi, come fosse un cavallo imbizzarrito! Afferrò il suo taccuino polveroso e destreggiandosi egregiamente, disegnò un grande cuore e lo mostrò a Claudicante, che grattandosi la testa, abbassò lo sguardo, di nuovo.                                                                                                         Amore continuò: “signorina non capisco! Come ha fatto a vivere tutto questo tempo, senza un cuore? Il cuore è…morire dentro uno sguardo, oppure…perdersi tra i colori di un tramonto o tra le rime di una poesia, nelle rughe di una nonna, nei colori di un artista…Il cuore è piangere, strillare, perdere, cadere, avere fame, sempre fame, ininterrottamente. E' pregare per un Dio, che non riusciamo a vedere, è alzarsi ogni mattina, mentre il Mondo ancora dorme… è…”                                                  Claudicante, proseguì con fermezza: “...è aspettare un treno che sembra non arrivare?”                                                                                                                 Una volta detto questo, una volta udite queste sette PAROLE, Amore alzò le braccia e si gettò al collo di Claudicante, orgoglioso come una mamma, alle prese con i primi passi del suo bambino!                                                                                           Canticchiando strillò: “sìììììììììì! Questo è! Aspettare un treno che sembra non arrivare e piangere nell’attesa, soffrire nell’attesa, amare quell’attesa e solo lì, dentro al tutto, spunta fuori il cuore! Bello, bellissimo" e si sedette, esausto. Claudicante gli offrì una tazza di caffè e lui accettò volentieri.                                                                                                             Deliziata da quel suo modo buffo, di assaporare la plastica, Claudicante domandò: “sembri stanco Amore? Da quanto tempo non dormi?”                                                                                  Amore sorrise e rispose: “io non dormo mai tesoro! Come faccio a dormire? Non faccio a tempo ad appoggiare la testa per un solo secondo, che già sento il telefono squillare, perché tizio e caia si sono lasciati e quell’altra non è corrisposta e quell’altro si vuole ammazzare e quella là poi che abita sopra di me, non fa altro che cantare e parlare d’amore, per ore ed ore, di mattina, di pomeriggio, di sera, di notte! E’ un inferno Claudicante, ci credi?”                                                                      Claudicante si ingobbì, dentro i suoi vestiti mal messi e smise di parlare. Fissava i binari di tanto in tanto, con amarezza. Forse, quel treno, non era destinato ad arrivare, o almeno, non oggi! Sollevò le spalle e ritornò ad essere triste. Amore insospettito, le afferrò la mano e sussurrò: “perché mai sei diventata triste, all'improvviso? Ho detto qualcosa di sbagliato, forse? Ma poi a che servono le PAROLE, se non a confonderci?”                                                                                       Claudicante sospirando, rispose: “sono triste perché mi chiamo Claudicante e non Amore. Sono triste perché non ho belle storie da raccontare. Il mio telefono non squilla mai e nessuno mi vuole avere accanto. Aspetto un treno che forse non arriverà e non ci badavo prima, quando non sapevo di possedere un cuore! Ma ora lo so e fa tutto più male e fa ancora più male sapere che, per un minuscolo fraintendimento, qualcuno lassù ha deciso che io dovessi essere questa PAROLA e non magari Amore, o Luce, o Pace, o Bellezza! Dici che le PAROLE non contano, ma se fosse vero, forse anch’io avrei il diritto di sentirmi felice! Invece sto qui e se mi muovo, la gente ride. Non posso far altro che aspettare questo treno. Solo questo!”                                                                                                                         Amore, sbigottito e rattristito, da quelle belle parole, la fissò dritto negli occhi e domandò: “come si chiama il tuo treno, Claudicante?"                                                                                  Claudicante sorseggiò il caffè e lo gettò via. Sorridendo tristemente, rispose: “fine. Si chiama fine e al momento, è la parola più lieta che io conosca.”



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