ATTUALITA'
Stefano Torossi
Una sbirciatina in chiesa.

“Laudato si’- alle radici della vita” è il titolo della mostra appena conclusa a S. Ignazio. E’ una mostra di alberi. Alberi di rame. Melograni, fichi, castagni, meli, ulivi, le piante citate nelle Scritture.
Settimo Tamanini l’autore; trentino come lo era Andrea Pozzo, grande gesuita barocco, padre dello spettacoloso soffitto della chiesa. Dipinto in forma di strabiliante prospettiva a simulare un’altra cattedrale immaginaria in cima a quella vera, che a sua volta si apre in un cielo altissimo dove fluttua S. Ignazio in gloria.
L’architetto, Padre Grassi (fra l’altro mortale nemico di Galileo – guarda come talvolta si accompagna male il talento), che aveva finito i soldi per la decorazione, gli mise a disposizione quelle centinaia di metri quadri da riempire.
Gratis, tanto erano tutti gesuiti e lavoravano per la gloria del signore e per l’elevazione dei loro confratelli.
Tutto questo per raccontare quanto bene questo alberello, altrimenti niente di speciale, si presta a tirare fuori, con il suo controluce metallico l’esaltante immensità del soffitto.
L’effetto è così indovinato che sembra un frutto tardivo di quella esplosione di sfrenata fantasia che caratterizzò nel seicento ogni manifestazione dell’arte.
Quando lo scopo ultimo era, a tutti i costi, stupire lo spettatore.
Entasi.
Talvolta il posto per stare tranquilli può essere il più affollato. S. Pietro in Vincoli. Mandrie di turisti compattati a suon di spintoni davanti al Mosè di Michelangelo. Il resto della chiesa, vuoto. Ne approfittiamo subito: lungo i due lati della navata centrale corre una fila di venti magnifiche colonne doriche scanalate, evidentemente scippate da qualche edificio classico dei dintorni.
Sono di una meraviglia da levare il fiato, e la loro bellezza è dovuta, almeno in parte, a un elemento quasi impercettibile, che però le fa perfette: l’èntasi.
Che non è né un errore di battitura, né un artifizio per aumentare l’emozione. Si tratta del “rigonfiamento del fusto della colonna a circa un terzo della sua altezza (dal greco èntasis = tensione). E’ un accorgimento ottico che tende a evidenziare la robustezza del cilindro rappresentando la tensione dell’elemento che reagisce al peso”.
Capito? Duemila anni fa già sapevano che allargando di neanche due centimetri il diametro di un monolito alto sei metri si riusciva a dare l’anima a un pezzo di pietra.
Pubblicità eccessiva
S. Bartolomeo all’Isola, al centro del Tevere, è costruita sul tempio di Esculapio, di cui emergono dei frammenti dai muri barocchi; e questo la rende doppiamente interessante.
Ma c’è un altro elemento che la fa unica: alcuni suoi altari sono destinati alla più aperta pubblicità degli affari di famiglia. Senza bisogno di statue o quadri d’autore, basta la serie di targhette che qui mostriamo, accompagnate dall’elenco delle malefatte dei persecutori.
Una specie di citofono del martirio. (Ci sfugge il perché delle virgolette).
Settimo Tamanini l’autore; trentino come lo era Andrea Pozzo, grande gesuita barocco, padre dello spettacoloso soffitto della chiesa. Dipinto in forma di strabiliante prospettiva a simulare un’altra cattedrale immaginaria in cima a quella vera, che a sua volta si apre in un cielo altissimo dove fluttua S. Ignazio in gloria.
L’architetto, Padre Grassi (fra l’altro mortale nemico di Galileo – guarda come talvolta si accompagna male il talento), che aveva finito i soldi per la decorazione, gli mise a disposizione quelle centinaia di metri quadri da riempire.
Gratis, tanto erano tutti gesuiti e lavoravano per la gloria del signore e per l’elevazione dei loro confratelli.
Tutto questo per raccontare quanto bene questo alberello, altrimenti niente di speciale, si presta a tirare fuori, con il suo controluce metallico l’esaltante immensità del soffitto.
L’effetto è così indovinato che sembra un frutto tardivo di quella esplosione di sfrenata fantasia che caratterizzò nel seicento ogni manifestazione dell’arte.
Quando lo scopo ultimo era, a tutti i costi, stupire lo spettatore.
Entasi.
Talvolta il posto per stare tranquilli può essere il più affollato. S. Pietro in Vincoli. Mandrie di turisti compattati a suon di spintoni davanti al Mosè di Michelangelo. Il resto della chiesa, vuoto. Ne approfittiamo subito: lungo i due lati della navata centrale corre una fila di venti magnifiche colonne doriche scanalate, evidentemente scippate da qualche edificio classico dei dintorni.
Sono di una meraviglia da levare il fiato, e la loro bellezza è dovuta, almeno in parte, a un elemento quasi impercettibile, che però le fa perfette: l’èntasi.
Che non è né un errore di battitura, né un artifizio per aumentare l’emozione. Si tratta del “rigonfiamento del fusto della colonna a circa un terzo della sua altezza (dal greco èntasis = tensione). E’ un accorgimento ottico che tende a evidenziare la robustezza del cilindro rappresentando la tensione dell’elemento che reagisce al peso”.
Capito? Duemila anni fa già sapevano che allargando di neanche due centimetri il diametro di un monolito alto sei metri si riusciva a dare l’anima a un pezzo di pietra.
Pubblicità eccessiva
S. Bartolomeo all’Isola, al centro del Tevere, è costruita sul tempio di Esculapio, di cui emergono dei frammenti dai muri barocchi; e questo la rende doppiamente interessante.
Ma c’è un altro elemento che la fa unica: alcuni suoi altari sono destinati alla più aperta pubblicità degli affari di famiglia. Senza bisogno di statue o quadri d’autore, basta la serie di targhette che qui mostriamo, accompagnate dall’elenco delle malefatte dei persecutori.
Una specie di citofono del martirio. (Ci sfugge il perché delle virgolette).
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