CLASSICI
Alfredo FRonci
La bambina che sorride alla guerra: “Il cielo cade” di Lorenza Mazzetti.

Si può sorridere alla guerra? Si può continuare a giocare mentre tutto intorno il mondo va completamente a pezzi? Da quello che abbiamo letto in questo libro e anche “decifrato” sembrerebbe di sì. La guerra, intendiamo la seconda guerra mondiale, per molto tempo sembra non incrinare le sorti della giovanissima protagonista di questa storia, che però vedrà la fine di questo magico momento nel momento in cui sarà impossibile ignorare la tragedia.
Non solo, è possibile vedere il mondo con occhi diversi e decisamente surreali ed ironici mentre l’atmosfera che ci circonda va per un’altra strada? Riguardo questo punto riporto un giudizio che Federico Fellini espresse a proposito del romanzo di Lorenza Mazzetti: Poche volte mi sono divertito così golosamente come leggendo Il cielo cade: la stessa gioia di quando si leggeva Il giornalino di Giamburrasca. E’ una prospettiva così nuova finalmente per raccontare storie del fascismo e della guerra.
Sembra incredibile ma il Fellini usa delle espressioni che mal s’addicono alla storia. Tipo… mi sono divertito così golosamente o … la stessa gioia di quando si leggeva Il giornalino di Giamburrasca, ma in realtà nulla si discosta da un’operazione che la stessa Mazzetti ha messo in opera per illustrare l’immane tragedia dentro un microcosmo perfettamente lineare e, permettetemi l’uso dell’aggettivo, “divertente”.
Il cielo cade narra la vicenda di due giovanissime ragazzine, Penny e Baby che, negli ultimi anni del fascismo vivono nella casa di campagna degli zii che le hanno accolte dopo la morte improvvisa dei genitori. La piccola Penny racconta la vita quotidiana, la propaganda fascista a scuola, i giochi in campagna e le sfilate di bambini nonostante tutto intorno si verifichino tragedie incombenti con uno stile decisamente “appropriato”, cioè a dire con uso, oserei dire grammaticale, che ricorda veramente una bambina di dieci anni o poco più (che la Mazzetti riduce ad una narrazione che vede il soggetto in testa, il verbo e il complemento oggetto).
Finché non ci si trova davanti all’orrore: il 3 agosto 1944 i tedeschi fanno irruzione nella villa degli zii e la occupano. All’inizio le cose non sembrano andare malamente (… Io voglio bene ad Hainz come al tenente Friedrich e come a Leonardo e quando sarò grande voglio avere molti mariti) ma successivamente le cose precipitano e gli ebrei cominceranno ad essere deportati.
Scrive la Mazzetti: Dedico questo libro a mio zio Robert Einstein, cugino di Albert (sì, proprio lui, il genio-scienziato) a mia zia Nina Mazzetti Einstein, alle mie cugine Annamaria (Cicci) e Luce Einstein. Tutti loro dormono nel cimitero della Badiuzza sopra Firenze tra San Donato in collina e Rignano sull’Arno. Sulla loro tomba c’è scritto “trucidate dai tedeschi il 3 agosto 1944”. Io e mia sorella che stavamo alla Villa fin da piccole (perché la nostra mamma era morta) siamo state risparmiate dalle SS perché non ci chiamavamo Einstein ma Mazzetti.
Così abbiamo diviso le gioie della vita e ricevuto il loro affetto per anni ma al momento della morte siamo state separate da loro. Questa vita mi è stata regalata solo perché ero “di un’altra razza”.
Eppure, nonostante l’immane tragedia, prima che i tedeschi agissero secondo ordini superiori, si respira nel romanzo un’aria davvero infantile (come avrebbe detto la scrittrice… le gioie della vita), un’aria che giustamente Fellini la confronta con le vicende del “vecchio” Giamburrasca. Come ad esempio nell’episodio della veste del Vescovo… Vidi Baby che si avvicinava correndo dall’atrio verso di noi. Potevo scorgere tra le sue mani un pezzo di stoffa viola proprio come quella del manto del Vescovo.
- Ho tagliato un pezzo del suo manto! - disse Baby. – Così lo Spirito Santo non se ne andrà mai più da qui – E con le forbici che aveva nell’altra mano si mise a scavare nella terra sotto il nespolo.
- Lo metto qui sotto – disse.
La sera lo zio ci mandò a letto senza cena e io dovetti scrivere venti pagine con questa frase: “E’ vietato tagliare i vestiti dei Vescovi”.
