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Il Paradiso degli Orchi
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RACCONTI

Matteo Mauro

Cuore freddo

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A lei la birra non piaceva granché.

Me ne accorsi subito, le prime volte che andavamo al pub lei non beveva altro che weissbier. Quel denso intruglio mi ha sempre fatto schifo, mi ricorda il piscio conservato in frigo. A casa ne avevamo sempre delle vaschette piene. In quel caso si trattava del piscio di mio zio. Non ho mai indagato sul perché di quelle vaschette.

Lei aveva i capelli dello stesso colore. E questo però non mi faceva affatto schifo, anzi al contrario. Sicuramente sarà stato il profumo che portava. Sempre pulita, ordinata ma mai truccata troppo. E dire che le amiche con cui andava in giro facevano a gara a chi avesse il mascherone da troia più variopinto.

Una delle ultime volte che la vidi era d'estate e ci fermammo assetati in una specie di motel dove servivano birra ghiacciata come il cuore freddo delle vostre ragazze - recitava così una scritta su cartellone a lettere componibili, in bella vista. Insomma, quella volta lei ordinò una limonata, io il mio solito boccale. Non parlammo quasi per niente, ce ne stavamo accanto al vetro lavato di fresco della tavola calda a sorseggiare e a guardare fuori. Non c'era molto traffico sulla superstrada, solo qualche autotreno e un gruppo di motociclisti.

Lei aveva i capelli legati, era sudata e beveva avida ma lentamente. Portava un canottiera bianca con una scollatura niente male. Poi, i miei preferiti, gli hot pants di jeans.

Quando il rombo delle motociclette passò e per strada non si vide più nessuno per un po', mi guardò, vuotò la sua limonata e mi disse: Non capisco perché non risolvi i tuoi problemi. Li lasci a mezz'aria, te li inoculi più volte dentro, ti ci arrovelli, li mastichi, ma niente non ti vanno né giù né su. Rimangono sospesi e ti logorano. Per fortuna riesci a dimenticarli, soprattutto quando fai il tuo lavoro, a volte ci riesci anche quando siamo insieme. Ma mi sono stancata di vederteli appollaiati addosso. O li fai fuori o addio.

Passammo ancora qualche settimana insieme. Eravamo felici ed io sembravo aver ritrovato voglia di fare, e a esser sinceri qualche cosuccia l'avevo risolta. Poi tutto tornò come al solito. Lei non capiva che c'erano delle volte in cui non vuoi fare altro che ciò che ti viene meglio e non avere niente intorno, perché quello che vedi, che fino a un attimo prima sembrava essere almeno in parte bello, non ha più niente d'interessante.

E' solo noia.

Lei non capiva che avevo bisogno di non pensare alle cose da fare, alle cose che si devono fare. Avevo bisogno di scappare a gambe levate da un'altra parte, lontano da quella cappa insopportabile.

Forse sarebbe stato meglio se ci fossimo lasciati in quel motel. Le avrei dato la macchina - tra le altre cose era sua. Mi sarei incamminato con la sacca sulle spalle, cucendomi addosso la malinconia di un John Rambo o di un Bruce Banner della sigla finale di Hulk. Invece no. Lei se ne andò una sera, senza dire nulla. Ricordo che fuori in strada l'allarme di un macchina era andato in tilt e il clacson fischiava. Mi entrava in testa, spingendo.





Matteo Mauro



Laureato in filosofia, coautore del blog intersettiva.it, ha pubblicato il racconto "Resurrectio" nell'antologia Pensieri d'inchiostro, Giulio Perrone LAB Roma 2010.







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