RECENSIONI
Leif GW Persson
Anatomia di un'indagine
Marsilio, Pag. 551 Euro 18.50
Inusuale. Inusuale davvero.
Per improvvisi cambi di prospettiva.
Diciamo questo: noi lettori di noir siamo abituati a seguire un iter fisso. Omicidio. Indagine. Soluzione dell'enigma. Bene. Qui salta tutto. E vediamo perché.
La prima parte del romanzo è segnata dall'investigazione dell'ispettore Bäckström. Brutto e rozzo (dice dei suoi colleghi: Devono essere finocchi, pensò Bäckström. Anche se fosse vero quello che si dice sulla quantità di donne che si sono fatti, devono essere finocchi. Chi diavolo viene a Växjö per andare a rivedere un vecchio film? - Pag.187-) ha dei metodi discutibilissimi, come quello di prelevare 700 campioni di dna della popolazione per tentare di fare bingo con quello dell'assassino di cui è in possesso e ce l'ha con tutti.
Sembrerebbe lui la figura di punta del romanzo. Colui che alla fine metterà su un piatto d'argento il nome del responsabile della morte di una giovane che voleva fare la poliziotta. Macché.
Dopo qualche centinaio di pagine Persson lo fa defilare. Nel senso che rigira la prospettiva e i protagonisti sono altri. Ad esempio l'investigatore Lewin, più riflessivo, più pacato, più anglosassone. Che ha qualche problemino con l'infanzia ed un sogno che diventa ben presto ossessione.
Macché, anche lui poi, tutto sommato, rientra nella marginalità. A sostituirlo due poliziotte, una più scafata, l'altra semi-verginella, pronte, dopo che un'indagine chiotta ha portato all'identificazione dell'assassino, senza particolari meriti individuali, a confrontarsi col carnefice di turno.
Perché, altra stranezza, mica il romanzo finisce con un coup de thêatre e la cattura del colpevole... seeee, troppo facile. A quasi cento pagine della fine, quando una Agatha Christie qualsiasi, ma prendiamo anche qualsiasi schizofrenico autore noir contemporaneo, avrebbero rivoltato la frittata venti volte, assistiamo ad un interrogatorio dove, uno pensa che da un momento all'altro possa avvenire un ribaltamento improvviso.
Macchè (aridaje). Tutto fila liscio fino alla fine, con l'omicida consegnato alla giustizia ed un tribunale che gli da in prima istanza l'ergastolo poi, ritenendolo affetto da disturbi psichici, lo spedisce in un ospedale psichiatrico.
Riassumiamo per non sembrare pasticciona ed inconcludente.
C'è un investigatore che sembra investigatore, ma invece non è, almeno, non è l'unico, e non è nemmeno risolutivo, perché ce n'è un altro che potrebbe essere risolutivo, ma alla fine non combina un cazzo. Ci pensano le due poliziotte a sistemare il colpevole, ma quando lo sistemano è già stato "sistemato" perché è stato catturato da un'indagine lenta e sistematica condotta da tutti, ci manca giusto la portinaia del palazzo dove è avvenuto il misfatto.
E il colpevole? Quello indicato 100 pagine prima della conclusione. E fino alla fine, quello rimane. Per buona pace degli ansiosi e di quelli che vorrebbero chiudere l'ultima pagina facendo "Ah" (il gesto è quello di una mano che copre la bocca aperta a dismisura).
Inusuale. Davvero inusuale.
Ma siete curiosi di sapere se mi è piaciuto? L'ho divorato, come davanti ad un piatto di polenta quando non si ha fame. Beh? Direte voi, se non si ha fame non lo si mangia. Beati voi: provate a resistere.
di Eleonora del Poggio
Per improvvisi cambi di prospettiva.
Diciamo questo: noi lettori di noir siamo abituati a seguire un iter fisso. Omicidio. Indagine. Soluzione dell'enigma. Bene. Qui salta tutto. E vediamo perché.
