CLASSICI
Alfredo Ronci
Divertirsi non è un problema: “La trappola colorata” di Luciano Folgore.

Scriveva Marinetti: Il Futurismo, nel suo programma totale, è un’atmosfera d’avanguardia; è la parola d’ordine di tutti gl’innovatori o franchi tiratori intellettuali del mondo; è l’amore del nuovo; l’arte appassionata della velocità; la denigrazione sistematica dell’antico, del vecchio, del lento, dell’erudito e del professorale: è il rumore stridente di tutti i picconi demolitori; è un nuovo modo di vedere il mondo; una nuova ragione di amare la vita; un’entusiastica glorificazione delle scoperte scientifiche e del meccanismo moderno; una bandiera di gioventù, di forza e di originalità ad ogni costo; è uno sputacchio enorme su tutti i passatismi deprimenti; un colletto d’acciaio contro l’abitudine dei torcicolli nostalgici; una mitragliatrice inesauribile puntata contro l’esercito dei morti, dei podagrosi e degli opportunisti, che vogliamo esautorare e sottomettere a giovani audaci e creatori; è una cartuccia di dinamite per tutte le rovine venerate.
Ed era un bel dire, anzi, un bello scrivere, la lettera che l’inventore del futurismo scriveva al suo collega Mac Delmarie. Ma forse, in tutto questo, anche se l’ironia, o meglio ancora, il divertimento, non è propriamente indicato (anche se ogni cosa indicata potrebbe far pensare al contrario) c’è indubbiamente un sentore drammatico dell’operazione.
Luciano Folgore, nome d’arte di Omero Virgilio Cesare Francesco Vecchi (1888-1966), fu tra i principali collaboratori di Marinetti, e quindi uno fra i primi esploratori di un nuovo sistema che intendeva sconquassare l’intero sistema, non solo letterario, ma onnicomprensivo della civiltà umana.
La trappola colorata è però del’34, quando il futurismo già appare sopravvalutato, ma non l’idea del mondo e delle sue opere. Diceva già Folgore in uno scritto sulla Voce in ‘Pentagono. Sensazioni grottesche di un pappagallo incatenato’ (che però temporalmente è del 1916): guardare di sbieco il mondo. Ecco la questione primaria, guardarsi attorno e possibilmente, se ci sono le conseguenze, riderci sopra.
Ne La trappola colorata Folgore prende in giro la letteratura gialla, che se fosse attuale comprenderebbe la quasi assoluta percentuale degli scrittori. No, il giallo su cui operare umoristicamente è quello che andava di moda in quel periodo, appunto il 1934. In quel momento i maggiori giallisti erano Maurice Leblanc con le avventure di Arsenio Lupin, le prime indagini di Agatha Christie e soprattutto, anche se il periodo era leggermente posdatato, Conan Doyle e il suo Sherlock Holmes. Folgore diciamo che predilige quest’ultimo, anche se la linea da seguire è piuttosto complessa.
Dice dell’investigatore privato: La cosa vi sembrerà strana. Nei romanzi gialli nessun poliziotto resta vittima delle comuni malattie. Mai una bronchite, una polmonite, un reuma! Un ispettore di polizia che si rispetti sfida tutte le intemperie, si espone al freddo, al caldo, cade in acqua, affronta mutazioni atmosferiche di ogni specie e non si busca il minimo raffreddore. Se si mette a letto è sempre in conseguenza di un colpo d’arma da fuoco o da taglio.
E l’investigatore in oggetto si chiama Tip …si tratta di quel signore appoggiato al fanale che ci osserva da dieci minuti. E sembra del tutto assomigliare al più famoso Sherlock Holmes, anche nelle conclusioni in cui arriva di fronte a degli sconosciuti: “Voi siete straniero” sentenziò Tip fissandomi. “E’ la prima volta che venite in Inghilterra. Avete una vista normale. Usate la penna stilografica. Portate delle scarpe strette.
Ci verrebbe da dire ‘Elementare Watson’ (anche se in realtà la famosissima frase dell’investigatore privato non fu mai detta). No, quello che Folgore scrive è da attribuirsi ad uno spirito umorista talmente spinto che in qualche modo non riesce ad inficiare, per quanto il tentativo è quasi riuscito, la vera realtà (quella poliziesca) della letteratura in voga. Ma Folgore va avanti, ed accanto a considerazioni che si rifanno ai veri protagonisti delle vicende, si lascia andare a giochi di parole e a non-sense, queste sì, assolutamente fuori da ogni logica. Tipo… Trovò una traccia breve a zig-zag. “Sembra quella di un grosso rettile” borbottò. “Non credo” osservai “altrimenti sarebbe rettilinea”. Tip alzò le spalle in segno di compatimento. Proseguì: “Ha l’aria di essere caduta dall’alto. In questo mistero v’è un non so che di serpentino.
