ATTUALITA'
Stefano Torossi
Rimpianti e non.
Rimpianto di un’amica
Per qualche tempo compagni di cappuccino, tutte le mattine al Bar della Pace. Lettura reciprocamente rispettosa del giornale; qualche parola sottovoce, due notizie di amici, e poi ciao fino all’indomani. Un giorno si presenta con la testa rasata: “Necessità di scena”. Qualche tempo dopo, una parrucca bionda: “Esigenza del personaggio”. Poi non l’abbiamo più vista. E abbiamo saputo di averla persa.
Lunedì 2 c’è stato un ricordo al Teatro Eliseo con la presentazione di un libro fotografico di Tommaso Le Pera: “Magnetica Mariangela”. Al tavolo un gruppo di persone normali, fra cui il fotografo stesso e la sorella Anna. Più due malati, uno di narcisismo, l’altro di teatralismo.
Il primo, il critico Di Gianmarco, è partito con una pappardella “multiculturale e multidisciplinare” durante la quale, travolto dal suo male si è abbandonato a gratuiti sfoggi di cultura, a nozionistici paragoni delle foto con quadri famosi, esprimendosi nel modo che purtroppo tutti conosciamo, in cui il rispetto e l’attenzione dovuti al defunto, che in fondo è il protagonista dell’evento, svaniscono travolti dallo tsunami autoreferenziale, che fa anche dimenticare al parlante il tempo che scorre.
Il secondo, l’attore Sciaccaluga, dopo la consuetudinaria e falsissima dichiarazione: “Non voglio tediare gli ascoltatori perché mi ritengo un argomento noiosissimo” (siamo d’accordo) si è abbandonato anche lui a un’interminabile e civettuola sbrodolatura sillabando lento e marcato, la voce impostata, con tutte le (anche quelle che nella circostanza sarebbe stato meglio ignorare) pause e i birignao da palcoscenico, e con eccesso di aneddoti, di cui, come si sa, il pregio principale dovrebbe essere la fulminea brevità.
Molto belle invece le foto, che sarebbero state più che sufficienti a raccontare la nostra amica perduta, Mariangela Melato.
Nessun rimpianto di un periodaccio
“Peregrinatio Sancta”, martedì 3; una mostra delle bolle di indizione degli Anni Santi nel sontuoso cortile e in giro per i nobili saloni del Palazzo del Vicariato Vecchio. Fra tutte quelle Eminenze, Eccellenze, Monsignori e Reverendissimi in paonazzo, in rosso, con croci d’oro al collo e anelli scintillanti al dito ci sentivamo un po’ a disagio nel nostro sobrio completino borghese. Ma abbiamo superato e ci siamo goduti la sventagliata di discorsi dei vari prelati, tutti di erudizione sopraffina, di cortesia curiale, di ostentata umiltà, di abbondante vaselina.
Ben sapendo che in realtà, come nel mondo profano, si tratta comunque di giochi di potere; ma il modo di gestirli è sempre di grandissimo livello.
Le pergamene in mostra, eccezionalmente uscite per questa occasione degli archivi vaticani, sono naturalmente dei documenti di grande fascino per tutto quello che rappresentano di storia, di politica, di economia.
E, ci sia permesso un appunto terra terra, anche di malasorte per le povere bestie coinvolte. Ognuna di quelle di grandezza normale ci parla di un agnellino che ci ha rimesso la pelle; ma ce ne sono di enormi che di sicuro hanno significato il sacrificio di un bel pecorone. Certo, le costolette se le sarà pappate qualcuno, però…
La più importante di queste pergamene è di Bonifacio VIII e lancia il primo Anno Santo, nel 1300. Un’epoca proprio da non rimpiangere, soprattutto per Roma che era ridotta a un misero villaggio di catapecchie e di torri, dove uscire dopo il tramonto significava rischiare la pelle; e la vita, per quei pochi anni che durava, era un continuo barcamenarsi fra stiletti, bastonature, veleni e genuflessioni.
Rimpianto dei quattrini (che non abbiamo)
Qui siamo proprio nel lusso profano, ma che bellezza! SerpentiForm è il titolo della manifestazione, e dice abbastanza sul suo soggetto. Lasciamo perdere la simbologia del rettile: non ci interessa. Quello che conta è la bellezza delle cose esposte: gioielli da Pompei, quadri di contemporanei, foto, abiti di sartoria e di scena (naturalmente ci sono quelli della Taylor in Cleopatra…l’aspide!) meravigliosi, braccialetti, spille, anelli: tutto con sopra il serpe.
L’interessante è che Bulgari, organizzatore della mostra a Palazzo Braschi si è sobriamente riservato l’ultima saletta per i propri gioielli, attuali e di qualche anno fa, lasciando tutto il percorso precedente ad altri esempi di bellezza per puro, si direbbe, spirito di mecenatismo.
Proprio come ai tempi dei principi munifici, e non male per i visitatori. E soprattutto un risarcimento per chi, come noi, non avrebbe i quattrini per comprare quelle meraviglie ma così ha la possibilità di guardarle gratis (che è anche meglio perché elimina i patemi che provocano la proprietà, la salvaguardia, la custodia di roba così preziosa).