La prima parte del romanzo è segnata dall'investigazione dell'ispettore Bäckström. Brutto e rozzo (dice dei suoi colleghi: Devono essere finocchi, pensò Bäckström. Anche se fosse vero quello che si dice sulla quantità di donne che si sono fatti, devono essere finocchi. Chi diavolo viene a Växjö per andare a rivedere un vecchio film? - Pag.187-) ha dei metodi discutibilissimi, come quello di prelevare 700 campioni di dna della popolazione per tentare di fare bingo con quello dell'assassino di cui è in possesso e ce l'ha con tutti.
Sembrerebbe lui la figura di punta del romanzo. Colui che alla fine metterà su un piatto d'argento il nome del responsabile della morte di una giovane che voleva fare la poliziotta. Macché.
Dopo qualche centinaio di pagine Persson lo fa defilare. Nel senso che rigira la prospettiva e i protagonisti sono altri. Ad esempio l'investigatore Lewin, più riflessivo, più pacato, più anglosassone. Che ha qualche problemino con l'infanzia ed un sogno che diventa ben presto ossessione.
Macché, anche lui poi, tutto sommato, rientra nella marginalità. A sostituirlo due poliziotte, una più scafata, l'altra semi-verginella, pronte, dopo che un'indagine chiotta ha portato all'identificazione dell'assassino, senza particolari meriti individuali, a confrontarsi col carnefice di turno.
Perché, altra stranezza, mica il romanzo finisce con un coup de thêatre e la cattura del colpevole... seeee, troppo facile. A quasi cento pagine della fine, quando una Agatha Christie qualsiasi, ma prendiamo anche qualsiasi schizofrenico autore noir contemporaneo, avrebbero rivoltato la frittata venti volte, assistiamo ad un interrogatorio dove, uno pensa che da un momento all'altro possa avvenire un ribaltamento improvviso.
Macchè (aridaje). Tutto fila liscio fino alla fine, con l'omicida consegnato alla giustizia ed un tribunale che gli da in prima istanza l'ergastolo poi, ritenendolo affetto da disturbi psichici, lo spedisce in un ospedale psichiatrico.
Riassumiamo per non sembrare pasticciona ed inconcludente.
C'è un investigatore che sembra investigatore, ma invece non è, almeno, non è l'unico, e non è nemmeno risolutivo, perché ce n'è un altro che potrebbe essere risolutivo, ma alla fine non combina un cazzo. Ci pensano le due poliziotte a sistemare il colpevole, ma quando lo sistemano è già stato "sistemato" perché è stato catturato da un'indagine lenta e sistematica condotta da tutti, ci manca giusto la portinaia del palazzo dove è avvenuto il misfatto.
E il colpevole? Quello indicato 100 pagine prima della conclusione. E fino alla fine, quello rimane. Per buona pace degli ansiosi e di quelli che vorrebbero chiudere l'ultima pagina facendo "Ah" (il gesto è quello di una mano che copre la bocca aperta a dismisura).
Inusuale. Davvero inusuale.
Ma siete curiosi di sapere se mi è piaciuto? L'ho divorato, come davanti ad un piatto di polenta quando non si ha fame. Beh? Direte voi, se non si ha fame non lo si mangia. Beati voi: provate a resistere.
di Eleonora del Poggio
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Leif GW Persson
Uccidete il drago
Best Thriller – Superpocket, Pag. 415 Euro 6,90Personalmente avevo lasciato Evert Backstrom, lo strambo commissario svedese, ai tempi di Anatomia di un'indagine. Avventura che aveva perplesso la recensora, cioè me medesima, per la struttura sfuggente del plot, e dove il tanto declamato poliziotto era stato solo uno delle pedine principali della storia, e con risultati poi del tutto prevedibili e non certo brillanti.
Qui cambia tutto, e quello che era un personaggio inusuale diventa, e qui ha ragione la quarta di copertina, abbastanza impresentabile. Se non odioso.
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