RECENSIONI
Cleto Cacini
Asdrafa'
Edizioni LaFanfafa, Pag. 77 D.V.
Se qualcuno di voi si mette davanti ad uno specchio, cosa vede?
I meno intelligenti diranno… me stesso. Quelli che sono più riflessivi diranno… un me stesso che non ha le mie proprietà, perché la vera sostanza non è riflessa. I più riottosi diranno… una nullità.
Perché ho fatto questa introduzione? Perché il libro che ho appena letto mi ha posto di fronte a questo dilemma. Cosa penso (e cosa vedo) di me stesso davanti ad uno specchio? Perché diciamocelo, quando uno scrive pensa agli altri, ma pensa anche a se stesso. E faccio queste affermazioni perché anch’io, nel passato, ho scritto ed ho anche riflettuto. Risultato? Siccome scrivere è anche un po’ specchiarsi, io ho veduto me stesso ma anche parecchio diverso (tipo: i riflessivi).
Cleto Cacini, scrittore astuto e anche paraculo, vede solo e soltanto se stesso (però non è meno intelligente, anzi). Non si discosta praticamente da quello che è, e anche le descrizioni personali non sono altro che una fattura precisa di se stesso. Però gioca (e lo sa fare) perché se da una parte scrive in dialetto romanesco (attenzione, Pasolini non c’entra nulla), e il lettore pensa che lo scrittore ha parziale visione della vita, dall’altra ti spara una citazione di Monicelli, si permette di riportare una canzone degli Smiths e a pag. 21 si erge letterato dicendo… noi abbiamo un concetto diverso delle distanze prossemiche. Capito?
Il libro in realtà è una serie di racconti dove c’è posto per tutti e anche e soprattutto c’è posto per una moglie e una figlia, e tutte le altre cose legate ai tre personaggi (carina la situazione in Marocco).
Non credo si possa aggiungere altro. Chi si specchia e vede se stesso probabilmente troverà sostanzioso questo libro. Gli altri ci penseranno un po’. Io, per il mio passato di scrittore, lo avrei scritto in maniera molto diversa. Ma non so a questo punto chi avrebbe vinto.
di Alfredo Ronci
I meno intelligenti diranno… me stesso. Quelli che sono più riflessivi diranno… un me stesso che non ha le mie proprietà, perché la vera sostanza non è riflessa. I più riottosi diranno… una nullità.
Perché ho fatto questa introduzione? Perché il libro che ho appena letto mi ha posto di fronte a questo dilemma. Cosa penso (e cosa vedo) di me stesso davanti ad uno specchio? Perché diciamocelo, quando uno scrive pensa agli altri, ma pensa anche a se stesso. E faccio queste affermazioni perché anch’io, nel passato, ho scritto ed ho anche riflettuto. Risultato? Siccome scrivere è anche un po’ specchiarsi, io ho veduto me stesso ma anche parecchio diverso (tipo: i riflessivi).
Cleto Cacini, scrittore astuto e anche paraculo, vede solo e soltanto se stesso (però non è meno intelligente, anzi). Non si discosta praticamente da quello che è, e anche le descrizioni personali non sono altro che una fattura precisa di se stesso. Però gioca (e lo sa fare) perché se da una parte scrive in dialetto romanesco (attenzione, Pasolini non c’entra nulla), e il lettore pensa che lo scrittore ha parziale visione della vita, dall’altra ti spara una citazione di Monicelli, si permette di riportare una canzone degli Smiths e a pag. 21 si erge letterato dicendo… noi abbiamo un concetto diverso delle distanze prossemiche. Capito?
Il libro in realtà è una serie di racconti dove c’è posto per tutti e anche e soprattutto c’è posto per una moglie e una figlia, e tutte le altre cose legate ai tre personaggi (carina la situazione in Marocco).
Non credo si possa aggiungere altro. Chi si specchia e vede se stesso probabilmente troverà sostanzioso questo libro. Gli altri ci penseranno un po’. Io, per il mio passato di scrittore, lo avrei scritto in maniera molto diversa. Ma non so a questo punto chi avrebbe vinto.
di Alfredo Ronci
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