Per qualche tempo compagni di cappuccino, tutte le mattine al Bar della Pace. Lettura reciprocamente rispettosa del giornale; qualche parola sottovoce, due notizie di amici, e poi ciao fino all’indomani. Un giorno si presenta con la testa rasata: “Necessità di scena”. Qualche tempo dopo, una parrucca bionda: “Esigenza del personaggio”. Poi non l’abbiamo più vista. E abbiamo saputo di averla persa.
Lunedì 2 c’è stato un ricordo al Teatro Eliseo con la presentazione di un libro fotografico di Tommaso Le Pera: “Magnetica Mariangela”. Al tavolo un gruppo di persone normali, fra cui il fotografo stesso e la sorella Anna. Più due malati, uno di narcisismo, l’altro di teatralismo.
Il primo, il critico Di Gianmarco, è partito con una pappardella “multiculturale e multidisciplinare” durante la quale, travolto dal suo male si è abbandonato a gratuiti sfoggi di cultura, a nozionistici paragoni delle foto con quadri famosi, esprimendosi nel modo che purtroppo tutti conosciamo, in cui il rispetto e l’attenzione dovuti al defunto, che in fondo è il protagonista dell’evento, svaniscono travolti dallo tsunami autoreferenziale, che fa anche dimenticare al parlante il tempo che scorre.
Il secondo, l’attore Sciaccaluga, dopo la consuetudinaria e falsissima dichiarazione: “Non voglio tediare gli ascoltatori perché mi ritengo un argomento noiosissimo” (siamo d’accordo) si è abbandonato anche lui a un’interminabile e civettuola sbrodolatura sillabando lento e marcato, la voce impostata, con tutte le (anche quelle che nella circostanza sarebbe stato meglio ignorare) pause e i birignao da palcoscenico, e con eccesso di aneddoti, di cui, come si sa, il pregio principale dovrebbe essere la fulminea brevità.
Molto belle invece le foto, che sarebbero state più che sufficienti a raccontare la nostra amica perduta, Mariangela Melato.
Nessun rimpianto di un periodaccio
“Peregrinatio Sancta”, martedì 3; una mostra delle bolle di indizione degli Anni Santi nel sontuoso cortile e in giro per i nobili saloni del Palazzo del Vicariato Vecchio. Fra tutte quelle Eminenze, Eccellenze, Monsignori e Reverendissimi in paonazzo, in rosso, con croci d’oro al collo e anelli scintillanti al dito ci sentivamo un po’ a disagio nel nostro sobrio completino borghese. Ma abbiamo superato e ci siamo goduti la sventagliata di discorsi dei vari prelati, tutti di erudizione sopraffina, di cortesia curiale, di ostentata umiltà, di abbondante vaselina.
Ben sapendo che in realtà, come nel mondo profano, si tratta comunque di giochi di potere; ma il modo di gestirli è sempre di grandissimo livello.
Le pergamene in mostra, eccezionalmente uscite per questa occasione degli archivi vaticani, sono naturalmente dei documenti di grande fascino per tutto quello che rappresentano di storia, di politica, di economia.
E, ci sia permesso un appunto terra terra, anche di malasorte per le povere bestie coinvolte. Ognuna di quelle di grandezza normale ci parla di un agnellino che ci ha rimesso la pelle; ma ce ne sono di enormi che di sicuro hanno significato il sacrificio di un bel pecorone. Certo, le costolette se le sarà pappate qualcuno, però…
La più importante di queste pergamene è di Bonifacio VIII e lancia il primo Anno Santo, nel 1300. Un’epoca proprio da non rimpiangere, soprattutto per Roma che era ridotta a un misero villaggio di catapecchie e di torri, dove uscire dopo il tramonto significava rischiare la pelle; e la vita, per quei pochi anni che durava, era un continuo barcamenarsi fra stiletti, bastonature, veleni e genuflessioni.
Rimpianto dei quattrini (che non abbiamo)
Qui siamo proprio nel lusso profano, ma che bellezza! SerpentiForm è il titolo della manifestazione, e dice abbastanza sul suo soggetto. Lasciamo perdere la simbologia del rettile: non ci interessa. Quello che conta è la bellezza delle cose esposte: gioielli da Pompei, quadri di contemporanei, foto, abiti di sartoria e di scena (naturalmente ci sono quelli della Taylor in Cleopatra…l’aspide!) meravigliosi, braccialetti, spille, anelli: tutto con sopra il serpe.
L’interessante è che Bulgari, organizzatore della mostra a Palazzo Braschi si è sobriamente riservato l’ultima saletta per i propri gioielli, attuali e di qualche anno fa, lasciando tutto il percorso precedente ad altri esempi di bellezza per puro, si direbbe, spirito di mecenatismo.
Proprio come ai tempi dei principi munifici, e non male per i visitatori. E soprattutto un risarcimento per chi, come noi, non avrebbe i quattrini per comprare quelle meraviglie ma così ha la possibilità di guardarle gratis (che è anche meglio perché elimina i patemi che provocano la proprietà, la salvaguardia, la custodia di roba così preziosa).
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