Si potrebbe andare avanti tra frizzi e lazzi. Rimane, il libro, un bel tentativo di disfare un predominio culturale. Oggi non avrebbe senso, rifarlo si rischierebbe di farsi prendere sul serio. O forse no.
L’edizione da noi considerata è:
Luciano Folgore
La trappola colorata
Sellerio
Ed era un bel dire, anzi, un bello scrivere, la lettera che l’inventore del futurismo scriveva al suo collega Mac Delmarie. Ma forse, in tutto questo, anche se l’ironia, o meglio ancora, il divertimento, non è propriamente indicato (anche se ogni cosa indicata potrebbe far pensare al contrario) c’è indubbiamente un sentore drammatico dell’operazione.
Luciano Folgore, nome d’arte di Omero Virgilio Cesare Francesco Vecchi (1888-1966), fu tra i principali collaboratori di Marinetti, e quindi uno fra i primi esploratori di un nuovo sistema che intendeva sconquassare l’intero sistema, non solo letterario, ma onnicomprensivo della civiltà umana.
La trappola colorata è però del’34, quando il futurismo già appare sopravvalutato, ma non l’idea del mondo e delle sue opere. Diceva già Folgore in uno scritto sulla Voce in ‘Pentagono. Sensazioni grottesche di un pappagallo incatenato’ (che però temporalmente è del 1916): guardare di sbieco il mondo. Ecco la questione primaria, guardarsi attorno e possibilmente, se ci sono le conseguenze, riderci sopra.
Ne La trappola colorata Folgore prende in giro la letteratura gialla, che se fosse attuale comprenderebbe la quasi assoluta percentuale degli scrittori. No, il giallo su cui operare umoristicamente è quello che andava di moda in quel periodo, appunto il 1934. In quel momento i maggiori giallisti erano Maurice Leblanc con le avventure di Arsenio Lupin, le prime indagini di Agatha Christie e soprattutto, anche se il periodo era leggermente posdatato, Conan Doyle e il suo Sherlock Holmes. Folgore diciamo che predilige quest’ultimo, anche se la linea da seguire è piuttosto complessa.
Dice dell’investigatore privato: La cosa vi sembrerà strana. Nei romanzi gialli nessun poliziotto resta vittima delle comuni malattie. Mai una bronchite, una polmonite, un reuma! Un ispettore di polizia che si rispetti sfida tutte le intemperie, si espone al freddo, al caldo, cade in acqua, affronta mutazioni atmosferiche di ogni specie e non si busca il minimo raffreddore. Se si mette a letto è sempre in conseguenza di un colpo d’arma da fuoco o da taglio.
E l’investigatore in oggetto si chiama Tip …si tratta di quel signore appoggiato al fanale che ci osserva da dieci minuti. E sembra del tutto assomigliare al più famoso Sherlock Holmes, anche nelle conclusioni in cui arriva di fronte a degli sconosciuti: “Voi siete straniero” sentenziò Tip fissandomi. “E’ la prima volta che venite in Inghilterra. Avete una vista normale. Usate la penna stilografica. Portate delle scarpe strette.
Ci verrebbe da dire ‘Elementare Watson’ (anche se in realtà la famosissima frase dell’investigatore privato non fu mai detta). No, quello che Folgore scrive è da attribuirsi ad uno spirito umorista talmente spinto che in qualche modo non riesce ad inficiare, per quanto il tentativo è quasi riuscito, la vera realtà (quella poliziesca) della letteratura in voga. Ma Folgore va avanti, ed accanto a considerazioni che si rifanno ai veri protagonisti delle vicende, si lascia andare a giochi di parole e a non-sense, queste sì, assolutamente fuori da ogni logica. Tipo… Trovò una traccia breve a zig-zag. “Sembra quella di un grosso rettile” borbottò. “Non credo” osservai “altrimenti sarebbe rettilinea”. Tip alzò le spalle in segno di compatimento. Proseguì: “Ha l’aria di essere caduta dall’alto. In questo mistero v’è un non so che di serpentino.
Si potrebbe andare avanti tra frizzi e lazzi. Rimane, il libro, un bel tentativo di disfare un predominio culturale. Oggi non avrebbe senso, rifarlo si rischierebbe di farsi prendere sul serio. O forse no.
L’edizione da noi considerata è:
Luciano Folgore
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