I Classici

Romanzo 'ottocentesco', pletorico, ma utile: 'Fabrizio Lupo' di Carlo Coccioli.
Sull'utilità del medesimo provo a confrontarmi, per conto proprio, col prefatore: Walter Siti.
Dice l'ormai noto scrittore: Ha senso ripubblicare oggi questo libro monstrum perché è ancora mimetico del mostruoso coacervo di stereotipi che la società ha accumulato sugli omosessuali; ma gli omosessuali stessi, che pure si sono liberati del monumentale tra i pregiudizi che ingombravano Fabrizio Lupo (cioè dell'idea che etero e omo siano separati da compartimenti stagni e invalicabili) avrebbero torto a rimuovere, nell'entusiasmo, dell'engagement, l'ostinata persistenza delle contraddizioni.

La solitudine del numero uno: ‘I miei amici’ di Emmanuel Bove.
Se la Francia c’ha messo cinquant’anni per rendere il dovuto omaggio ad uno scrittore straordinario (Flammarion pubblicò l’opera omnia solo nel 1999), l’Italia, tranne qualche sparuta iniziativa di editore minore (Casagrande, Le Mani…) ha steso un velo pietoso su Bove.

Facco de Lagarda all'ombra di Eduardo: 'Marciano allegri'
Mi ero più volte ripromesso di tornare su Ugo Facco de Lagarda (per chi è interessato cerchi in archivio le schede su Le figlie inquiete e La grande Olga): innanzi tutto perché resta ancor oggi misterioso il disinteresse verso un grande scrittore, poi perché proprio la bellezza e la finezza della narrativa lagardiana non possono sopportare l'oblio del tempo.
Non è facile avere un quadro d'insieme dell'opera del letterato veneziano e naturalmente l'indifferenza, di cui sopra, delle case editrici ne impedisce una ricostruzione completa

La sopravvivenza di Hughes
La science-fiction degli anni Settanta era bellissima. Era pervasa dalla paura di un futuro fatto di sovrappopolazione, inquinamento e conflitti atomici, ma al tempo stesso era psichedelica, venata di speranza e colma della fantasia mediata dal movimento hippy. C’era la Guerra Fredda, certo, ma anche la speranza di un mondo migliore.

La modernità di cent'anni fa: 'Il delitto di Fausto Diamante' di Giovanni Comisso.
Scriveva Comisso a proposito del suo romanzo (finito nell'agosto del 1926 e pubblicato solo nel 1933 per l'editore Ceschina di Milano): ... rispecchia molto della mia vita in famiglia, a Treviso, e a Genova nel 1921. Un giorno nel porto di Genova un giovinetto guardava con estasi le navi in partenza. Gli chiesi come si chiamasse, mi rispose fiero: 'Il nome, come quello di un'opera lirica, il cognome, come il più duro dei minerali'. E smaniava di potersi imbarcare per andare nelle terre di oltre oceano. Così sorse il romanzo e il nome del protagonista...

Un ottocentesco Casanova in pieno furore anti-romanzo: 'La dura spina' di Renzo Rosso.
Si domandava Attilio Bertolucci nell'introduzione: E' ancora possibile scrivere un romanzo? La questione era lecita, perché La dura spina uscì proprio nel 1963, anno problematico per le sorti del nostro panorama letterario. Aggiungeva sempre Bertolucci: ... mi è d'obbligo comunque ricordare che nel non lontano 1963 il romanzo poteva ancora dare una prova di sicura vitalità con 'La dura spina' di Renzo Rosso. Era l'anno, qualcuno se ne ricorderà, che pareva urgessero ai confini i rivoluzionari, i distruttori, i rinnovatori. Ahimé ai confini si sono fermati.

Un affresco italiano: 'Racconti ambigui' di Enzo Siciliano
Scriveva Siciliano, commentando Gli indifferenti di Moravia: ...non è un romanzo benevolo nei confronti della realtà che interpreta(...) il volto italiano della spregiudicatezza sentimentale che sconfina nel malaffare, l'egoismo belluino che scardina i valori sacri della convivenza fingendo di esaltarli; e, di fronte, un diverso volto dell'animo italiano, che si esprime nella fragilità morale, nell'indecisione emotiva, nel sentimento di una rivolta che si paralizza al suo stesso esprimersi perché nell'esistenza tutto è vano, tutto è cenere in partenza.(Diario italiano 1997 – 2006, Perrone 2008)

Le avventure sportive di un giornalista comico : 'Battista al Giro d'Italia' di Achille Campanile.
L'arte di Campanile deve nascondere un mistero: non si spiegherebbe se no un successo editoriale che dura praticamente da ottant'anni. C'è di più, in un paese come il nostro, quasi sempre spezzato in due ideologicamente, ci si stupisce che abbia avuto così spazio uno scrittore mai schierato o politicizzato che sia riuscito ad accontentare palati assai differenti ed eterogenei.
In fondo il suo è sempre stato un realismo equidistante, ma impazzito, che ha fatto sempre la parodia del nostro mondo. E con quali armi?

La vita disperata di un ebreo che odia gli ebrei: 'Remo Maun avvocato' di Adriano Grego.
Confessò anni dopo Adriano Grego: Mi è difficile con la mentalità di oggi spiegarmi le ragioni per cui a diciotto anni io diventai fascista. Forse perché la rivoluzione dei rossi non arriva mai e m'ero stancato di aspettarla. Forse perché il mio subcosciente di ebreo mi portava a far forza sulla mia natura e mi aveva fatto innamorare della violenza. Forse anche per un puerile patriottismo.
Adriano Grego, scrittore ahinoi dimenticato troppo in fretta, in un appunto che non divenne mai biografia,

L'ultimo feuilleton di Elsa Morante: 'Aracoeli'.
Qualcuno potrebbe obiettare che ossequiare una scrittrice ricordando un suo libro non perfettamente riuscito può sembrare un omaggio irriverente (se fosse ancora in vita Giovanni Raboni sai i fulmini! Lui che inserì Aracoeli tra i cento romanzi più importanti del novecento letterario): in realtà la scissione vera e propria che ha provocato in me la lettura dell'ultimo romanzo della Morante mi porta in definitiva a tentare una sorta di rendiconto finale con la scrittrice e con la sua arte,
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