I Classici

Un vero peccato dimenticarlo: “Moscardino” di Enrico Pea.
Spesso ci è capitato, durante i nostri studi dei classici, di essere incappati in autori che, nonostante alcune considerazioni dei critici, o anche degli scrittori, fossero state di un certo peso e anche di una certa importanza (tralasciamo quelli che sono stati, colpevolmente

La fantascienza di un archeologo scientifico subacqueo: “Homunculus” di Gianni Roghi.
Il romanzo inizia così: Insomma non capisco l’importanza di questi particolari. Lei dice che contano. Sarà, non è il mio mestiere, ma mi sembra che sia un perdere tempo. Comunque, comunque, cominciamo pure da principio. Le cose sono andate così. Se lei crede, signor commissario, può prendere nota.

Lo “spiritoso” hard-boiled: “Ti stiro i connotati, tesoro!” di Carlo Manzoni.
Fu un personaggio niente male e pure come scrittore e dal punto di vista artistico non si fece mancare nulla. Fu anche vignettista e le sue creazioni...

Le “mollezze” di un misogino: “La desinenza in A” di Carlo Dossi.
Certo la vita del Dossi fu quanto meno intensa, tanto che, al di là dei suoi innumerevoli meriti letterari (forse meglio dire linguistici), alla fine ci si chiede se non sia stata maggiormente rappresentativa la sua attività politica che non quella letteraria.

Un romanzo “complicato”: “Memorie di un presbiterio” di Emilio Praga e Roberto Sacchetti.
Romanzo che viene solitamente attribuito a Emilio Praga ma che in realtà, per la morte di costui, è stato terminato da Roberto Sacchetti. E fin qui, nonostante certa noncuranza di alcuni editori, nulla di male. In realtà però il male c’è (relativamente, ovvio).

Una “Procedura” molto gialla: il libro di Salvatore Mannuzzu.
Non me ne voglia il pregiatissimo scrittore, nonché deputato eletto come indipendente nelle liste del PCI, Salvatore Mannuzzu, ma del suo libro bisognava iniziare con un indizio che poi indicasse la strada esatta del percorso.

Un libro da portare a scuola: “L’elefante verde” di Giorgio e Nicola Pressburger.
Ogni tanto bisogna dire le cose come stanno (al di là delle commemorazioni): che il libro che andiamo trattando sarebbe consigliabile la lettura nelle scuole.

Dimentichiamoci Trieste: “Il castello dei desideri” di Silvio Benco.
Forse avrete notato che quando si parla di autori che, nel corso degli anni, hanno perduto, come si dice, mordente nella presa di coscienza di lettori più o meno attenti, le loro opere risultano quasi sempre introvabili

Una scrittrice forse incompresa: “Ieri” di Delia Benco.
Inizio questo lavoro con un dubbio (del tutto lecito in verità): ma le scrittrici della nostra letteratura, quando non erano del tutto accettate, lo erano invece per una sorta di “ritrosia” personale, chiamiamola così invece di una definizione più corposa e “soddisfacente”?

Esempio di narrativa anacronistica? “I fuochi del Basento” di Raffaele Nigro.
Scriveva Walter Pedullà sul nostro autore: … Nigro è impegnato a dimostrare che l’avvenire è già presente in chi crede tanto nei propri ideali libertari ed egalitari da sacrificare per essi la propria vita.
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