Un episodio che sarebbe stato ideale in qualsiasi racconto d’infanzia ma che qui assume un significato ben al di sopra di qualsiasi sostanza.
L’edizione da noi considerata è:
Lorenza Mazzetti
Il cielo cade
Garzanti
Non solo, è possibile vedere il mondo con occhi diversi e decisamente surreali ed ironici mentre l’atmosfera che ci circonda va per un’altra strada? Riguardo questo punto riporto un giudizio che Federico Fellini espresse a proposito del romanzo di Lorenza Mazzetti: Poche volte mi sono divertito così golosamente come leggendo Il cielo cade: la stessa gioia di quando si leggeva Il giornalino di Giamburrasca. E’ una prospettiva così nuova finalmente per raccontare storie del fascismo e della guerra.
Sembra incredibile ma il Fellini usa delle espressioni che mal s’addicono alla storia. Tipo… mi sono divertito così golosamente o … la stessa gioia di quando si leggeva Il giornalino di Giamburrasca, ma in realtà nulla si discosta da un’operazione che la stessa Mazzetti ha messo in opera per illustrare l’immane tragedia dentro un microcosmo perfettamente lineare e, permettetemi l’uso dell’aggettivo, “divertente”.
Il cielo cade narra la vicenda di due giovanissime ragazzine, Penny e Baby che, negli ultimi anni del fascismo vivono nella casa di campagna degli zii che le hanno accolte dopo la morte improvvisa dei genitori. La piccola Penny racconta la vita quotidiana, la propaganda fascista a scuola, i giochi in campagna e le sfilate di bambini nonostante tutto intorno si verifichino tragedie incombenti con uno stile decisamente “appropriato”, cioè a dire con uso, oserei dire grammaticale, che ricorda veramente una bambina di dieci anni o poco più (che la Mazzetti riduce ad una narrazione che vede il soggetto in testa, il verbo e il complemento oggetto).
Finché non ci si trova davanti all’orrore: il 3 agosto 1944 i tedeschi fanno irruzione nella villa degli zii e la occupano. All’inizio le cose non sembrano andare malamente (… Io voglio bene ad Hainz come al tenente Friedrich e come a Leonardo e quando sarò grande voglio avere molti mariti) ma successivamente le cose precipitano e gli ebrei cominceranno ad essere deportati.
Scrive la Mazzetti: Dedico questo libro a mio zio Robert Einstein, cugino di Albert (sì, proprio lui, il genio-scienziato) a mia zia Nina Mazzetti Einstein, alle mie cugine Annamaria (Cicci) e Luce Einstein. Tutti loro dormono nel cimitero della Badiuzza sopra Firenze tra San Donato in collina e Rignano sull’Arno. Sulla loro tomba c’è scritto “trucidate dai tedeschi il 3 agosto 1944”. Io e mia sorella che stavamo alla Villa fin da piccole (perché la nostra mamma era morta) siamo state risparmiate dalle SS perché non ci chiamavamo Einstein ma Mazzetti.
Così abbiamo diviso le gioie della vita e ricevuto il loro affetto per anni ma al momento della morte siamo state separate da loro. Questa vita mi è stata regalata solo perché ero “di un’altra razza”.
Eppure, nonostante l’immane tragedia, prima che i tedeschi agissero secondo ordini superiori, si respira nel romanzo un’aria davvero infantile (come avrebbe detto la scrittrice… le gioie della vita), un’aria che giustamente Fellini la confronta con le vicende del “vecchio” Giamburrasca. Come ad esempio nell’episodio della veste del Vescovo… Vidi Baby che si avvicinava correndo dall’atrio verso di noi. Potevo scorgere tra le sue mani un pezzo di stoffa viola proprio come quella del manto del Vescovo.
- Ho tagliato un pezzo del suo manto! - disse Baby. – Così lo Spirito Santo non se ne andrà mai più da qui – E con le forbici che aveva nell’altra mano si mise a scavare nella terra sotto il nespolo.
- Lo metto qui sotto – disse.
La sera lo zio ci mandò a letto senza cena e io dovetti scrivere venti pagine con questa frase: “E’ vietato tagliare i vestiti dei Vescovi”.
Un episodio che sarebbe stato ideale in qualsiasi racconto d’infanzia ma che qui assume un significato ben al di sopra di qualsiasi sostanza.
L’edizione da noi considerata è:
Lorenza Mazzetti
Il cielo cade
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